Dai primi anni settanta, con un lento ma progressivo aumento,
i giovani del paese si motorizzarono un po’ tutti, chi per motivi di lavoro o
mezzo di famiglia, la moto entrò a far parte del paesaggio della valle. Su
tutte, erano le Vespe a primeggiare, il loro
caratteristico rumore si sentiva indistintamente provenire da lontano, la
Pontara segnava la gara classica e riuscire a farla tutta in terza marcia era
impresa epica. La pedalata per accenderla diventava una scommessa con la
meccanica del piccolo motore Piaggio, un nipote del motore di avviamento degli
aerei nazisti Stuka della seconda guerra
mondiale.
Nel 1974 iniziarono i sei anni
del calzaturificio S.i.t. e le vespe 50 trasportavano di buona lena molti
giovani da casa al posto di lavoro e viceversa, trasformandosi nei giorni
festivi nel nostro mezzo di divertimento. Gialle, rosse, grigie, verdi,
bianche, con il paravento o senza, con la pioggia e la neve sempre puntuali a
portarci al lavoro, le nostre care e mitiche vespe. La mia era di colore grigio,
modello 1973 con il faro rettangolare, presa nuova da Pepe, doveva servire a mio
padre per raggiungere il cantiere nei prati dell’Astico, ma per
mancata
confidenza con il mezzo, dopo pochi giorni l’abbandonò nella stalla. Di fatto
diventò mia e dopo poco tempo, all’insaputa dei miei genitori, cambiando
collettore di scarico, carburatore e marmitta la trasformai in un razzo e la Pontara non era più un problema. Allora si circolava senza casco e senza
alcuna protezione, le cadute erano per fortuna rare e non ricordo di incidenti
gravi accaduti in quegli anni a noi vespisti di S. Piero, tranne uno, il mio.
Andando a fare un bagno nel posto stupendo che c’era prima del ponte di
Pedescala, una piscina naturale con una piattaforma di cemento per prendere il sole,
allo stop di Forni, non so come, ma attraversai la strada senza vedere che
stava per arrivare una Autobianchi A112 diretta a Lavarone; lo schianto fu
tremendo, mi ritrovai in aria senza la moto sotto il sedere e caduto
sull’asfalto vidi quel che restava della
vespa, lontano da me una ventina di
metri che girava su se stessa come una trottola. Moto distrutta, ruota, sterzo,
manubrio, faro, spariti, ma per fortuna
ero tutto intero, ricordo di non aver avuto paura, ma il vedere la vespa
conciata in quel modo mi provocò un senso di rabbia e dispiacere; a complicare
la storia ci pensarono gli abitanti del posto che, alla mia richiesta di un
carretto per trasportare la moto in officina da Pepe, nessuno mi aiutò e
dovetti chiamare Amelio con il suo motocarro, pagandolo profumatamente.
Senza
dubbio il miglior pilota da vespa era Arnaldo, come pennellava la curva di
Castelletto
lui nessuno ne era capace, il monte di Rotzo era da asfaltare, ma
Arnaldo lo percorreva vedendo nella sua mente l’asfalto, il risultato era una
guida pulita e sicura anche con la strada bianca, io seduto dietro chiudevo gli
occhi trattenevo il respiro e solo alla fine della curva ritornavo in questo
mondo. Arnaldo amava guidare, amava i motori, la vespa era una sua vera
passione; presa la patente si regalò una seicento color caffelatte, sembrava la
guidasse da una vita. Purtroppo, la sua di vita la perse sul cantiere della
nuova autostrada Valdastico, un tragico incidente si portò via un ragazzo di
diciannove anni, un destino beffardo e ingiusto.
La vespa più famosa in assoluto però era quella di Gianni (stecca). Il suo nome (perché le sue vespe avevano sempre un nome) era: Il
crepuscolo degli dei. Di color verde pisello, lo scarrozzava per tutta la
valle, partiva sempre al primo colpo, quando Gianni parlava della sua vespa
pareva un poeta in estasi, nessun vespista osava dare un nome al
proprio mezzo,
il Crepuscolo Degli Dei non lasciava spazio per altre fantasie. Il destino
volle che in sella al Crepuscolo la vita di Gianni finisse, forse il suo ultimo
sguardo si pose sulla sua vespa e aspettando la notte chiuse gli occhi. Ora la
piazza è silente e annoiata, tutto tace, immaginiamoci di salire più in alto, ancora più in alto,
nello spazio siderale e con un potente telescopio osservare il paese: Gialle,
rosse, grigie, verdi, bianche…
Piero Lorenzi
Forse la PIAGGIO c'invierà un panettone per Natale? Ke dici Piero?
RispondiEliminaSe me la ricordo la vespa verdolina di Gioàni steca... quanti giri sù e giù, di qua e di là... altri tempi Piero... che si ricordano con tanta nostalgia, vuoi perchè erano i tempi della giovinezza, della spensieratezza, dell'incoscienza... Anche Gianni ne aveva acquistata una da Pepe color bianco e l'adoperavo pure io.
quante robe che se faxea in vespa, Bepi Mardemin la adoperava anche come cavallo da strosso, in giro ghe xe la foto...
RispondiEliminaVa là,va là,piero,no sta parlarme a mi de vespa....Mi in moto e lu in vespa a ghe ghemo messo 24 ore da Modane a San piero!!!!!Partii insieme,già perso so par la discesa
RispondiEliminadel Moncenisio.......Semo sentà so, mi e la morosa, davanti Porta Castello e se lo vedemo sfecciare davanti.....gera le sie de sera.....dove chel fusse sta tutte queste ore.....mah...mai saesto......Al ritorno ghemo messo le moto sul treno fin a Torino.
Perso un'altra volta fora par corso Francia....lo go rivisto dopo tri misi a Modane....
Va là ,va là piero no sta parrlarme a mi de vespe....con le rue!!!!!!
Ne eri così orgoglioso e geloso, che mi negavi sempre un giro!
RispondiEliminafaccenda sempre più complicata...
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