giovedì 24 agosto 2023

La rabàlsa

[Gianni Spagnolo © 23G14]

La rabàlsa era uno spartano serramento interno, molto in voga stiàni, ma oggi in totale disuso e relegato nell’angolino dei ricordi più remoti. Ricordi che in me sono ancora vividi in ragione delle molte volte che m'è caduta sulla testa. Il fatto che io non sia tuttora del tutto in bolla, potrebbe risalire proprio a quei lontani eventi. 

Le case tradizionali, dal primo piano in su, erano pavimentate con solari di tole de pesso, sostenuti da travature grezze, sempre in abete, distanziate tra loro di circa sessanta centimetri. Talvolta le travi adiacenti, se non squadrate, dovevano essere contrapposte per compensare la differenza di diametro fra un capo e l’altro. Tuto incioà a vista. Non esistevano corridoi tra le stanze e si accedeva ai vari vani passando per quelli adiacenti. 

Le scale per salire ai piani superiori dovevano quindi essere ricavate fra una trave e l’altra ed erano chiuse con tavolati nella parte aerea e con delle porte in cima e/o in fondo. Di giroscale neanche a parlarne. Con ciò si riduceva al minimo l’occupazione degli spazi da parte di queste strutture fisse. Spazi che erano sempre pochi nelle abitazioni d’un tempo, che ospitavano famiglie allargate e na sgnarà de boce. Spazio che condizionava, inutile dirlo, anche la ripidezza delle scale stesse. L'area sotto la scala rimaneva così utilizzabile, generalmente per piazzarci il seciàro, mentre invece non lo era il buco occupato dalla scala.

Una semplice ed economica alternativa, che consentiva di recuperare spazio utile, era tappare l'area occupata dalle scale con una rabàlsa. Questa botola altro non era che una porta orizzontale, che chiudeva il vano scale, lasciando la possibilità di camminarci sopra e magari piazzarci delle sedie o un letto improvvisato. 

Come ogni porta che si rispetti, aveva dei robusti cardini e una maniglia reclinabile per sollevarla; talvolta anche di una naéja per bloccarla. La naéja evitava anche che fosse sollevata dai bambini, con le intuibili conseguenze. La rabàlsa rendeva perciò inutile tamburare la scala e chiuderla con delle porte. Un bel risparmio, ciò!

I battenti della rabàlsa appoggiavano sulle travi ed erano quindi livellati con il solàro della stanza. La botola era evidenziata solo dalle sue fessure con l’impiantito, dai cardini e dall’incasso della maniglia o della naéja. Affinché restasse aperta durante l’uso, alla ribalta veniva dato un piede che corrispondeva allo spessore della trave su cui era incardinata, che generalmente era quella appoggiata alla parete.

A casa dei miei nonni, c’era una rabàlsa gigante (almeno era gigante per me) che chiudeva il buco delle scale che portavano in cantina. La càneva esercitava allora un richiamo potente sui bambini, essendo un locale buio e misterioso in cui si conservavano gli alimenti. Le patate, el védo dj capussi, el butiéro, el formajo, el vin e... i salàdi su tutti. La caneva era perciò tabù e il suo accesso interdetto ai boce. 

Esercitarmi ad alzare la rabàlsa, così come vedevo fare faticosamente dalla nonna, era perciò un mestiéro che m’intrigava alquanto e col quale tentai presto di misurarmi. Riuscire a ribaltare la pesante porta e farla appoggiare stabilmente al muro, non era però come dire; anche perché l’insieme era piuttosto vecchiotto e malfermo sui cardini. Capitava così che la pesante rabàlsa mi cascasse talvolta sulla testa e mi trovassi a ruzzolare in fondo alle scale. E non era certo il caso di lamentarsi del male, perché altrimenti ne sarebbe arrivato dell’altro in aggiunta. In doppia dose, fra l'altro: per il divieto infranto e per essersi fatti male da baùchi. Questa dinamica faceva sì che ci si tenesse gelosamente el mal che se ghéa, senza piangere e lamentarsi palesemente, elaborando così in proprio le figure da ciòi che si facevano. Un’educazione un po’ spartana, ma sicuramente efficace.

Mettendoci un po’ di testa, alla lunga avevo però capito come fare e scendere in  cantina risultò meno tribolato. Peraltro questo non era l’unico accesso alla càneva, dato che questa aveva ben due porte al piano terra, ma solo un comodo, per così dire, accesso interno di servizio. 

Quando, quarant'anni fa, abbiamo ristrutturato la casa ed eliminato la rabàlsa, così come l'immenso fogolare che dominava la stanza, se n'è andato anche qualcosa di me, come avessi liberato la testa dai postumi di quelle botte. Tornassi indietro col senno di poi, penso che lascerei la struttura della casa inalterata, com'era sempre stata. Ossia al massimo del rapporto tra costo e beneficio che quella civiltà semplice e parca che l'aveva costruita potesse esprimere.


2 commenti:

  1. Quanti ricordi .Complimenti Gianni , per farci tornar boci , il tempo di leggere il tuo racconto.

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  2. Rabalsa ...Stessa origine del Veneto rabaltare (ribaltare in italiano) ? Mi ricordo che, in certi film western o di guerra, era una porta misteriosa, sotto un tappeto, dove si poteva nascondersi del nemico.

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