【Gianni Spagnolo © 200316】
“Del senno di poi ne son piene le fosse“
scrive il Manzoni nei Promessi Sposi. A significare l'inutilità della previsione del passato a coloro che, dopo un determinato avvenimento, dicono quello che si poteva o non doveva fare.
In controtendenza con i
dati dell’educazione nazionale, l’Università del Cazzeggio sembra
sfornare laureati a getto continuo e cum laude, essendo
l’accredito più autorevole di gran parte dei tuttologi che ci
intrattengono dai media. Ciascuno di noi, prima o poi, ha frequentato qualche
suo corso, anche senza arrivare alla laurea. Vuoi per diventare commissario
tecnico in tempo di mondiali di calcio, economista nei momenti di crisi,
influencer in epoca social, fine politico sempre e, ultimamente, epidemiologo e
stratega dei comportamenti di massa.
Qualche domanda sulla
situazione attuale possiamo però farcela, nei limiti del nostro comprendonio e
delle evidenze a disposizione.
Quella che mi sto ponendo ora
è questa:
“Perché un’epidemia di
questo tipo ci capita fra coppa e collo come fosse un atterraggio di
alieni, senza che ci sia nessuna apparente procedura per affrontarla a livello
sociale, politico e sanitario, ma tutto sembra andare per goffi tentativi di
improvvisati apprendisti stregoni?”
Questo nonostante le
risorse scientifiche, tecniche, economiche ed organizzative che dispone la
società moderna, le statistiche storiche di ricorrenza note e la
globalizzazione dell’informazione e dell’economia. Non mi riferisco ovviamente
alle cure mediche, le quali immagino seguano protocolli in linea con le
diagnosi e le esperienze cliniche, ma alla gestione generale della pandemia
in tutte le sue ripercussioni sociali.
E sì che di epidemie, anche
ben più devastanti di questa, la storia ne ha documentate parecchie; a partire
da quella di Atene del 430 a.C. per arrivare a contarne almeno tre solo nel
secolo scorso e ben due nel piccolo scorcio dell’attuale. Che il nostro pianeta
venga periodicamente colpito da questi eventi è perciò una certezza statistica,
non una imponderabile fatalità; con una probabilità assolutamente superiore a
quella che ci vada a fuoco la casa o l’azienda.
Eppure, per evitare gli
incendi nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi, ecc. - occorrenze rare e con
assai meno tragiche conseguenze - si sono sviluppate procedure, disposti
apparecchi e istruzioni vincolanti per affrontarle adeguatamente. Migliaia di
consulenti operano a tutti i livelli per tenere in piedi questo sistema e milioni
di euro vengono spesi annualmente in aggiornamenti, manutenzione dei
dispositivi e pratiche burocratiche obbligatorie a termini di
legge. Analogo e più immane sforzo è posto a doverosa tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, con un impatto
non indifferente sui costi di produzione. Giusto, per carità! Ne va della nostra
sicurezza e della nostra vita.
Perché allora, per
affrontare una pandemia nient’affatto imprevedibile come questa, sembra che
procediamo un po’ tutti a tentoni senza uno straccio di procedura
preventivamente studiata, articolata e coordinata ai vari livelli
istituzionali ed organizzativi? Dico sembra, perché magari mi sfugge qualcosa e
non sono correttamente informato; o forse sono solo prevenuto. Però l’evidenza
è sotto gli occhi di tutti, senza neanche scomodare i laureati predetti. Se
dovessimo cinicamente comparare, a livello globale, i costi degli
incendi o degli incidenti sul lavoro con quelli delle relative misure di
prevenzione e contenimento e rapportarlo ad una situazione pandemica, credo che
non ci sarebbe confronto circa la convenienza e l’assoluta priorità della
prevenzione.
Quand’ero un giovane
allievo negli Alpini, fra le altre cose, feci anche un corso di difesa NBC,
cioè di contrasto alla guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica, del quale
conservo ancora gli appunti. Ad uno sTen vennero gli occhi a palla
per due settimane per essersi inavvertitamente iniettato dell’atropina scaduta,
mentre un mio vicino di esercitazione subì un’ustione di terzo grado al braccio
per aver fatto il cretino con i vescicanti. A parte queste amenità, apprendemmo
le procedure di base per affrontare questo tipo di rischi e l’uso dei
dispositivi di protezione. Procedure che non erano solo di tutela personale, ma
ancor più di tempestività d'azione, disciplina di reparto ed efficienza nella
catena di comando. Forse non avremmo opposto gran resistenza in caso d'attacco,
tuttavia qualche rudimento l’avevamo assimilato; avremmo saputo come
comportarci.
È parecchio sconfortante
vedere presentatori televisivi, influencer e VIP d'ogni fatta, che un’ora si e
l’altra anche ti spiegano in televisione come lavarti bene le mani o come
atteggiarti con gli altri in caso d'emergenza virale. Tutta roba che potrebbe
far parte di una seria ed ordinata educazione civica fin dall’asilo. Senza
arrivare agli estremi della Svizzera, che ha rifugi atomici in ogni casa e
procedure di difesa civile rodate da decenni, penso che qualcosina andrebbe
comunque preventivata per evitare di farci prendere anche in giro da vecchi.
Non costerebbe niente, basterebbe usare bene i veicoli che già ci sono:
in primis la scuola.
Sono troppo ingenuo se
penso che adeguate procedure operative, modalità d’azione, decreti attuativi,
catena di comando e individuazione di infrastrutture e presidi strategici
possano essere state preventivamente studiate, affinate e preparate anche in
caso di epidemie come questa?
Vabbè, ... tanto era una
domanda retorica!
Nessun commento:
Posta un commento