Più che sentirla, io la primavera l’annusavo come gli animali.
Me ne accorgevo molto prima che arrivasse, un po’ come succedeva con nonna.
Quando andavo a rifare i letti e invece di lavorare, mi divertivo, oppure quando stavo zitta zitta, immersa nelle mie di faccende, lei, nonna, che non mi sentiva da sotto, che faceva, si toglieva le ciabatte in fondo di scala, poi si attaccava alla ringhiera, e ad uno scalino per volta (l’età e le sue gambe non le permettevano altro) saliva pian piano per chiapparmi sul fatto, magari mentre leggevo un giornalino o mi rimiravo nello specchio mezza nuda con qualche fronzolo addosso, invece di fare “il mio dovere”… io me ne accorgevo che arrivava, perché la ringhiera di ferro alla quale lei si aggrappava, ad un certo punto della salita, faceva un rumore strano, impercettibile ai più, ma che io avevo già catalogato come rumore della casa… un po’ come il rumore di una molla che scatta o che torna al suo posto, quindi sapevo che dopo un attimo da quel rumore me la sarei vista apparì di soppiatto sull’uscio con la solita frase “Mi dici un po’ cheffai?... ”… dopo le solite beghe e i soliti giri intorno al letto per acciuffarmi, che ci vedevano come in una giostra continua avanti una o l’altra a secondo delle postazioni… lei scendeva, tutta scarduffata con la pezzola su un fianco imprecando quel S. Bartolomeo protettore dei bambini che tante volte si era presi gli insulti al posto mio… io finivo l’iniziato e poi tornavo giù, e sgusciandole dietro le spalle come un gatto, schizzavo fuori.
Ecco, la primavera faceva quel rumore strano prima di proporsi nel suo splendore, faceva quel boeing di molla che scatta come la ringhiera di nonna, e io la sentivo.
Tiravo sù il naso come fanno i cani, o come facevano i vecchi che solo con quel gesto ti sapevano dire che tempo avrebbe fatto l’indomani, e mi riempivo i polmoni, prima degli occhi di un'aria diversa, frizzante, che poi soprattutto al mattino faceva sentire il cambiamento.
Mi spogliavo. Era una delle prime avvisaglie. Mi toglievo il cappotto, e a scuola, alla mattina in bicicletta andavo solo col grembiule e la pezzolina, ma non era preoccupante, noi figlioli eravamo imbottiti come bambole di pezza. E la “maglia sulla carne” si teneva fino a giugno quasi.
Al mattino il sole penetrava nella nebbiolina che ancora persisteva, e poi prendeva il sopravvento ed esplodeva in un cielo azzurro che mi accompagnava per il percorso dell’andata e continuava in un calorino più forte del solito al ritorno, che mi faceva togliere allora anche il grembiule bianco e il fiocco che finivano appoggiati al manubrio sulla cartella... “Badala tutta sparaciata… - mi gridava nonna quando entravo – un t’alleggerì tanto te lo detto… poi t’ammali… possib ile che tu un mi stia mai a sentì..!”
Non potevo. Era troppo interessante. Il percorso cambiava ogni momento. Ogni mattina, ogni attimo era diverso da giorno a giorno, per tutto l’anno. Mi perdevo nei miei ragionamenti, nelle mie osservazioni, nei miei sogni come sempre, ma in quel periodo c’era proprio qualcosa in più.
Il risveglio a piccole dosi che osservavo pian piano mi entusiasmava e allora cantavo… cantavo quello che mi veniva in mente, canti di chiesa o canzonette che sentivo alla radio… “Occhè l’hai già infilata…” mi diceva nonna quando mi sentiva ripetere pari pari una canzone che magari avevo ascoltato solo un attimo prima… oh sì che mi piaceva! Mi pareva che il cielo, il sole, il calore il risveglio del momento andassero di pari passo con quella voglia, che poi all’epoca non era solo mia… cantavan tutti… fischiavano gli uomini nei campi mentre vangavano e le donne… le donne spalancavano le finestre cantando… sentir cantare era normale… cantava anche nonna mentre impastava il pane nella madia… più sottovoce però, lei era meno esosa di me che non avevo, come diceva lei “ritegno di nulla”… e poi gli animali… gli uccelli non attuivano… un continuo cinguettare mi accompagnava ogni dove, e il gallo, oddio il gallo era senza requie!
Quelle povere galline scappavano disperate dalle sue sgrinfie. Le coniglie cominciavano a pelarsi per preparare il cuccio. Le galline si acchiocciavano… il risveglio si vedeva, era palpabile, si toccava con mano insomma, la primavera che arrivava!
Lo stesso capitava a me, ero sempre spiritata, ma in quel periodo nonna non ne aveva verso… il più delle volte tornavo a casa da scuola zuppa, perché stando col naso per aria a seguire il cielo e le nuvolette, finivo inevitabilmente con
la bicicletta in qualche fosso pieno d’acqua. Facevo tardi perché mi
fermavo sul ciglio a raccattare le prime giunchiglie o le mammole
pensando alla mia maestra, e poi si vede proprio come gli animali, anche
gli amici miei maschietti, pur se piccoli sentivano il frizzare di
epoche che da lì a poco sarebbero state più invadenti, perché li avevo
tutti dietro, e per corteggiarmi molti facevano percorsi più lunghi,
accompagnando me prima di andare a casa loro.
Arrivavo perennemente scortata da un nugolo di ragazzini… “Occhè è possibile che tu ce li abbia dietro sempre tutti te… come un can guasto”… - diceva nonna mentre entravo e loro rigiravano culo e biciclette e se ne andavano.
Non mi interessavano, a me interessava il mio mondo, la mia libertà, i miei interessi… la mia vita… e, come al solito succede, è un principio che vale per tutto, meno sei interessata e più interessi te… vince sempre chi fugge. I comportamenti definiti femminili io non li avevo, anzi avevo un atteggiamento molto maschile nei confronti della vita, che faceva a pugni con il mio aspetto bellino e lezioso. Questa miscela, mi sono accorta poi anche in futuro, attira molto, ma allora non lo sapevo, sapevo solo che avrei mangiato un boccone veloce, che avrei altrettanto velocemente fatto i compiti e poi sarei scappata di casa con un pezzo di pane in mano condito con un po’ di olio e sale, e sarei andata a mangiarmelo giù giù in fondo al rio, dove avrei preso sù per il ciglio e sarei finita ancora più lontano verso il boschetto, dove c’era un profumo di pino inebriante, mentre le urla di nonna si perdevano nel vento tiepido e mi arrivavano ormai fioche…. “Ma badalaaaaa…. è già scappa… possibil e che tu un debba mai sta un po’ accaaasaaa?"
Me ne accorgevo molto prima che arrivasse, un po’ come succedeva con nonna.
Quando andavo a rifare i letti e invece di lavorare, mi divertivo, oppure quando stavo zitta zitta, immersa nelle mie di faccende, lei, nonna, che non mi sentiva da sotto, che faceva, si toglieva le ciabatte in fondo di scala, poi si attaccava alla ringhiera, e ad uno scalino per volta (l’età e le sue gambe non le permettevano altro) saliva pian piano per chiapparmi sul fatto, magari mentre leggevo un giornalino o mi rimiravo nello specchio mezza nuda con qualche fronzolo addosso, invece di fare “il mio dovere”… io me ne accorgevo che arrivava, perché la ringhiera di ferro alla quale lei si aggrappava, ad un certo punto della salita, faceva un rumore strano, impercettibile ai più, ma che io avevo già catalogato come rumore della casa… un po’ come il rumore di una molla che scatta o che torna al suo posto, quindi sapevo che dopo un attimo da quel rumore me la sarei vista apparì di soppiatto sull’uscio con la solita frase “Mi dici un po’ cheffai?... ”… dopo le solite beghe e i soliti giri intorno al letto per acciuffarmi, che ci vedevano come in una giostra continua avanti una o l’altra a secondo delle postazioni… lei scendeva, tutta scarduffata con la pezzola su un fianco imprecando quel S. Bartolomeo protettore dei bambini che tante volte si era presi gli insulti al posto mio… io finivo l’iniziato e poi tornavo giù, e sgusciandole dietro le spalle come un gatto, schizzavo fuori.
Ecco, la primavera faceva quel rumore strano prima di proporsi nel suo splendore, faceva quel boeing di molla che scatta come la ringhiera di nonna, e io la sentivo.
Tiravo sù il naso come fanno i cani, o come facevano i vecchi che solo con quel gesto ti sapevano dire che tempo avrebbe fatto l’indomani, e mi riempivo i polmoni, prima degli occhi di un'aria diversa, frizzante, che poi soprattutto al mattino faceva sentire il cambiamento.
Mi spogliavo. Era una delle prime avvisaglie. Mi toglievo il cappotto, e a scuola, alla mattina in bicicletta andavo solo col grembiule e la pezzolina, ma non era preoccupante, noi figlioli eravamo imbottiti come bambole di pezza. E la “maglia sulla carne” si teneva fino a giugno quasi.
Al mattino il sole penetrava nella nebbiolina che ancora persisteva, e poi prendeva il sopravvento ed esplodeva in un cielo azzurro che mi accompagnava per il percorso dell’andata e continuava in un calorino più forte del solito al ritorno, che mi faceva togliere allora anche il grembiule bianco e il fiocco che finivano appoggiati al manubrio sulla cartella... “Badala tutta sparaciata… - mi gridava nonna quando entravo – un t’alleggerì tanto te lo detto… poi t’ammali… possib
Non potevo. Era troppo interessante. Il percorso cambiava ogni momento. Ogni mattina, ogni attimo era diverso da giorno a giorno, per tutto l’anno. Mi perdevo nei miei ragionamenti, nelle mie osservazioni, nei miei sogni come sempre, ma in quel periodo c’era proprio qualcosa in più.
Il risveglio a piccole dosi che osservavo pian piano mi entusiasmava e allora cantavo… cantavo quello che mi veniva in mente, canti di chiesa o canzonette che sentivo alla radio… “Occhè l’hai già infilata…” mi diceva nonna quando mi sentiva ripetere pari pari una canzone che magari avevo ascoltato solo un attimo prima… oh sì che mi piaceva! Mi pareva che il cielo, il sole, il calore il risveglio del momento andassero di pari passo con quella voglia, che poi all’epoca non era solo mia… cantavan tutti… fischiavano gli uomini nei campi mentre vangavano e le donne… le donne spalancavano le finestre cantando… sentir cantare era normale… cantava anche nonna mentre impastava il pane nella madia… più sottovoce però, lei era meno esosa di me che non avevo, come diceva lei “ritegno di nulla”… e poi gli animali… gli uccelli non attuivano… un continuo cinguettare mi accompagnava ogni dove, e il gallo, oddio il gallo era senza requie!
Quelle povere galline scappavano disperate dalle sue sgrinfie. Le coniglie cominciavano a pelarsi per preparare il cuccio. Le galline si acchiocciavano…
Lo stesso capitava a me, ero sempre spiritata, ma in quel periodo nonna non ne aveva verso… il più delle volte tornavo a casa da scuola zuppa, perché stando col naso per aria a seguire il cielo e le nuvolette, finivo inevitabilmente
Arrivavo perennemente scortata da un nugolo di ragazzini… “Occhè è possibile che tu ce li abbia dietro sempre tutti te… come un can guasto”… - diceva nonna mentre entravo e loro rigiravano culo e biciclette e se ne andavano.
Non mi interessavano, a me interessava il mio mondo, la mia libertà, i miei interessi… la mia vita… e, come al solito succede, è un principio che vale per tutto, meno sei interessata e più interessi te… vince sempre chi fugge. I comportamenti definiti femminili io non li avevo, anzi avevo un atteggiamento molto maschile nei confronti della vita, che faceva a pugni con il mio aspetto bellino e lezioso. Questa miscela, mi sono accorta poi anche in futuro, attira molto, ma allora non lo sapevo, sapevo solo che avrei mangiato un boccone veloce, che avrei altrettanto velocemente fatto i compiti e poi sarei scappata di casa con un pezzo di pane in mano condito con un po’ di olio e sale, e sarei andata a mangiarmelo giù giù in fondo al rio, dove avrei preso sù per il ciglio e sarei finita ancora più lontano verso il boschetto, dove c’era un profumo di pino inebriante, mentre le urla di nonna si perdevano nel vento tiepido e mi arrivavano ormai fioche…. “Ma badalaaaaa…. è già scappa… possibil
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