Oggi voglio narrarvi un fatto accaduto realmente nel mese di
aprile 1978, tenuto sempre nascosto dalle autorità militari di allora, io ne
fui testimone diretto e coinvolto, mio malgrado, nelle successive indagini
militari.
Belluno per noi vicentini è sinonimo di servizio militare, quanti
giovani sono passati da quelle parti.
Nel 78 ero aggregato come conduttore al
corso roccia di quella primavera; il comandante del corso era un tenente colonnello
nativo di Villaverla, ne ricordo solo il cognome: Zaltron. Il corso si svolgeva
in questo modo: la prima settimana addestramento sulla palestra in roccia di
val Gallina, una valle parallela a quella del Vajont e le due settimane finali
del corso, trasferimento nella caserma
alpina di Arabba per scalare le cime dolomitiche.
Le mie giornate erano di una noia mortale, il
mattino andavo a prendere nel suo alloggio il comandante, raggiungevo il resto
del reparto e via verso la palestra di roccia, tutti in scalata tranne noi
autisti, fermi a terra ore su ore in attesa della fine della giornata. Eravamo
in cinque: io, un medico di pronto soccorso, l’autista dell’ambulanza e i due
conduttori dei mezzi trasporto truppa. Unica divagazione personale era il
ritornare verso le undici in caserma a
Belluno per ritirare il rancio spettante
al corso roccia, il resto era aspettare e aspettare. La val Gallina è sbarrata
da una enorme diga, meno famosa della sorella del Vajont, ma tecnicamente è l’acqua del suo invaso che fa muovere
le turbine della centrale Enel di Soverzene, la più produttiva della zona.
A
inizio corso, sotto una nevicata incredibile, accompagnai il comandante sù in
diga, con il proposito di avvertire il
custode di non aprire lo svaso dello diga in nessun modo, sotto, a mezzo chilometro circa, quaranta alpini erano in addestramento e non era il caso di
finire in ammollo. Vennero stabilite delle date e tutto finì lì. La stagione in
montagna era pessima e lo strato della neve era ancora troppo abbondante, non
si poteva restare ad Arabba e si decise di andare direttamente al passo
Falzarego da Belluno, avanti e indietro per due settimane, partenza alle sei
dalla caserma Fantuzzi e arrivo verso le sette e trenta al passo. La neve era
decisamente troppa, gli alpini rocciatori facevano più fatica a raggiungere la
base del Lagazuoi che scalarlo, il tenente colonnello Zaltron prese la decisione
di ritornare nella palestra di val Gallina e cominciò cosi l’inizio della fine
del corso roccia 1978. Se i fatti che state per leggere fossero successi
mezz'ora prima, probabilmente sulla roccia della palestra, oggi, ci sarebbe una
lapide con i nomi degli alpini annegati in quella sfortunata mattina.
La giornata
si presentava bella e assolata come solo la primavera sa dare; puntuali alle
otto e trenta, tutta la compagnia era schierata sotto le grigie rocce della
palestra, il programma era che dopo aver dato l’inizio alle arrampicate, io dovevo accompagnare il comandante alla
diga per avvertire del ritorno del corso e quindi di non aprire eventuali
svasi. Non si fece tempo a far niente, a terra noi autisti, un medico e il
Zaltron pronto a salire nella jeep per portarsi in diga, in roccia al sicuro
tutti gli alpini. Schierati a terra come
in parata tutti gli zaini personali, scarponi e accessori vari, i mezzi
militari erano parcheggiati in una specie di piano ghiaioso un metro rialzato dal greto del torrente,
tutto era pronto per la scena finale. Fu come sentire un temporale lontano,
dalla valle arrivavano dei rumori di qualcosa che rotolava, di schianti,
silenzio e poi ancora schianti, non si notava niente, ma già alcuni rocciatori
ci gridavano via viaaa...,
arrivò per primo lo spostamento d’aria, un vento umido e appiccicoso precedette una strana nebbia e poi fu il disastro, una valanga di acqua e fango alta circa un metro e con una velocità impressionante travolse tutto e
per fortuna che prima di raggiungerci fu costretta a sbattere sulle rocce di fronte a noi dandoci il tempo di riparare in tempo verso l'alto.
Panico, di corsa con la jeep verso la diga, la strada era sparita, il fango mi disturbava la guida, tutto era marrone e ricordo il viso sconvolto del comandante che imprecava dandosi dello stupido. Quando tutto finì si fece la conta dei danni, tutti gli zaini ed accessori vari spariti nel Piave, vane le ricerche fatte il giorno dopo da tutta la caserma Fantuzzi, gli automezzi sani, ma con il fango fin sopra il tetto, patenti e documenti dei rocciatori tutti spariti per sempre nella valle del Piave, sparito anche un numero imprecisato di armi in dotazione. Lo spavento fu grande e fu calcolato che se lo svaso avvenuto alle nove fosse partito alle otto e trenta, alla conta dei danni bisognava aggiungere vite umane; incredibile lasciarci la pelle per un evento simile. Il tenente colonnello Zaltron sparì dalla circolazione, tutto fu nascosto, nessun giornale scrisse del fatto, il Piave venne presidiato per alcuni giorni, aver perso delle armi evidentemente era motivo d'insonnia per il comando. In quel periodo il comandante Zaltron non mi chiamava mai con il mio nome da alpino, che si sa essere solo il cognome, ma... "sito pronto Monteberico?... dai parti"... vuoi vedere che la Signora, quella mattina era con noi in Val Gallina?...
arrivò per primo lo spostamento d’aria, un vento umido e appiccicoso precedette una strana nebbia e poi fu il disastro, una valanga di acqua e fango alta circa un metro e con una velocità impressionante travolse tutto e
per fortuna che prima di raggiungerci fu costretta a sbattere sulle rocce di fronte a noi dandoci il tempo di riparare in tempo verso l'alto.
Piero Lorenzi
Caspita Piero,l'hai scampata bella. Mi ricordo quei posti, andavamo a caccia di lepri col Garand (mai beccata una).
RispondiEliminaSai che mi stai mettendo angoscia? Non è che domattina arrivi la Benemerita a svegliarmi per notificarmi una diffida per attentato all'onore e al prestigio delle FF.AA? Fortuna che a Roma hanno altre rogne...
Quando la si scampa, si pensa sempre ad un'ombra sopra.
RispondiEliminaE quelli che non la scampano? Allora o è tutto il caso o c'è un destino? Dicono che il destino sia la convinzione della gente fiacca e rassegnata. O ce lo creiamo noi? Visto che nel blog gira un Philosopho che sa condire il tutto anche con poesia e ironia, vorrei sapere la sua, ma, ovviamente, non solo la sua. Grazie
Phil non interviene a comando, tuttavia non può sottrarsi a così garbati solleciti. Risponderò dunque con le parole di Hamsun:
Elimina"Un caso che finisca bene è provvidenza, un caso che termini male è destino".
Senza tuttavia dimenticare il caro C. Nepote:
"È il carattere quello che segna il destino di ciascuno"
Più prosaicamente io penso che il destino sia un po' come l'AIDS: se lo conosci lo eviti, se lo eviti non ti uccide.
....e la "stoltezza" lor- chiaman destino. Omero 8 secolo A.C.
RispondiEliminaOra che gli ho letti quasi tutti comincio a mettere qualche messaggino. Trovare Piero che scrive su questo blog non me lo aspettavo certamente. Sai che giocavamo a libera in piazza? e a cucotto? ma quando toccava a me a contare su per il mura della Dina io non venivo mai a cercarti nel porticato dei maule perchè eri pericoloso, sicchè eri l'ultimo a venir fuori e mi fregavi venendo sù dall'altra parte. a quel tempo non avrei di sicuro pensato di trovarti dopo tanti anni qui, n di sicuro. sto pensando a com'è buffa la vita! bravo però, bravo ciao piero
RispondiEliminaBenvenuta Heidi, .. ma ti conosco mascherina? Parli di noi tutti come se ci conoscessi da sempre.
EliminaVedo che giocavi a cucotto con Piero (Peter), ..tu sei Heidi,... il Vecchio dell'Alpe già ce l'abbiamo,... manca solo NEBBIA e pò la fémo conpìa! Se entri nel Blog ti facciamo andare in briscolo fra le tue montagne.
chissa cosa vorra dire " pericoloso" ma! un grosso bacione cara heidi hai smosso molecole assopite, spero di dormire stanotte, col pensiero di chi tu sia....
Eliminama sicuramente sì ho solo pochi anni meno dei tuoi ok per Peter ma il vecchio delle alpi chi sarebbe? fammi ricordare un po Nebbia è il cagnone bianco? che ricordi? Parli di briscolo, ecco quelli erano uno dei nostri pochi giochi. ma sai che contenta che sono a leggere questi blog? sai ho scoperto con il link vostro che c'è un blog anche a Casottoe sto guardandolo un po che aprofitto dei 3 giorni di riposo che ho. bravi tutti. so Gianni che eri tanto bravo a scuola e si vede anche dai tuoi raconti. Hai ragione a leggere il blog è come andare nel briscolo di qua e di la. ciao Gianni stammi bene
RispondiEliminaEccomi qua... era andato a spiocionare un pò in quel di Casotto a vedere come butta, ma basta che manchi un attimo e subito che taché con l'incenso. L'incenso xe come el profumo, ghin basta na gosa drio la recia che massa el stomega. Tenti vero che pi valtri fè i leca, pi Sponcio se gode a becàre. Dopo non capisco il perché di tutti questi anonimi, nomignoli, paura di esporsi?
RispondiEliminaSponcio di nome e di fatto. E lei allora? Dica lei per primo come si chiama, ma nome e cognome, poi parli.
EliminaIo mi sento in regola, è previsto dal profilo.
Lo scorpione doveva attraversare il fiume; così non sapendo nuotare, chiese aiuto alla rana: - "Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull'altra sponda"- La rana rispose: - "Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!!!" -"Per quale motivo dovrei farlo" - incalzò lo scorpione - "Se ti pungo tu muori e io annego!"- La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell'obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua.
EliminaA metà del tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all'insano ospite il perché del folle gesto.
-"Perché sono uno scorpione…" - rispose lui “è la mia natura!”
Parimenti io sono Sponcio e sponcio: è la mia natura!
E mi alora ca son scarpion a ghe someiarisili a quella bestia li'??????
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