lunedì 20 giugno 2022

Scaje e scajéte

[Gianni Spagnolo © 22F4]

È indubbio che la Grande Guerra sia stato l’evento che più ha sconvolto la nostra terra e condizionato più d’una generazione. Quella che l’ha combattuta, ci mancherebbe, ma anche quelle che le sono succedute e sono vissute nel mito o nelle conseguenze di quel conflitto. Morti, terra devastata, paese distrutto, una civiltà incenerita. Poi un confine eclissato,  una ricostruzione frettolosa con un’economia pompata; per finire nell’esaltazione della sua epopea e nelle supposte virtù militari d’un popolo che aveva solo subito e continuava a farlo.

Per noi bociasse, formati alla scuola nazionale nel mito del Risorgimento e che a scuola cantavamo a squarciagola: “Era una notte che pioveva..”, l’immane conflitto sconfinava nella leggenda alimentata dalle cupe storie dei Vecchi che l’avevano vissuto, ma alla fine si riduceva alla ricerca dei suoi reperti locali, ossia nel nar par scaje.

Nar a scaje non era difficile; reperti metallici bellici si trovavano un po’ dappertutto, specie sulle strade sterrate dove risaltavano sul biancore del fondo. Palline di shrapnel emergevano anche scavando nel pollaio di casa, mentre di culi di bomba e cartucce erano già ben provviste le note case. I primi, infatti, erano oro per usarli come incudine, mentre con i bossoli del 6,5 o dell’8 si cimavano le cordicelle di acciaio per divallare le bore.

Avevo l’occhio ben allenato per le scaje; capace di distinguere il reperto anche in mezzo a sassi e foglie dello stesso colore. Tra lo sconforto di mio padre, che non apprezzava sforzi che non avessero utilità, tornavo a casa da montagna con lo zaino appesantito di ferraglia che sarebbe finita nella mia particolare e inutilissima raccolta. Credo che ognuno di noi avesse la sua raccolta personale di scaje, frutto di ricerche estemporanee fatte prevalentemente nella stagione dei funghi. Allora si poteva unire l’utile al dilettevole cercando in montagna sia il pregiato micelio che l’agognata quanto inutile scajéta

Più grande e frastagliata era la scaja, maggiore era il prestigio che si acquisiva con gli amici. Ma la scaja non era solo la scheggia di bomba, bensì tutto l’armamentario bellico, che andava dalla gavetta alla fibbia del tascapane. Trovare cartucce, specie se ancor cariche, era ancor meglio, dato che la pallottola, lucidata a pajéta, brillava d’un bel color rame, come pure il bossolo d’ottone, d’uno splendente giallo dorato. Eravamo particolarmente attratti da queste cose, come gli indigeni primitivi con le perline e gli specchietti dei conquistadores. Molto ambiti erano i residui delle corone di forzamento dei proiettili da obice, specie se di rame, zigrinati dalle rigature della canna e utili a crear qualcosa data la loro duttilità. 

D’altra parte, anche le nostre case erano ancora pervase di residuati bellici, riconvertiti ad usi pacifici. Ecco allora che i ferri riccioluti delle ridotte, assieme a grovigli di reticolati del fronte, servivano a recintare orti e pollai. Lamiere di ogni fatta e tonalità chiudevano buchi, passaggi e riparavano legnaie, gli elmetti Stahlelm, inastati su lunghi pali, servivano a bujàr la vasca del pisso, mentre quelli Adrian finivano a far da fogàre. Sopravviveva ancora qualche supiaóro fatto con la canna dell’M91, mentre innumerevoli attrezzi per gli usi di campagna o boschivi erano ricavati da evidenti progenitori bellici.

Certo, il nostro nar par scaje non era come quello dei recuperanti a cavallo delle due guerre, dove i reperti erano senz'altro maggiori, ma anche i relativi inconvenienti. Noi facevamo per diletto e in sedicesima quello che la generazione precedente aveva fatto per vivere. E talvolta per morirne.



2 commenti:

  1. Grande Koscri...ma come mai mi non son mai vegnu con ti in cerca de scaje, forse parchè a fasevo parte de la banda dei Pertele ?

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    1. A te jiri su naltro pianeta ti, caromio. Naltri poricagni a trapolavimu co le scajéte e ti in volta for pai Pèrtele cola bici cross e la rua alta.

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