venerdì 20 marzo 2020

Beata ingenuità


Gianni Spagnolo © 200316
Del senno di poi ne son piene le fosse“ scrive il Manzoni nei Promessi Sposi. A significare l'inutilità della previsione del passato a coloro che, dopo un determinato avvenimento, dicono quello che si poteva o non doveva fare.
In controtendenza con i dati dell’educazione nazionale, l’Università del Cazzeggio sembra sfornare laureati a getto continuo e cum laude, essendo l’accredito  più autorevole di gran parte dei tuttologi che ci intrattengono dai media. Ciascuno di noi, prima o poi, ha frequentato qualche suo corso, anche senza arrivare alla laurea. Vuoi per diventare commissario tecnico in tempo di mondiali di calcio, economista nei momenti di crisi, influencer in epoca social, fine politico sempre e, ultimamente, epidemiologo e stratega dei comportamenti di massa.
Qualche domanda sulla situazione attuale possiamo però farcela, nei limiti del nostro comprendonio e delle evidenze a disposizione. 
Quella che mi sto ponendo ora è questa: 
“Perché un’epidemia di questo tipo ci capita fra coppa e collo come fosse un atterraggio di alieni, senza che ci sia nessuna apparente procedura per affrontarla a livello sociale, politico e sanitario, ma tutto sembra andare per goffi tentativi di improvvisati apprendisti stregoni?”
Questo nonostante le risorse scientifiche, tecniche, economiche ed organizzative che dispone la società moderna, le statistiche storiche di ricorrenza note e la globalizzazione dell’informazione e dell’economia. Non mi riferisco ovviamente alle cure mediche, le quali immagino seguano protocolli in linea con le diagnosi e le esperienze cliniche, ma alla gestione generale della pandemia  in tutte le sue ripercussioni sociali.
E sì che di epidemie, anche ben più devastanti di questa, la storia ne ha documentate parecchie; a partire da quella di Atene del 430 a.C. per arrivare a contarne almeno tre solo nel secolo scorso e ben due nel piccolo scorcio dell’attuale. Che il nostro pianeta venga periodicamente colpito da questi eventi è perciò una certezza statistica, non una imponderabile fatalità; con una probabilità assolutamente superiore a quella che ci vada a fuoco la casa o l’azienda.
Eppure, per evitare gli incendi nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi, ecc. - occorrenze rare e con assai meno tragiche conseguenze - si sono sviluppate procedure, disposti apparecchi e istruzioni vincolanti per affrontarle adeguatamente. Migliaia di consulenti operano a tutti i livelli per tenere in piedi questo sistema e milioni di euro vengono spesi annualmente in aggiornamenti, manutenzione dei dispositivi e pratiche burocratiche obbligatorie a termini di legge.  Analogo e più immane sforzo è posto a doverosa tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, con un impatto non indifferente sui costi di produzione. Giusto, per carità! Ne va della nostra sicurezza e della nostra vita.
Perché allora, per affrontare una pandemia nient’affatto imprevedibile come questa, sembra che procediamo un po’ tutti a tentoni senza uno straccio di procedura preventivamente studiata,  articolata e coordinata ai vari livelli istituzionali ed organizzativi? Dico sembra, perché magari mi sfugge qualcosa e non sono correttamente informato; o forse sono solo prevenuto. Però l’evidenza è sotto gli occhi di tutti, senza neanche scomodare i laureati predetti. Se dovessimo cinicamente comparare, a livello globale,  i costi degli incendi o degli incidenti sul lavoro con quelli delle relative misure di prevenzione e contenimento e rapportarlo ad una situazione pandemica, credo che non ci sarebbe confronto circa la convenienza e l’assoluta priorità della prevenzione.
Quand’ero un giovane allievo negli Alpini, fra le altre cose, feci anche un corso di difesa NBC, cioè di contrasto alla guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica, del quale conservo ancora gli appunti. Ad uno sTen  vennero gli occhi a palla per due settimane per essersi inavvertitamente iniettato dell’atropina scaduta, mentre un mio vicino di esercitazione subì un’ustione di terzo grado al braccio per aver fatto il cretino con i vescicanti. A parte queste amenità, apprendemmo le procedure di base per affrontare questo tipo di rischi e l’uso dei dispositivi di protezione. Procedure che non erano solo di tutela personale, ma ancor più di tempestività d'azione, disciplina di reparto ed efficienza nella catena di comando. Forse non avremmo opposto gran resistenza in caso d'attacco, tuttavia qualche rudimento l’avevamo assimilato; avremmo saputo come comportarci.
È parecchio sconfortante vedere presentatori televisivi, influencer e VIP d'ogni fatta, che un’ora si e l’altra anche ti spiegano in televisione come lavarti bene le mani o come atteggiarti con gli altri in caso d'emergenza virale. Tutta roba che potrebbe far parte di una seria ed ordinata educazione civica fin dall’asilo. Senza arrivare agli estremi della Svizzera, che ha rifugi atomici in ogni casa e procedure di difesa civile rodate da decenni, penso che qualcosina andrebbe comunque preventivata per evitare di farci prendere anche in giro da vecchi. Non costerebbe niente, basterebbe usare bene  i veicoli che già ci sono: in primis la scuola.
Sono troppo ingenuo se penso che adeguate procedure operative, modalità d’azione, decreti attuativi, catena di comando e individuazione di infrastrutture e presidi strategici possano essere state preventivamente studiate, affinate e preparate anche in caso di epidemie come questa?
Vabbè, ... tanto era una domanda retorica!

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