[Gianni Spagnolo © 22F4]
Ai tempi della nostra bociarìa eravamo certamente più liberi e autonomi, ma dovevamo far conto di un’infinità di divieti. Quella morente società agropastorale si portava dietro un complicato sistema di diritti e doveri ancora incentrato su una sopravvivenza di stretta sussistenza, anche se ormai il Progresso stava mandando a remengo senza ritegno quella costruzione. La rama no se taja, l’erba no se pesta, l’àcoa no se inbòsema, l’ua no se magna, le bestie no se tenpéla, i fighi guai!... E via di questo passo.
Chiaro che con queste premesse, anche l’esercizio del nostro diritto di essere boce ne usciva parecchio limitato. La proprietà privata, poi, era intangibile, e di conseguenza dovevamo orientarci su quella pubblica. I terreni comunali delle Jare, erano fortunatamente zona franca, ma sulle pertinenze pubbliche in paese, vigilava Emo.
Io di Emo avevo il terrore! Sarà stato perché mia madre mi aveva inculcato l'idea che Emo fosse quello preposto a farmi mangiare (cosa su cui tendevo a glissare, non per niente ero tuto misso), ma quando passava Emo io mi eclissavo. Lui mi gridava “Ehhh, giovanotto...!" E io pensavo a chissà quali marachelle sottintendesse. Invece era solo un artificio materno del quale lui era ignaro. Però funzionava!
E si che Emo aveva di suo un bel sorriso cordialone, con quel dente d’oro che lo rendeva particolare, inoltre salutava tutti. Lui era il messo comunale e soprindendeva a tutta una serie di incombenze pubbliche, girando il paese a bordo della sua inseparabile bicicletta, sulla quale stava appollaiato in un modo del tutto speciale. Faceva infatti le discese in piedi su un unico pedale, tuto sténco, stando in equilibrio tenendo il manubrio un po' inclinato, così da scendere con immediatezza senza scavallare il palo. Robe da copàrse!
Emo comunque vigilava, eccome se vigilava! Per noi bociasse, sempre intenti ad attentare alla pubblica sicurezza, ai pubblici spazi e alle pubbliche attrezzature, era una presenza scomoda. Avrebbe avuto sicuramente qualcosa da ridire su quanto stavamo facendo, mandando a remengo i nostri più arditi progetti.
D’inverno però la musica cambiava. Quando nevicava, Emo usciva col varsòre a pulire le strade e allora noi boce facevamo a gara a farci imbarcare sul rudimentale attrezzo per fare da peso, assieme ai due grossi sassi che conteneva il cassone della punta. Sedevamo sulle ali mobili laterali, godendosi lo sbatacchiamento, el groanaménto, la potenza del mezzo e il momento di occasionale celebrità lungo le strade del paese.
Emo poi era la presenza fissa alla Festa degli Alberi, assieme con Secondo, per la distribuzione dei panini, e questo anche contribuiva alla sua parziale riabilitazione ai nostri occhi.
Altro personaggio pubblico era Bepi Gajo, lo stradino comunale che girava il paese con la sua scopa di saggina e il badile, trascinando un carrettino a due ruote con il bidone della spazzatura. Gajo era un bonaccione dalle masseléte rosse, che abitava in Aréta e non ci faceva paura, al contrario, era una presenza rassicurante ed amica.
Sarebbe ora troppo facile dire che se stava mejo co se stava pédo, ma è un fatto che, in tempi di vacche molto più magre, c’era una presenza più evidente e fattiva dell’organizzazione pubblica.
Almanco i spassava le strade e i tendéa le robe.
Bei tempi passati.
RispondiEliminaGianni, mi piace molto leggere i tuoi articoli, quelli che parlano di un tempo nel quale tutto era "slow", si prendeva il tempo di vivere, si mangiava slow food, si leggeva slow book, si ballava il slow, si parlava il slow dialetto, ecc...tanto slow che avevamo il tempo di fare molto più, e sopratutto le cose essenziali. Adottare questo stile di vita non vuol dire, in fondo-fondo, prendersi cura di sé, del proprio ambiente e, di conseguenza, degli altri ??
RispondiEliminaLa foto di che anno é? Grazie
RispondiEliminaStando all'etá di un paio che conosco intorno al 1960
RispondiElimina1959
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