giovedì 19 marzo 2020

Liberi tutti!


Gianni Spagnolo © 200318
Con ogni mezzo, ultimamente anche con gli altoparlanti per strada, ci stanno tutti ripetendo di stare a casa.
Chi può, ovviamente, perché questo strano regime dei due pesi e due misure un po' confonde e lascia perplessi. Sì, perché a lavorare si può ancora andare, anche se i luoghi di lavoro sono inadeguati quanto a misure anti contagio, lasciate alla discrezionalità delle aziende e d'altra parte impossibili da attuare di botto per vincoli strutturali e industriali. Ci si riempie la bocca di inappropriati anglicismi come smart-working, confondendolo con il remote-working, cosa che non accadrebbe se si usasse semplicemente la lingua italiana. Certo è che, con tutte le buone intenzioni, saldare o forgiare un pezzo da casa lo vedrei un po’ complicato e scazzuolare l'intonaco via fibra altrettanto improbo. Sono perciò modalità che possono coinvolgere alcune ristrette categorie, ma certamente non essere la panacea che sbandierano i media in un paese dalla manifattura tanto diffusa quanto parcellizzata e ancora piuttosto lontanuccia dall'Industria 4.0.
Siamo un popolo democratico e tendenzialmente indisciplinato, si sa! Certe misure draconiane da noi non si possono prendere, e qualora anche si prendessero, non basterebbero le forze della Nato schierate a garantirne il rispetto. Ne sono un esempio le mille furbizie inventate in questi giorni per aggirare i divieti, che pure, almeno al momento, non ci stanno certo pregiudicando l’esistenza. Anzi! Consapevoli di questo le autorità preposte si affidano perciò più pragmaticamente alla persuasione mediatica solleticando un senso civico e di responsabilità che gli italiani generalmente non hanno. Anche perché da tempo s'è cessato colpevolmente di insegnarglielo.
Quello che intanto evidenziano le statistiche di questa pandemia è la somiglianza della diffusione italiana con quella cinese, in controtendenza apparente con i nostri vicini nordeuropei. Analogamente le nostre misure di contenimento si stanno allineando a quelle di quel paese asiatico, anche se i presupposti sono ben diversi. Man mano che i dati si sedimentano, emergono varie analisi comparative volte a capire le eventuali preferenze di diffusione di questo virus e le ragioni per cui sembra diffondersi più in certe regioni piuttosto che in altre. La fascia climatica temperata, l’inquinamento industriale,  la densità abitativa, l’età media della popolazione, i rapporti familiari e sociali, ecc. sono indicatori di riferimento soprattutto per calibrare le misure di contenimento pubblico, nel continuo tentativo di adattare la nostra economia a quella del virus. Non tutte le misure, infatti, sono ugualmente praticabili o efficienti per tutti; molto è condizionato dalla cultura, dall’organizzazione sociale, produttiva e logistica e da un’infinità d’altri fattori che costituiscono in fondo l’originalità di ogni popolo.
È vero che gli italiani, specialmente i meridionali, hanno dei punti in comune con i cinesi per alcune cose che riguardano i comportamenti sociali, quali: il valore della famiglia, la cura e la vicinanza agli anziani, la coesione sociale, la tendenza a far gruppo, l'ossessione per il cibo e, non ultima, anche una certa dose  di familismo amorale; cose che invece ci differenziano dai nostri partner europei.  Ciò che invece noi non condividiamo in nessun grado è il rispetto per l’autorità costituita e la capacità di fare squadra contro le avversità.
Pur avendo inventato la legione, cardine per secoli dell’ordine dell’Impero Romano, noi oggi preferiamo muoverci a nostro piacimento infischiandosene egoisticamente degli ordini e degli altri. I cinesi manovrano (nel bene e nel male) come una falange macedone, mentre gli italiani, al solito, come l’armata Brancaleone. 
La differenza credo stia tutta lì!
E non vale obiettare l’evidente diversità di ordinamento politico, che certamente condiziona l’efficacia dei provvedimenti, né il timore di punizioni certe, altrettanto inibente: è principalmente una questione di fiducia nell’autorità costituita che manca nel nostro paese. Quell’autorità costituita che, va detto a nostro scapito, abbiamo votato noi. Dal premier, al sindaco, all’ultimo assessore, sono tutta gente che abbiamo votato noi. Democraticamente parlando, s'intende. Persone che magari abbiamo dileggiato se non appartenevano al nostro orientamento politico, ma che ora sono investite di responsabilità straordinarie e devono affrontare scenari inediti e contesti critici in continua evoluzione. Dobbiamo considerare che oggi questi amministratori hanno istituzionalmente accesso ad informazioni più precise, affidabili e aggiornate delle nostre (che sono alimentate prevalentemente dal cazzeggio social e dalle fake news), per affrontare la situazione e pertanto dobbiamo ascoltarli e metterne in pratica le direttive. Anche se non le condividiamo, anche se non ci piacciono, anche se consideriamo chi le emette un incompetente, anche se ci sta antipatico. Ne va della nostra salute personale e pubblica, nonché della nostra economia.
In questo momento dobbiamo superare le divisioni e riconoscere loro una sorta di grazia di stato, come al Papa. A prescindere! 
Io sono rientrato dalla Cina alla vigilia di Natale, poco prima che scoppiasse ufficialmente l’allarme epidemia.  Ho fatto in tempo a fare due conferenze di lavoro con 200 persone provenienti da tutto il paese, incluso le aree poi rivelatesi focolaio. Nel mentre mi son beccato una strana influenza che non se ne voleva andare e mi ha bastonato per benino. Non sapevo se fosse l’avanguardia di quella famigerata che stiamo ora affrontando qui; comunque è andata! Tranquilli, sono ancora vivo, quarantenato e innocuo e nessuno dei miei contatti e nei miei dintorni ha avuto fortunatamente lasciti spiacevoli. Ho poi assistito a distanza ai provvedimenti ed agli sforzi messi in campo dai colleghi cinesi per combattere l’epidemia e osservato la coralità con cui quel popolo si è adeguato a misure tanto draconiane ed inedite. Neanche minimamente paragonabile al nostro uscire con nonchalance a fare la passeggiatina o la corsetta o usare l’ozio forzato per fare rimpatriate con gli amici. Ora vedo che i colleghi cinesi stanno gradualmente uscendo dall’emergenza con una gran voglia di ripartire e recuperare il tempo perduto. Ma le fabbriche erano chiuse e oggi riaprono soltanto quelle in grado di attuare rigorosi protocolli sanitari, stravolgendo l’organizzazione industriale e con una minuziosa schedatura sanitaria del personale. L’amministrazione pubblica vigila rigorosamente sul rispetto delle regole senza guardare in faccia a nessuno.
Eh, ma da noi non si può fare! Certo, noi viviamo in contesti meno controllati e più scialli dei loro, baciamoci le manine! (ma solo dopo averle disinfettate con l'Amuchina). Ma se continuiamo a prenderla sottogamba e a permetterci lussi inappropriati alle circostanze, non è detto che non supereremo i cinesi non solo nei contagi, ma anche nelle misure di privazione delle libertà. Oltre a posticipare sine die l’uscita da questa emergenza.
Personalmente non amo i flash-mob e i melodrammi autoconsolatori che stiamo inscenando nelle nostre città dopo qualche giorno - dicesi qualche giorno! - di arresti domiciliari con il braccialetto appeso al manubrio della bici. Vanno benissimo per reiterare sui media stranieri l’immagine stereotipata e stantìa dell’italiano tutto pizza e mandolino; gran compagnone e simpaticone ma fondamentalmente inaffidabile e mascalzone. Mi fanno male i meme gonfi di orgoglio nazionale, spesso opposto ai nostri partner europei,  che girano in rete ostentando i capisaldi della nostra cultura e dimenticando che nessuno di essi appartiene ai tempi recenti, perché siamo da tempo indegni di cotanto retaggio. No, non siamo pronti alla morte, come ci sgoliamo con l'inno nazionale dai balconi; forse la confondiamo con le torte preparate per ammazzare la noia. La morte è una cosa seria: rispettiamola!

Basta! Per una volta tanto diamo l’impressione di un popolo serio. Per favore!

2 commenti:

  1. Bellissima analisi: complimenti Don Gianni!


    Ma visto che si parla di Brancaleone, in questi momenti di pseudo-ozio viene di ricordarmi di una scena di Brancaleone alle crociate.


    Brancaleone dice al suo paladino Thorz (Paolo Villaggio), che deve assolutamente andare a confessarsi. Trovandosi non lontani dalla Basilica di Sant’Antonio (mi sembra), Thorz gli suggerisce di confessarsi in quel luogo. Branca dice no, là non possono assolverlo. Thorz allora: “Ghetu spudaciao ‘ntel’aquasantiera?”. Noooo. Thorz nomina qualche altro peccato terribile, ma la risposta di Branca è insistente : no. Branca deve trovare per liberarsi del suo peccato innominabile und vero ed efficace confessore. Dopo lunghe peripezie trovano la grotta di San Gerolamo, nella quale traduce la Bibbia dal greco al latino, con vicino a sé il leone, il cappello da cardinale, un teschio ed una grossa pietra per colpirsi il petto durante i “mea culpa”. Con fatica Branca raggiunge la grotta. Dopo un profondo silenzio si sente un tuono e parte un terremoto indiavolato. La grotta crolla e Branca riesce a salvarsi. E Gerolamo.? Chissà a quello cosa gli successe.
    Ma che quello di Branca fosse il primo caso di coronavirus? Forse, ma probabilmente no. Dev’essere stato uno di quei peccati per i quali mi dissero quand’ero giovane non c’era assoluzione: un peccato che non si sapeva cosa fosse né si poteva essere sicuri di averlo: insomma come un virus.


    Per fortuna la scienza ha fatto progressi e si può verificare chi quel virus ce l’ha. Inoltre, i miei nipotini non hanno mai sentito parlare di questi peccati. Beati loro, la preoccupazione di Branca loro non ce l’avranno.


    Le mie scuse per questa volta: non son riuscito ad appartenere al popolo serio.

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  2. Mi sa Enrico che stavolta hai sbagliato reverendo. Per quei peccati lì ce n'era forse uno solo abilitato alla confessione, ma purtroppamente non s'è fatto più vivo.

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