giovedì 30 maggio 2019

Dàghe de doja!


[Gianni Spagnolo © 190525]
M’è sempre piaciuto trapolàre col legno, fin da bambino. Allora giravo con l’inseparabile coltello a serramanico in tasca, come tutti del resto. Serviva per molteplici usi: decorare bastoni, far fionde, archi, frecce, trappole, bàiti, bachetùni e mille altre robe. Di riflesso anche sotto naja alpina, quando si voleva negare qualcosa, si diceva sarcasticamente alle burbefàtelo de legno! 
Porto ancora sulle mani le cicatrici di quegli apprendistati e ne ricordo una per una le circostanze. Era una passione di famiglia, dato che anche mio nonno e mio padre amavano lavorare il legno. Mio padre poi era particolarmente abile con l’ascia: grazie alla pratica giovanile di necessità e all’arte di carpentiere, riusciva a fare con la scure lavori che normalmente necessitavano di utensili ben più specifici. Anche con il sasso se la cavava bene; lo squadrava con pochi azzeccati colpi riconoscendo ad occhio le microscopiche venature della pietra, che io neanche vedevo. Avevo sei o sette anni quando ricevetti in regalo la mia prima scure: era un residuato bellico, ricavata da un’ascia da pioniere; piccola e maneggevole, adeguata alla mia taglia. Con quel menarotèlo cominciai ad esercitarmi a spaccar la legna da ardere e mi divertivo un mondo a fendere con un sol colpo i piccoli tronchetti di faggio e carpine o più ancora quelli di abete, leggeri e dalle venature diritte. Il mio cruccio erano però i nodi dei pezzi più grossi, che impedivano l’immediata fenditura e mi costringevano ad estenuanti ribattute alternate a laboriose operazioni per estrarre la lama incastrata. Mio padre osservava sornione i miei armeggi lasciandomi fare. Fin quando mi contorsi nell'ennesimo tentativo di disincagliare il tagliente serrato nel legno, fu allora che m'incitò: Dàghe de doja! 
Al mio sguardo interrogativo e un po’ ebete, mi prese dalle mani la scure con il pezzo incastrato e la sbatté sul sòco dalla parte opposta alla lama, provocando l’immediata fenditura del legno in due belle stèle proiettate vigorosamente ai lati. “Co te vidi che no la va de péna, biòn che te ghe dai de doja.” Mi disse sorridendo.
Eccitato dalla scoperta mi addestrai in quella nuova tecnica, anche se a volte non riuscivo a gestire bene l’operazione perché il manico del menaròto mi scivolava fra le mani per il peso sbilanciato, vanificando il colpo fatidico. Gradualmente acquisii maggior abilità, ma c’erano dei nodi ostici che non riuscivo a spaccare in nessun modo e allora passavo mestamente l’incombenza a mio padre, pensando che fosse solo una questione di forza fisica. Fu lì che lui mi fece avvicinare al cumulo di legna e mi spiegò l’importanza di osservare bene i pezzi da spaccare, riconoscere il tipo di legno e le sue diverse caratteristiche, l’andamento delle vene e la struttura dei nodi prima di decidere come affrontarli. Poi mi disse che per spaccare certi gròpi era necessario: “Dàrghe séco intî corni.” L'operazione consisteva nello sferrare il fendente direttamente sui nodi del legno messo in posizione coricata e non verticale e me ne mostrò l'efficacia sul pezzo sul quale m'ero appena incaponito, che infatti si divise magicamente in due al primo colpo. 
A xe come par le rogne!” disse. “Serte le va destrigà co le molesìne,  altre biòn dàrghe de doja, invesse cuéle pì incatijà biòn ciapàrle a muso duro e bareta fracà, co na bela stéca intî corni.” Come Alessandro con il carro di Gordo, dunque, anche se quest’analogia la scoprii più avanti. Ecco che allora la mia abilità di spaccalegna si perfezionò con una preventiva analisi della struttura del pezzo da rompere e una più efficace scelta delle modalità d’intervento. Spesso era necessario combinare le diverse tecniche per riuscire nell’intento.
Diventato poi adulto in contesti meno rustici, ebbi l'occasione di partecipare a numerosi corsi di aggiornamento. Allora via con: Situation ManagementLean thinkingKaizen, ecc. dove ti spiegavano come ottenere la massima efficacia negli schemi organizzativi e nei processi industriali applicando ampiamente il lateral thinking, con  proiezione di slide, istogrammi, flow chart,  casistiche di successo e relative didattiche.
Mi veniva da sorridere al pensiero che quei concetti li sapevo già fin da bambino. Me li aveva insegnati mio padre, senza tanti paroloni, usando semplicemente un menaròto e dei pezzi di legno. 

Doja: parte superiore dell’occhio della scure opposta al tagliente, utilizzabile come mazza. Dovrebbe derivare per analogia dal veneto dovo, dojèlo (giogo). 
Dàrghe intî corni: soluzione draconiana di un problema, derivante verosimilmente dalle modalità di abbattimento del bestiame grosso tramite una mazzata frontale, come avveniva prima dell'uso dei trombini a proiettile captivo.

Lateral Thinking (Pensiero laterale)Modalità di risoluzione di problemi logici che prevede un approccio particolare, ovvero l'osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema.


3 commenti:

  1. Come mi piace quanto scrivi. Queste parole dialettali che non sentiamo quasi più. Grazie

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  2. Bravo Gianni ma... attento ai nomi locali....es. Val de Rigoloso... Marco è Cristoforo Rigoloso erano presenti il 29 giugno del 1578
    nella delibera per la fusione con Rotzo...

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    1. Forse hai sbagliato Post e di quello cui ti riferisci non hai letto bene il contesto.

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