【Gianni
Spagnolo © 200317】
Tutti noi ormai siamo nati con l’acqua corrente in
casa e fatichiamo ad immaginarci un mondo senza questo impagabile servizio. In
paese arrivò subito dopo la prima guerra mondiale sull’onda della ricostruzione postbellica e servì in breve molte case del paese. Sorgenti non ne mancavano, anche
perché quasi tutte le contrade erano state fondate in prossimità delle fonti,
criterio primario di ogni stabile insediamento.
Anche il centro, in primis, era servito dall’ottima e abbondante acqua
che sgorgava da sotto la corte della Bastiana e alimentava
le due fontane della piazza. Sulle fonti vennero quindi costruite della vasche
di compensazione che alimentavano la nascente e capillare rete idrica. Ecco nati
gli acquedotti e con essi il controllo pubblico della salubrità dell’acqua.
Non
era questa infatti una questione da poco: chissà quante malattie si diffusero
in passato tramite l’acqua periodicamente inquinata da vari patogeni; anche se da noi essa è sempre stata di fonte e quindi dovrebbe aver colpe relative. Che io mi ricordi, l'unica in piazza a non avere il rubinetto era la Maria
Contessina. Lei però non ne aveva certo bisogno, potendosi avvalere di un
efficiente, anche se poco solerte, servizio di consegna a domicilio da parte
dei ragazzi che bazzicavano quella accogliente cucina e facevano la spola con i secchi dalla fontana. Questa eccezione
consentì a molti della nostra generazione di apprezzare l’ebbrezza di
abbeverarsi al secchio arrampicandosi sul seciàro e attingendo la fresca
bevanda con la cassa; così come sempre fecero i nostri maggiori. Rimaneva
comunque un rapporto residuale e ancestrale con l’acqua nativa tramite le varie
piccole fonti dislocate sulla montagna e indispensabili per sostenere i lavori
in quegli ambiti. Noti a tutti erano i due stillicidi situati lungo la Singéla,
dove l’acqua si raccoglieva in minuscoli incavi scavati nella roccia, non
sempre alimentati durante la stagione secca. Là si abbeveravano uomini e
animali e ospitavano una misteriosa microfauna acquatica; almeno da quando l’acqua
cominciava a stagnare per la minor frequentazione dei luoghi. Il re di
quelle acque era un lungo e sottilissimo vermetto, quasi invisibile e che nel
nostro dialetto era chiamato fìlese. Non
so da dove derivi questo termine, non trovando nessun riscontro in merito. L'assonanza e la logica lo ascriverebbero al “filum” latino, data la sua conformazione lunga e sottile, ma
non è detto*. Non so neanche quale sia la sua esatta classificazione in biologia, probabilmente
sono dei nematomorfi, chiamati anche "larve delle sorgenti" e non pericolosi per l'uomo. I fìlese
penso abitassero da sempre le nostre acque e ne furono cacciati bruscamente
quando negli acquedotti s’iniziò ad usare il cloro come disinfettante. Qualche
volta però, questi antichi organismi riuscivano a prendersi qualche piccola
rivincita sulla modernità.
Non so come funzionasse la pulizia e la clorazione dei bacini di raccolta, ma non doveva essere molto puntuale e meticolosa. Accadeva infatti che periodicamente, probabilmente quando pulivano le vasche e rinnovavano il cloro, l’acqua del rubinetto acquisisse per breve tempo torbidità e cattivo sapore. Prima però facevano capolino dal rubinetto di casa i fìlese. “Tento che la ga i fìlese!”, avvertiva la nonna in queste circostanze, quando m’arrampicavo sul suo seciàro per bere a canna. Perché era così che ero abituato a fare allora, dato che mi dissetavo più nelle réndole lì vicino che al rubinetto di casa.
A me i fìlese facevano un baffo. All'epoca, in quanto ad anticorpi, credo d'esser stato parecchio attrezzato. In realtà, anche a mia nonna i fìlese facevano un baffo e lo diceva solo per scrupolo educativo; essi erano sempre appartenuti al nostro mondo, così come le mosche, le sisìle, le morejéte e i bai d'ogni risma. Non erano cattivi e probabilmente non avevano mai ucciso nessuno. Toh, valà, .. potevano magari far venire il cagoto a un foresto, ma noi dell’acqua delle nostre montagne eravamo fatti al 60% almeno; eravamo un tutt’uno.
Non so come funzionasse la pulizia e la clorazione dei bacini di raccolta, ma non doveva essere molto puntuale e meticolosa. Accadeva infatti che periodicamente, probabilmente quando pulivano le vasche e rinnovavano il cloro, l’acqua del rubinetto acquisisse per breve tempo torbidità e cattivo sapore. Prima però facevano capolino dal rubinetto di casa i fìlese. “Tento che la ga i fìlese!”, avvertiva la nonna in queste circostanze, quando m’arrampicavo sul suo seciàro per bere a canna. Perché era così che ero abituato a fare allora, dato che mi dissetavo più nelle réndole lì vicino che al rubinetto di casa.
A me i fìlese facevano un baffo. All'epoca, in quanto ad anticorpi, credo d'esser stato parecchio attrezzato. In realtà, anche a mia nonna i fìlese facevano un baffo e lo diceva solo per scrupolo educativo; essi erano sempre appartenuti al nostro mondo, così come le mosche, le sisìle, le morejéte e i bai d'ogni risma. Non erano cattivi e probabilmente non avevano mai ucciso nessuno. Toh, valà, .. potevano magari far venire il cagoto a un foresto, ma noi dell’acqua delle nostre montagne eravamo fatti al 60% almeno; eravamo un tutt’uno.
Credo che oggi l’apparizione di un filese nell’acqua di
casa provocherebbe il panico e accorate rimostranze alle
Autorità Preposte, nonché un diluvio di foto e commenti schifati sui social e apocrife
denunce sulla deriva dei servizi pubblici, .. che quando c’era lui, caro lei….
Mondo che va, mondo che viene.
* Lasciamo al nostro esperto Enrico Sartori l’onere di analizzarne l'etimo.
Fortunati voi, a casa mia l’acqua corrente non esisteva. Si andava a prenderla col secchio nella roggia vicina (per lavarsi) e quella da bere dal pozzo a carrucola o a pompa(tzikkelprunno in cimbro).
RispondiEliminaEl Galepin, disionario veneto dise: ‘No ghe xé record che i scominsia co' "filese-". Proa a far naltra serca.’ Ho cercato in diversi altri: niente, nemmeno in quello dell’Academia de Bona Creansa.
Gianni, penso proprio che l’origine filum sia quella giusta. Deriva dal latino figere (poi figlum e/o fidlum) cioè conficcare stringere che poi diventa anche fides corda (fidlum-fides filese?) e quindi filo.
Questa “bestia” esiste anche altrove, in tutto l’arco alpino e i genitori come pure i contadini, nostri vicini sempre insistevano di non bere l’acqua a canna, o dal ruscello o dalla sorgente direttamente con la bocca, ma dal palmo della mano formato a forma di tazza. Solo così si vedeva ciò che si beveva veramente e si poteva gettar via la “filese. Ci dicevano che quelli che non rispettavano questa regola venivano puniti come descritto già nella Bibbia: nella traduzione di San Gerolamo “qui lingua lambuerint aqua, sicut solent canes lambere, separabis eos seorsum; qui autem curvatis genibus biberint, in altera parte erunt”. (metti in disparte chiunque lambirà l’acqua con la lingua, come i cani, e quanti si piegheranno sulle ginocchia a bere). 300 bevvero come i cani e furono mandati in battaglia contro Madian e morirono, gli altri poterono tornare a casa.
Nel paese dove son cresciuto, la Valle Aurina, “filese” si dice Wossokolb (in cimbro sarebbe khalp me bassare[mia traduzione]) in latino gordius aquaticus (phylum: nematomorpha). Delle immagini si trovano su Internet: ha la forma proprio di un filo lungo. Certi invece pensavano alle larve dei tricotteri con le quali li confondevano.
Questo “filese” oppure gordius aquaticus, non assorbe cibo allo stato adulto e spesso si avvolge immobile intorno al fusto di una pianta acquatica, e quindi è difficile da vedere. Le sue larve attraversano un complicato ciclo di sviluppo in un insetto acquatico come animale ospite.
Riguardo alla casa della Maria Contessina hai ragione non aveva l'acqua in casa e posso dire di avere portato tanti secchi d'acqua presi dalla fontana in piazza quando andavo a casa sua. Un bel ricordo la Maria Contessina che ha dedicato tanto tempo a noi ragazzi era come aandare all' oratorio per noi Francesco Lorenzi
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