lunedì 13 giugno 2022

Stochìve e cuerlìve

[Gianni Spagnolo © 22E16]

Lo so che la mia è una memoria persa, quel che è stato è stato e vive solo nei ricordi di chi l’ha vissuto. 

Il mondo va avanti cambiando di continuo e adattandosi utilmente ai modificati contesti. Così anche la nostra parlata s’è modificata e uniformata all’italiano senza che neanche ce ne rendessimo conto. È normale, non c’è da stupirsi; specie da noi, dove questo schema s'è ripetuto per tre volte solo nell’ultimo millennio.

Il cimbro per secoli, poi il veneto per tre, per finire con l’italiano, nello scorso secolo. Certo, il dialetto lo si parla ancora, ma è un lontano e stanco parente del ricco e variegato idioma dei nostri nonni, frutto di una civiltà che ha ceduto il passo alla modernità rinunciando consapevolmente all’ìmpari sfida. 

Talvolta tornano alla mente parole e motti che sembrano appartenere al Neolitico, ma erano comuni solo fino a cinquant’anni fa. 

Stochìve, cuerlìve, live e chive, rentevia… chi li usa più? Meglio: sto qua, quelo lì,  chi e lì, vissìn... che sono più palatabili all’italiacano corrente e ci evitano la figura de cuel chel jen do dai munti rugolòti.

Negli anni Settanta, l’Anonima Magnagati (chi se la ricorda più?) pubblicò un disco dal titolo: “Live e Chive”, che le imperanti Radio Libere di quegli anni presentavano all’inglese come Laive and Kaive, avendo già rimosso le raìse.  

Come le vanéde che costellano i nostri pendii, fra cent’anni non resterà più niente. Tra frane, incuria e disinteresse sparirà ogni vestigia di quel che è stato. 

I cinesi hanno avuto la Rivoluzione Culturale, che ha tranciato di netto il rapporto con il loro passato. Si, la loro storia è cominciata nel 1972, tutta la narrazione della loro millenaria civiltà è prevalentemente fuffa per turisti creduloni, loro non ne hanno quasi contezza, serve solo pompare i loro miti. 

A noi è bastato qualche decennio di malcelato senso di inferiorità e inadeguatezza, per archiviare il nostro millenario retaggio.



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