Un mio amico
mi raccontò:
All’interno
di una fabbrica c’erano diversi siti, nei quali erano stoccati dei vari
materiali. In uno di questi veniva stoccato in “un piazzale”
il carbone che serviva per i forni della piccola fonderia.
In un altro piazzale, c’era una
baracca, costruita con delle lamiere su un'intelaiatura di travi di ferro e
dentro c’era un macchinario che, a quel tempo, non sapevo neanche esistesse.
Era una
sabbiatrice, funzionava mediante un tubo nel quale veniva
pompata aria con piccoli pallini di ferro. Questi pallini erano poi eiettati ad
alta pressione, per togliere la ruggine dai pezzi di ferro di grandi
dimensioni.
Gli addetti
che vi lavoravano dovevano operare sempre all’aperto, sia d’estate che
d’inverno e quindi, per scaldarsi nei periodi invernali, allora molto rigidi,
avevano costruito con un tubo di ferro di grosso spessore e diametro una stufa,
in modo da scaldarsi un po’ durante il loro lavoro.
Per
alimentare il fuoco naturalmente utilizzavano pezzi di carbone che andavano a
prendere con la carriola in questo grande piazzale.
Con questo
macchinario lavoravano 3 operai: Joani, Toni e Marieto, il più
giovane, reduce dal servizio militare nell’arma dei Carabinieri e appunto
soprannominato “Maresciallo”.
Nella stessa
zona, ma in ufficio, c’era anche Claudio Menara, soprannominato “l’orso”, ma era
anche burlone; non di certo un animale in pelliccia ed ossa, ma un impiegato
cosi chiamato per il suo modo burbero e ombroso, soprattutto alla mattina
quando si recava al lavoro. Un personaggio con il quale bisognava prestare
molta attenzione a quello che si diceva e quello che si faceva. Insomma un po’
burlone.
Menara
“l’orso” non era da tanti anni dipendente di questa ditta,
quindi era sempre guardingo e un po’ schivo, ma con il passare del tempo piano
piano diventò un po’ più loquace. Incominciava a scherzare con i suoi colleghi,
e piano piano si fece anche delle amicizie.
Incominciava
ad imparare ad orientarsi all’interno dell’azienda e a conoscere sempre meglio
i colleghi.
C’era un
reparto chiamato “Laboratorio” dove venivano fatte delle analisi e delle prove
su materiali che servivano per la realizzazione del prodotto finale, e proprio
questo laboratorio era a ridosso del piazzale dove c’era la montagna di
carbone.
In
laboratorio si usavano delle bombolette spray che contenevano una sostanza
detta in gergo “polvere bianca” che serviva ad
individuare eventuali difetti nei materiali.
Così ogni
tanto gli operatori del laboratorio, per pulire le bombolette in modo che non
si intasassero, spruzzavano questa polvere sui pezzi di carbone che erano lì, a
portata di mano.
Un giorno, il
mitico Marieto “maresciallo” fu mandato da Joani con la carriola a prendere un
po’ di carbone.
Arrivato in prossimità del deposito, fece una smorfia di stupore e di sgomento. Restò per
alcuni minuti fermo, impietrito davanti alla montagna di carbone, come se
avesse visto qualche cosa di anomalo.
Quando si riebbe, lasciò lì la carriola
e, veloce come un folletto, si diresse verso la porta d’entrata del
laboratorio, l’aprì e tutto trafelato si diresse nella sala analisi dove trovò
"Kiki" un collega anche lui un po’ burlone, come “l’orso”, al quale
quasi balbettando chiese spiegazioni sul motivo per cui fuori, nella montagna di carbone, ci fossero parecchi
pezzi di colore bianco.
Kiki, che di esperienze di queste cose
ne aveva fatte a camionate, senza battere ciglio e con tutta la sua calma ,
spiegò a Marieto “maresciallo” che, in mattinata, aveva visto arrivare un
piccolo camion che aveva scaricato questo tipo di carbone e che aveva sentito
parlare l’autista con il magazziniere che dicevano che si trattava di un nuovo tipo di carbone che arrivava dalla Siberia con un alto contenuto calorico quando arrivava a contatto
con il fuoco.
Kiki sempre pronto a certe domande
rispose un po’ seccato:
"S’el vien dala Siberia votu ch’el
sia verde? Te lo se che la zé tuto bianco!"
Marieto, ancora più sbalordito e
stupefatto per la nuova scoperta, fece un cenno con la testa e chiese a Kiki se
poteva prendere un paio di pezzi per provarlo nella stufa della sabbiatrice.
Ricevuto dall’intelocutore il benestare, usci brontolando e gesticolando,
sbattendo la porta senza neanche salutare.
Marieto sparì come un fulmine, diretto
di corsa verso la carriola parcheggiata vicino al carbone, e in pochi attimi
caricò la carriola quasi zeppa di carbone normale per poi metterci sopra,
adagiandoli piano piano, 3 - 4 pezzi di carbone siberiano. Riprese la carriola per i manici e, tutto soddisfatto e fiero,
si recò al proprio posto di lavoro per comunicare la scoperta fatta anche agli
altri colleghi. Arrivato presso la baracca dove era situata la sabbiatrice,
raccontò subito ai suoi colleghi “già avvertiti dal Kiki” quello che poco prima
aveva scoperto. Tutto agitato, prese un pezzo di carbone bianco e lo gettò
dentro la stufa, impaziente di sentire se il calore che emanava era molto più
intenso di quello prodotto dal carbone normale.
Lì vicino c’era un altro fabbricato: era
l’ufficio di Piero Tisato, responsabile
del magazzino ferrosi lamiere di vario spessore, tubi di vari diametri , ecc..,
il quale aveva assistito al racconto del Maresciallo.
Piero subito confermò che quel tipo di
carbone bianco, già testato da lui, era proprio un portento perché all’interno
del suo fabbricato la sua stufa era stata deformata dal grande calore emanato
da questo carbone. Il Maresciallo, tutto contento della sua scoperta,
incominciò a raccontare in giro del suo nuovo ritrovato.
Tutti però avevano capito, tranne lui, della burla di cui era stato vittima, ma tutti stettero al gioco.
Cosí si continuò a colorare di bianco i
pezzi di carbone e addirittura, poi, qualche responsabile si prestò al
gioco e fece al Maresciallo un permesso speciale intestato proprio a lui per il
prelievo del carbone.
Un giorno qualcuno, forse il Kiki,
colorò anche dei pezzi di lingotti con la polvere bianca e furono poi gettati
sopra il mucchio di carbone. All’arrivo del Maresciallo con la sua carriola, vennero
caricati anche quei pezzi e gettati
nella stufa, ma dopo una settimana erano ancora lì, tali e quali.
La domanda che venne spontanea al Maresciallo, nel vedere che quei pezzi di “carbone” rimanevano sempre gli
stessi, fu:
Ma varda, come che la sia che l’é così resistente sto carbon bianco?
La risposta pronta fu data da Joani:
Quel carbon el ga dentro dei minerali
speciali che fa si ch’el dure anca par un mese.
Il Maresciallo credette anche a questo e, dondolando la
testa, se ne andò.
Nel frattempo in un capannone lì vicino
si lavorava con materiale di alluminio e
c’era un operaio di nome Jigio, che saldava con quel materiale. A Claudio venne
un’idea.
Disse a Jigio di far cadere alcune
gocce di saldatura per terra e, quando si raffreddarono, le raccolse e se le
mise in tasca.
L’indomani Claudio sparse la voce che in quel carbone bianco proveniente
dalla Siberia, “dopo l’analisi fatta da Kiki”, si erano trovate tracce e filamenti di
argento, e che per questo se
qualcuno nel suo utilizzo avesse trovato tracce d’argento nella cenere, doveva
consegnare il ritrovato al Capo Reparto.
Il Maresciallo, ascoltava tutto ció in
mezzo ad un gruppetto di operai, senza dire una parola, ma dentro la sua testa
aveva già capito qual’era la sua prossima mossa: rovistare dentro le ceneri
della stufa per vedere se, per caso, anche lì ci fosse qualche traccia di argento
fuso.
Infatti il giorno dopo, durante l’ora di
pranzo, si diresse verso la sabbiatrice pensando che non ci fosse nessuno nei
paraggi, arrivò alla stufa e fischiettando per non dare nell’occhio, le gironzolò
attorno per quasi 5 minuti poi, visto
che non c’era anima viva, si accucciò, aprì il coperchio e, con un’asta di
ferro, cercò in mezzo alle braci e alla cenere se per caso ci fosse qualche
piccolo pezzo chiaro color argento. Dopo circa 10 minuti di ricerca, dalla
stufa cadde un pezzo grigio a forma quasi di moneta con in mezzo una piccola
pallina, poi un altro e un altro ancora. Il maresciallo stava perdendo gli
occhi talmente li sgranava dallo stupore: era in quel momento talmente agitato che non riusciva a stare fermo con i piedi, continuava a
saltellare con piccolissimi passetti di qualche centimetro, la sua testa girava
di qua e di là come una trottola per controllare
che nessuno avesse visto o venisse a disturbarlo. Il suo volto, quasi bruciato
dal calore che emanava la stufa, era diventato talmente
rosso come fosse rimasto al sole per una giornata intera.
Quando i pezzi grigi furono raffreddati il Maresciallo si chinò e, come un
fulmine, li prese tutti e tre e se li mise in tasca. Poi facendo finta di niente, fischiettando per non insospettire i
suoi colleghi se ne andò, ma
incrociò Joani il quale rimase di stucco nel vedere il Maresciallo con la
faccia completamente rossa che gli chiese:
Cossa ghetu fato che te si tuto
roan?
A tale domanda il maresciallo si
giustificò dicendo che si era addormentato vicino alla stufa.
Joani però era sicuro che il maresciallo aveva raccontato una balla e cosi l’indomani, a stufa
spenta, cercò dentro la cenere le piccole medaglie grigie che lui aveva
appositamente messo due giorni prima, rovistò per circa mezz’ora, inutilmente
perché le medagliette erano già sparite. Fu così che capì che il Maresciallo
era passato prima di lui.
Il giorno dopo, a fine giornata, il Maresciallo fu pedinato da Joani e da Toni e fu visto entrare in una
gioielleria nei pressi di
Santorso. Uscì dopo circa 15 minuti, serio, tenebroso e scuro in
volto, come avesse avuto una brutta notizia.
Il giorno seguente arrivò sul posto di lavoro serio, con lo sguardo basso e senza
nemmeno degnarsi di dare il buongiorno ai suoi colleghi, sembrava volesse
schivare domande indiscrete. Mogio e pensieroso andò verso la sabbiatrice dondolando sulle sue gambe, passo dopo passo.
Sembrava arrabbiato con qualcuno, serio, lunatico e di poche parole diverso dagli altri
giorni; fu così che Joani ruppe il ghiaccio e gli chiese cosa fosse successo,
ma dalla bocca del Maresciallo non usci neanche un piccolo suono.
I due colleghi cercarono, in qualche
maniera, di sapere cosa gli fosse successo, cercarono anche di buttare lì una
frase del tipo:
Marieto, a gavemo sentio che nel carbon
bianco ghe xera de le vene de argento. Ti par caso setu gnente?
Il Maresciallo era irremovibile, era
ermetico come un vasetto di marmellata fatta in casa dopo la bollitura.
Passarono i giorni, le settimane, finché
un giorno qualcuno che aveva un po’ di tempo si recò alla gioielleria nei
pressi di Santorso per chiedere se era passato di lì un personaggio con delle
medagliette grigie come l’argento.
Il gestore della gioielleria confessò
ridendo che, qualche tempo prima, era passato un tipo un po’
strano con tre medagliette, dicendo che le aveva trovate dentro una stufa e che
secondo lui doveva essere argento, perché era colato da pezzi di carbone bianco
proveniente dalla Siberia che avevano bruciato dentro la stufa.
Poi il gestore scosse la
testa e con un sorriso disse:
A go sercà de stomegarlo el meno
possibile, ma lu el zera proprio convinto che fusse argento.
Ancora oggi, quando si incrocia il Maresciallo, viene spontaneo chiedergli:
“Ehi Maresciallo ... e alòra ... el
carbòn bianco ... scàldelo?
Nico Sartori
Ciao Claudio "Menara"
RispondiEliminaVeramente una storia divertente, da leggere tutto di un fiato, tempi in cui in fabbrica ci si poteva anche divertire, altri tempi...purtroppo.
Speriamo tornino!!!
A Bientot Gino
vedrai come è bello lavorare con piacere, in una fabbrica di sogno, tutta luce e libertà...(Enzo jannacci- Vincenzina e la fabbrica)
EliminaBravo Nico per aver trasmesso ai posteri questa storia vera e incredibile,
RispondiEliminail Pittore...
Pittore ti voglio parlare, magari metendo i piè soto la tola.
EliminaGrazie, e si è proprio quello che ho voluto fare, trasmettere i bei tempi quando a lavorare si andava volentieri, è c'erano anche dei momenti nei quali ci si divertiva. Proprio bei tempi
Ciao Nico, come sempre le tue storie sono divertentissime, da ammirare anche la capacità dei colleghi di fabbrica a tenere in piedi lo scherzo sino alla fine!!!Salutoni Floriana
RispondiEliminaSi si Floriana, erano tempi ben diversi da quelli di oggi, pensa che in quei periodi mi divertivo anche ad andare a lavorare, oggi invece.................
RispondiEliminaanche a Nico bravo--------------ti ricordo nel cortile della scuola----------------questo blog fa da colla fra tutti quelli che sono andati via dal paese o no? è bello anche questo
RispondiEliminaForse, anzi sicuramente, visto che lo dici ti ricordi di me nel cortile della scuola, ma io non posso ricordarmi di te con il nome cosi camuffato. grazie cmq
EliminaNico, ma cossa ghetu fato nel cortile della scola par essere ricordà dopo tanto tempo....
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