giovedì 16 maggio 2019

La testa nel bidone



Gianni Spagnolo © 190510
Fra le cose che mi fanno venire i nervi, c’è la raccolta differenziata. L’umido va nel composter, il vetro nel vetro, il secco nel secco e fin qua nulla da eccepire, ma quando si passa alla plastica che va nella plastica, lì qualcosa da dire ce l'avrei.
Mentre il composter fa il suo dovere in silenzio nel suo angolino, di vetro non ne usiamo granché e di secco indifferenziato rimane ormai poco o niente, il volume dei rifiuti di plastica cresce sempre di più. 
Per imballare le lamette da barba, le cartucce della stampante, o qualsiasi blister di cosette da niente, che ormai per aprirli ci vuole il taglio laser, c’è una quantità di plastica degna di miglio utilizzo. Per non parlare degli acquisti online, dove se ordini un bottone te lo spediscono dentro uno scatolone protetto da mongolfiere di nylon.
Ma il massimo della frustrazione è dato dalla rottamazione dei flaconi di detersivo come quello in figura. Sono robusti, belli, colorati, ergonomici, hanno un bel tappone furbo, con dosatore e salvagoccia e un comodissimo maniglione. Sono indistruttibili, indeformabili, incomprimibili e pure profumati: li devi proprio buttare così come sono!
Il prodotto si compra per pochi Euro ed è un concentrato, non solo di sostanze pulenti, ma pure di tecnologia di packaging. Fior di chimici, ingegneri, tecnici di processo, guru di marketing e massicci investimenti sono stati profusi per realizzare e confezionare un prodotto che struca-struca ottenesse lo stesso risultato di mia nonna quando faceva lissia sciogliendo la cenere della stufa nell'acqua bollente in un mastello di legno.
Sto forse semplificando troppo? Eh, ... vabbé!
Diamo pur atto delle comodità apportate alle nostre vite dalla lavatrice e da tutti quegli strumenti e prodotti che ci semplificano l’esistenza. Ma è proprio necessario spingere la sofisticazione e la produzione di rifiuti fino a questo punto, con una sproporzione di valore così evidente fra contenuto e contenitore?
Il vertice si raggiunge con le bottiglie di plastica dell'acqua minerale, specie se gasata, che richiede contenitori eterni a prova di botto per soddisfare l'idratazione di una mattina; peraltro facilmente appagabile dal rubinetto di casa (almeno dalle parti nostre).
Mi si obbietterà che ci sono soluzioni alternative: dal farsi il sapone in casa con l'olio esausto delle fritture, ad andarlo a prendere col secchiello ai pochi distributori, piuttosto che scegliere produttori che usano confezioni e prodotti più ecosostenibili. Già! Tuttavia su scala globale dobbiamo considerare le abitudini indotte e massificate dalla pubblicità e soprattutto le dinamiche dei prezzi e delle convenienze, per cui il discorso diventa ozioso se il virtuosismo non parte dal processo produttivo e distributivo.
Inutile andare al tempo antico, cuando se copava i bai col pico.
Allora  si comprava la salsa di pomodoro sfusa ad etti sulla carta oleata e perfino la varechina te la versavano dal bidone in bottiglioni di fortuna (con qualche intossicazione ai devoti del vin bianco ;-). Si evitava anche la terribile carta termica dello scontrino (che va nel secco indifferenziato e non nella carta), perché si notava intel libréto. L'incarto della merce poi, robusto e assorbente, serviva per molteplici altri scopi: dall'accendere il fuoco, al far di conto, fino al pulire i paesi bassi.
Buttando quel flacone nel sacco della plastica il pensiero corre a mio nonno. Nella nostra vecchia casa qualsiasi contenitore che avesse una sua robusta utilità era religiosamente conservato a futura necessità. Dalle gavette della guerra alle bottiglie, specie se col tappo a leva, fino ai barattoli di latta, buoni per tutte le occasioni. Stupendi poi i grandi vasi quadrati dello strutto e le bocce tonde con il buco inclinato ed il tappo di latta, trattati come reliquie.
Mio nonno non avrebbe mai potuto buttar via un flacone come questo; sarebbe andato in estasi al solo pensare quanti utilizzi avrebbe potuto avere quel vuoto e sfolgorante relitto. Anche mio padre era così, pur avendo in parte vissuto nella società dei consumi.
Ma neanch’io lo faccio a cuor leggero. Sento che quell’atto insulta il mio retaggio; offende me, non solo la nostra società, la logica o il pianeta.

13 commenti:

  1. Ciao Coskri...sarebbe da obbligare i supermercati ad avere i distributori almeno sui prodotti in cui è possibile...in giro ne ho visti ma qui in zona non c'è ne sono purtroppo...ma è una legge che deve partire dall'alto..hanno cominciato con le buste di plastica che invece di eliminarle del tutto le fanno pagare!!! ...d'altronde abbiamo bisogno per salvare il mondo di una decrescita possibilmente felice, ma guai parlarne perché sei uno che non vuole il progresso, perciò continuiamo così

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  2. bisogna anche ricordare che il mercato offre ciò che il mercato chiede......

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    1. Sbagliato! Tu comperi quello che il mercato vuol farti comperare!

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    2. provate a lasciare i prodotti sugli scafali e vedrete che cambia la musica...

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    3. Fai una prova e riferiscici.

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  3. Tutto vero!!! E pensarci è una disperazione.. quanta plastica! Io da tempo acquisto alcuni detersivi alla spina, alla Prodet di Arsiero.. basterebbe provare...Lucia

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    1. Grazie Lucia, non sapevo che ad Arsiero ci fossero detersivi alla spina; Ci vado nella speranza che poi soddisfino le esigenze della me parona de casa!!!! Un abbraccione

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  4. Idem se non alla spina ci sono anche contenitori ricarica che finiti si piegano come una busta ( almeno meno plastica).e poi andare a prendere le bibite in bottiglia di vetro che si restituisce.

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    1. Una volta per lavoro ho rilevato i prezzi dei prodotti in vendita nei supermercati ed ho verificato il prezzo al kg di di medesimi prodotti confezionati in diverso formato. Vi ricordate i diversi formati dei detersivi in polvere, fustoni, fustini e il famoso sacchetto ricarica che ti faceva tanto sentire “ecologista”? Ebbene la ricarica era quella che al kg costava di più. Questo a conforto del post di anonimo del 17 ore 21:58.

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  5. Io invece obbligherei i supermercati ed in generale i venditori di imballaggi in genere a dover ritirare gli imballaggi vuoti. Per la maggior parte dei prodotti imballati costa di più limballo che il contenuto.L’utente finale quando compra un prodotto imballato dovrebbe pagare una cauzione sullo imballo che gli dovrebbe essere doverosamente restituita quando la ritorna vuota. Semplicità allo stato puro forse troppo semplice per cui non si potrebbero nascondere intrallazzi, mazzette e deviazioni varie. All’estero in tempi quando in Italia solo una minoranza sapeva il significato di ecologia esistevano i contenitori per il vetro bianco quello verde e quello marrone! In Svezia i supermercati ritiravano le bottiglie in plastica e rifondevano la cauzione. In Italia invece si colpevolizza l’utente finale che dopo aver pagato l’imballo , deve ulteriormente pagare per smaltirlo, deve studiare per sapere dove buttarlo, se sbaglia paga ed inoltre lo si fa sentire colpevole dell’inquinamento del pianeta, dai residui trovati sull’Everest a quelli che si trovano sullo spazio, alle microplastiche nelle fosse delle Marianne. E pensare che al massimo son bon de rivare a Venezia.

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  6. La nostra in futuro sarà definita l’Era della Plastica, perché siamo sommersi dalla plastica, con danni incalcolabili per l'ambiente

    Nulla da eccepire se l’umido, cioè i residui di frutta e verdura, deve essere smaltito nel composter, e, dopo un certo periodo, il prodotto così ottenuto viene utilizzato come ottimo fertilizzante organico per l’orto di casa, anzi. Quello che mi innervosisce sono le etichette che, appiccicate ad ogni frutto, differenziano, per esempio, le mele Melinda, dalle mele Marlene, o le banane Chiquita, dalle banane GK. Se le etichette fossero di carta normale, anziché di materiale plastificato, difficilmente biodegradabile, si eviterebbe che, anche a distanza di anni, la terra dell’orto risultasse infarcita di innumerevoli coriandoli multicolori.

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  7. Ahhhh, che bella la reclam che faceva Bramieri!...la ricordate!??

    e mo... e mo... e mo... MOPLEN! mettendo in crisi le nonne, abituate al riciclo!

    Poveri noi!

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  8. Hai ragione Fioldoncan.
    La Moplen fu prodotta per la prima volta dallo scienziato italiano Giulio Natta. L’invenzione gli valse, nel 1963, il Premio Nobel per la chimica.
    Per la caratteristica di notevole resistenza agli urti e al gelo della innovativa Moplen, ebbe inizio l'epoca della plastica usa e getta che, col passare degli anni, purtroppo, diede origine all’attuale catastrofe dovuta all’inquinamento generalizzato dell’ambiente, soprattutto delle acque.

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