giovedì 17 agosto 2023

Vanedamìnti

[Gianni Spagnolo © 23G30]

Prendo spunto da questa bella panoramica invernale del Monte di Casotto inviataci dal nostro attento lettore Enrico Sartori, stuzzicato dal post, che, fra cose più profane, richiamava alle fatiche degli avi sulle “vanède alte 

https://bronsescoverte.blogspot.com/2023/07/el-derlo-dal-drec.html

La foto proviene dal fornito archivio del Sera, cultore e storico di questa montagna, che vi dimora ai piedi nella sua vermiglia magione. Non disponendo di analoghi scorci dei declivi serenissimi, saccheggio dunque proditoriamente quelli imperiali, consapevole che la fatica non avesse confini. 

Niente, come la neve in ritirata, è capace di evidenziare i profili del terreno, facendo risaltare particolari che in altre stagioni sfuggono anche all’occhio più attento. Ecco dunque che fa affiorare i contorni delle vanède, a testimonianza della secolare attività dei nostri avi per ridurre a coltivazione ogni praticabile anfratto della montagna. Ogni inverno bisognerebbe prendersi il tempo di osservare i pendii della nostra Valle e meditarci un po’ su; ne gioverebbe la nostra consapevolezza. Una sorta di nostrano “giorno della memoria”, in cui riconciliarci con la nostra anima.

Quelle linee orizzontali, ad estensione spesso piramidale, costruite con i sassi a secco, in parte crollate e invase dalla vegetazione, le abbiamo sempre viste o intraviste; fanno parte del paesaggio! Un paesaggio in rapida trasformazione, che tra poco non lascerà che pallide tracce di quello che ha significato l’antropizzazione delle nostre montagne. Magari pensiamo che lo scenario sia sempre stato così nei secoli addietro, invece val la pena d'indagare un po’ per capire a che epoche e vicissitudini risalgano queste residue testimonianze di assoggettamento della natura ai bisogni umani.

Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione, perché ben rare sono le fonti cui appoggiarsi per tracciare un percorso storico. Molti indizi, tuttavia, farebbero risalire la fase più acuta di questo sforzo a tempi relativamente recenti, ossia la seconda metà del 1800. Le ragioni di questa diffusa colonizzazione di ogni spazio disponibile sono ovviamente legate all’andamento demografico, che è appunto la traccia da seguire per analizzare il fenomeno.

Fino ai tutto il XVI secolo, la Valle dell'Astico aveva una popolazione abbastanza stabile e molto contenuta, localizzata nei masi e nelle contra’ più antiche. Le periodiche carestie e pestilenze, unite all’alto tasso di mortalità infantile, mantenevano un precario equilibrio fra popolazione e risorse disponibili. Un botta sonora la diede la peste del 1630, alterando oltre misura queste proporzioni e decimando in breve tempo oltre un terzo degli abitanti. Si stima infatti che nel  dogado veneto, tra luglio e ottobre del 1630, la pestilenza abbia falciato fino al 40% della popolazione. Figuriamoci quindi la prostrazione della nostra gente in quel frangente.

Il dato controintuitivo è invece che, a seguito di questa pandemia, si assistette ad un rapido incremento demografico. Verso la fine di quel secolo e trascinandosi in quello successivo, l'aumento della popolazione portò all’esigenza si espandere ulteriormente il territorio coltivato. Ritengo che dati di questa fase la costruzione delle contra’ e dei masi di tutti i nostri paesi. Gli abitati alle pendici dei Siroccoli,  le contra’ a N-O di San Pietro, quelle di costa delle Laste Basse e di Pedemonte, credo abbiano avuto origine proprio da questa spinta, che raggiunse il suo apice verso la metà del Millesettecento. Non si trattava ancora però del massiccio sviluppo verticale dei terrazzamenti, che avrebbe portato alla riduzione a coltivazione, fin sotto i soji, di ogni minimo appezzamento ricavabile. 

Questa fase penso sia stata propria della seconda metà del Milleottocento, quando avvenne un altro e ben più ampio incremento demografico. Anche questa tendenza era riflesso di una prima metà del secolo caratterizzata da estese calamità e pestilenze che avevano pesantemente intaccato la popolazione. Il bisogno che spinse la nostra gente a emigrare nel mondo, fu infine lo stesso che prima tentò in ogni modo di strappare alla montagna ogni possibile forma di sostentamento. Analogamente avvenne per spinta dall'alto, come testimoniano gli orti terrazzati di Luserna posti sotto la corona dell'Altopiano, quasi a ricordare i giardini pensili di Babilonia.

Tanto per intenderci: nel 1888, Prima di decidere di lasciare tutto per emigrare nel Rio Grande Do Sul, le famiglie che lasciarono il paese avevano sicuramente già provato a mettere a coltura ogni anfratto possibile della loro terra. Non era bastato e dovettero abbandonarla! 

https://bronsescoverte.blogspot.com/2017/09/ma-fateci-il-piacere.html

Quelle tenui e talvolta cortissime righine di neve che pennellano le basi dei nostri soji, testimoniano proprio quello. È il messaggio che ci hanno lasciato; ecco perché dovremmo meditarci sopra.

Giusto per dare un’idea del fenomeno: nel mezzo secolo successivo all’unità d’Italia, la popolazione del Veneto aumentò di circa un milione di individui, passando dagli iniziali circa due, a tre milioni; vale a dire un incremento del 50%. Ci vorranno altrettanti anni a seguire per eguagliare questa crescita, in massa però, ma non in percentuale, partendo da ben diverse condizioni economico-sociali e con in mezzo due guerre.

Questo è quello che possiamo intuire dalla storia passata. Cosa possiamo invece interpretare dalla situazione attuale e preventivare di quella futura? Volessimo imparare dal passato, potremmo pensare che, dopo aver raschiato abbondantemente il fondo del barile, si può ancora recuperare. Forse!



 


3 commenti:

  1. Bravo Gianni è per me sempre un piacere leggerti, nel ricordo dei nostri villici antenati.

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    1. Grazie Delmo, .. purtroppo sappiamo quasi tutto della storia che non ci appartiene e gran poco di quella nostra. Questo comporta l'aver avuto antenati solo villici e nessuna Odissea scritta in cimbro.

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  2. Sempre un piacere leggere il Koscri gi

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