lunedì 14 agosto 2023

Strossi e barossi

[Gianni Spagnolo © 23H1]

Come evoca simpaticamente la vignetta sopra, siamo abituati a considerare l’invenzione della ruota come lo spartiacque fra la barbarie e la civiltà. Quasi che questa semplice, ma straordinaria innovazione che nessuno sa a chi attribuire, costituisca un irrinunciabile caposaldo dell'evoluzione tecnologica.

In verità le cose non stanno proprio così.  Molti popoli antichi conoscevano la ruota, ma non la ritenevano proprio così indispensabile nella loro vita quotidiana. Contribuì grandemente allo sviluppo degli abitanti delle pianure dediti all’agricoltura, ma molto meno di quelli delle montagne, dove rappresentava un lusso perlopiù evitabile.

Sì, perché la ruota, pur nella sua basica e semplice funzionalità, rimase per secoli un oggetto piuttosto complesso e costoso da costruire. Per creare una ruota affidabile e funzionale occorreva maestria artigianale, legname adatto e il metallo per le parti di usura. Non ultimo, strade o tracciati adeguati alla movimentazione di carri e carretti; cosa ancor meno scontata delle prime, specie da noi. Non bastasse, doveva avvalersi della trazione animale per sfruttarne in appieno l’efficienza, e anche questa non era cosa banalmente disponibile.

Non stupisce dunque che dalle nostre bande, la ruota fosse conosciuta, ma scarsamente utilizzata, almeno per la movimentazione di merci, e così fino a buona parte del XIX secolo. Ad allora le strade erano poco più che sentieri lastricati a salìso, stretti e impervi, dove era più utile e pratica la ìdola che il carro, trascinare o portare a soma, invece che movimentare su ruote. La carriola dalla ruota piena, ricavata da semplici assi sagomate di legno d’abete, o il carrettino a mano, si usavano per le faccende quotidiane in paese, non così i carri, che richiedevano ruote più grandi e raggiate e bestie da traino.

Ecco dunque perché da noi si movimentava prevalentemente a soma o a strosso: era più veloce, semplice e conveniente. Soprattutto era alla portata di tutti. In sù a spala, in dò a strosso. Tertium non datur!

Per la verità esisteva una ingegnosa via di mezzo, quella rappresentata dalla slitta. Slissegàre era una variante più efficiente dello strossàre e trovava la sua applicazione nella ìdola. La ìdola era uno slittone a due branchi che poteva essere smontato per il trasporto in quota e lì facilmente rimontato per la discesa a valle con il carico. Aveva la particolarità d'essere utilizzabile sia d'inverno, con il fondo innevato, ma anche, solo un po' più stentatamente, nelle altre stagioni scivolando sui trodi, i pendii e i salìsi. Non serviva ferro, ma solo spezzoni di òrno, albarela e fagàro opportunamente sagomati. Tutta roba a km zero e di semplice approntamento.

Eppure..., eppur il nostro immaginario collettivo paesano è fortemente legato alla ruota: quella dei barossi. I barossi che percorrevano incessantemente la Singéla tirati dai muli, creandone l'epopea. Quella epopea evocata nel "Ritorno dal Bosco", che ora si ripropone. Si tratta tuttavia d'una realtà relativamente recente nel nostro panorama storico, databile dalle seconda metà del XIX secolo e protrattasi solo per una settantina d'anni. Prima dell'unione con l'Italia, nel 1866, l'unica strada transitabile con i carri era quella di fondovalle, detta appunto Cavallara, costruita solo nel secolo precedente. La Singéla era appena in costruzione come adattamento di tracciati impraticabili dai barossi. Fino ad allora il legname della montagna veniva divallato con le menàde lungo la Torra e poi trascinato fino alle poste sulla Riva dei Mori per mezzo di buoi, non di barossi. Analogamente avveniva con le menade più piccole di legname da ardere lungo il Chèstele, i Salti e in Scalon.

Ecco che lo spartiacque fra evo antico e moderno, almeno per la movimentazione delle merci e del legname, lo fa proprio il ferro: ferro per i cerchioni e i mozzi delle ruote, ferro per i muli, ferro per i fili delle teleferiche, ferro per le sìgagnole, per le cordicelle, ecc. Soprattutto tanto ferro per fare le guerre. 

                                                    

Nessun commento:

Posta un commento

La vignetta