giovedì 9 giugno 2022

Bona solo che inpanà

[Gianni Spagnolo © 22E21]

È uno delle poche piante che non mi piace, la robinia, o acacia. È fastidiosa da piccola, con tutte quelle spine, è sproporzionata da giovane, con quel tronco smilzo, ed è brutta da adulta, sempre ricoperta da selve di edera. Non mi piace neanche l’edera, se è per quello, con quei rami parassiti che sembrano serpenti pelosi.

La robinia (Robinia pseudoacacia) è un albero foresto, d'origine Nordamericana, che s’è impiantato qui da noi diventando infestante. Deriva il suo nome da Jean Robin (1550-1629), erborista di re Enrico IV di Francia, nel cui giardino introdusse il primo esemplare d'Europa nel 1601 (ancora visibile al Jardin des Plantes di Parigi); il nome specifico significa 'falsa acacia', nome che a sua volta deriva dal greco 'akis' (spina). 

Da noi è ormai ampiamente diffusa, data la sua attitudine a crescere in ambienti disturbati, sulle scarpate, lungo i margini delle strade, in boschetti presso gli abitati; spesso si associa con il sambuco nero e varie specie pioniere, sviluppandosi su suoli da freschi a subaridi, dal livello del mare alla fascia montana, rarefacendosi progressivamente verso l’alto. Si tratta d’una pianta rustica e a rapido accrescimento, che tende a soppiantare la vegetazione locale divenendo spesso invasiva. 

Viene anche usata a scopo ornamentale per il fogliame e la vistosa fioritura; il legno, resistente alle intemperie, è utilizzato per palerie e come combustibile; i semi, la scorza e le radici contengono sostanze tossiche. La robinia è anche un'ottima pianta mellifera il cui miele (miele d'acacia) si mantiene fluido senza cristallizzare: i fiori sono utilizzati anche in erboristeria. 

Non è buona da opera, pur avendo un durame robusto e durevole, che però tende a “muoversi”, perciò è utilizzata prevalente per fare pali e sostegni. Non è buona da far màneghi, perché il legno è poco elastico e con un alburno debole e attaccabile dai parassiti. Non è tanto buona neanche da fuoco, dato che dicono necessiti un paio di stagioni di essiccazione per bruciare decentemente. Però cresce in fretta e colonizza velocemente i terreni abbandonati dalle coltivazioni, diventando infestante fino ai 5-600m, come ben si nota sui pendii delle nostre valli. Qualcosa di buono però, oltre al miele, lo da; sempre dai suoi fiori, che si possono friggere e mangiare.

Prendete i suoi caratteristici fiori a grappolo, 80 g di farina, 50 ml di birra, 100 ml di acqua, un cucchiaio di zucchero, un pizzico sale, olio per friggere q.b. (ojo de bajiji).

Quindi unire farina, sale e zucchero e iniziate ad aggiungere la birra e poi l'acqua, fino ad ottenere una pastella non troppo densa; se necessario aggiungete ancora qualche cucchiaio di farina. Mettete a riposare la pastella in frigo per mezz'oretta Riprendete e passate i fiori di acacia nella pastella, scolateli leggermente e poi mettete a cuocere in una padella con abbondante olio bollente. Cuocerne 2-3 alla volta non di più, rigirate e quando saranno ben dorati da entrambi i lati togliete dal fuoco e mettete su un foglio di carta assorbente.


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