Stavamo
pensando, un pomeriggio all’inizio dell’estate di parecchi anni fa,
quale poteva essere la nostra prossima meta montana.
Scegliemmo l’itinerario del Monte Portule.
Cosi nel primo
pomeriggio partimmo per fare un’ispezione della zona.
Arrivati alla Malga Larici, punto di partenza, la
montagna era li, alta e illuminata dal sole pomeridiano di fine giugno.
Erano circa
le 14.30, ci mettemmo gli scarponi e ci incamminammo per la strada sterrata che
porta a Bocchetta Portule.
Arrivati
alla Porta Renzola ci accorgemmo di quanto maestosa fosse quella montagna. Non
sapevamo quale fosse il sentiero da prendere per arrivare alla cima, eravamo
partiti così per renderci conto della zona e capire da dove si poteva salire
per arrivare alla cima.
Per tastare
il terreno prendemmo dunque direttamente a destra e incominciamo a salire.
Non c’era
sentiero ma tracce che lo faceva sembrare tale, all’inizio non era
assolutamente ripido, eravamo ancora dentro il bosco, immersi da un sentore di
muffe e di resina dei pini. Camminavamo bene, il fiato non era appesantito
dalla fatica, il silenzio era notevole, si sentivano i versi degli uccelli e il
gracchiare di qualche vecchio corvo.
Dopo una
mezz’ora di cammino il pendio incominciava ad essere sempre più irto e il nostro
respiro sempre più ritmato e corto. Salivamo abbastanza bene, intorno a noi le
piante erano sparite, incominciavamo a trovare qualche mugo. Anche il terreno
erboso era sparito e al suo posto era comparso un terreno sassoso e ghiaioso,
con qualche spuntone di roccia che dovevamo raggirare per oltrepassarlo.
Il cielo
incominciava ad oscurarsi un poco con qualche nuvola, ma non ci facemmo caso,
avevamo solo voglia di continuare a salire per vedere com’era il percorso.
Continuavamo
a guardare verso l’alto, la cima sembrava fosse lì a due passi, ci pareva di
toccarla con una mano, talmente sembrava vicina, ma eravamo arrivati solo ad un
quarto della salita per la cima.
Ci fermammo
a riposare un pochino, sedendoci su di un piccolo terrazzo roccioso, con le
gambe a penzoloni, naturalmente davamo la schiena alla cima in modo da ammirare
il panorama.
Vedevamo giù
il percorso appena fatto e i pini ci sembravano appena nati talmente li
vedevamo piccoli, qualche falco immobile sopra la cima dei Larici osservava
dall’alto se ci fosse stata qualche preda da mangiare, le cornacchie
continuavano a svolazzare sopra di noi gracchiando come per incitarci a
riprendere la salita.
Si sentivano
i versi di qualche capriolo che avvertivano i loro compagni della nostra
presenza e più sù, fermo come una statua, che ci osservava su di uno spuntone
roccioso c’era uno stambecco immobile. Restammo immobili anche noi ad osservare
tanta grandiosità in quell’animale. Ci osservava dall’alto come fossimo due
intrusi, in quell’area che era naturalmente sua, ci sentivamo come due
disturbatori della sua quiete, del suo ambiente.
Attendemmo,
per non disturbalo che riprendesse la sua strada, poi riprendemmo in silenzio
ancora la nostra salita. Guardai per un attimo l’orologio, tanto per capire
quanto tempo avevamo ancora per salire, erano le 16.00 ed essendo estate pensai
che tempo ne avevamo a sufficienza per arrivare in cima.
Per la
pendenza molto impegnativa faticavamo nel salire e il fiato si faceva sempre
più pesante, vedevamo sù in alto parte della cima coperta da un po' di foschia
che si addensava a ovest della cima stessa. Dopo circa 20 minuti ci fermammo
ancora per riprendere fiato e notammo che la veduta sulla cima era peggiorata
ancora. Era calata in pochissimo tempo un po’ di nebbia, però non ci facemmo
proprio caso, data la nostra inesperienza e continuammo a salire.
L’aria si
faceva un po’ pungente, non avevamo previsto che in montagna quando cambia il
tempo lo sbalzo di temperatura può
essere notevole.
Guardavamo
la cima che piano piano stava scomparendo ai nostri occhi dentro ad uno
spessore di nebbia che sembrava fatto apposta per accorciare il percorso per la
cima.
In poco
tempo, non per la velocità del nostro passo, ma per l’abbassamento della nebbia,
ci trovammo quasi a contatto con questo fenomeno e ci sembrava di esserci
immersi in una montagna di schiuma di sapone, non vedevamo più niente, la
visibilità in pochi minuti era diventata pressoché di qualche metro, ci fermammo e girandoci
verso valle cercavamo di capire fino a dove era arrivata la nebbia.
Non vedevamo
niente, forse un metro più avanti, ma niente di più.
La prima
cosa che ci venne in mente fu di fare retromarcia, ma subito ci rendemmo conto
che tornare indietro non sarebbe stato poi così facile anche se favoriti dalla
discesa.
Incominciò a
prenderci un po’ la paura, paura di non sapere più dove eravamo, in quale
punto, paura di non vedere dove potevamo mettere i piedi, quale percorso o
deviazione potevamo prendere per evitare magari un salto di qualche metro.
La paura iniziò
a trasformarsi in panico, cosi io decisi di sedermi e di scendere in quella
maniera “certamente più sicura” affrontando e tastando il terreno che mi stava
davanti con i piedi, in modo da avere la certezza che non ci fosse qualche
punto vuoto. Cosi piano piano incominciammo a scendere, tutto quello che prima
la natura ci offriva, ora sembrava ce l’avesse tolto. Non rimaneva più nulla del bel panorama che
potevamo vedere prima, non si sentivano più i versi degli animali, tutto
sembrava svanito, finito, sembrava che qualcuno avesse cambiato canale come
alla televisione, tutto era cambiato, mi sembrava di essere diventato cieco.
Comunque continuavamo a scendere incitato anche da mia moglie, che cercava di
farmi coraggio, anche se notavo in lei molta preoccupazione.
La paura e
il panico avevano preso il sopravvento su di me, a momenti mi veniva un groppo
alla gola, sentivo i sassi appuntiti sotto le mie gambe, sotto le mie mani man
mano che scendevo con molta attenzione, il tempo non scorreva più veloce come
prima, sembrava avesse rallentato, come la velocità con la quale scendevamo.
Ogni tanto ci fermavamo per riprendere fiato, ma soprattutto riprendere quel
coraggio che avevamo perso.
Ad un certo
punto sentii fra le caviglia una sensazione strana, qualche cosa che non
pungeva più, qualche cosa di più morbido, più umido. Era la prima erba in mezzo
ai sassi e la ghiaia. Capii così che non eravamo lontani dalla zona erbosa e
quindi anche dal bosco da dove eravamo partiti prima.
Più
scendevamo e più questa sensazione ci dava speranza che eravamo quasi arrivati in fondo.
Dopo un po’ incominciammo
a vedere un po’ più lontano, come guardare il panorama fuori da una finestra coi
vetri appannati e più scendevamo più la visuale era chiara. Finalmente ad un
certo punto la nebbia scomparve quasi per magia e tutto ritornò come prima, con
un bel sole caldo e lo splendore del panorama che la nebbia per un po’ di tempo
ci aveva oscurato.
Arrivati in
fondo riflettemmo molto sull’accaduto e lì capimmo quanto possa essere
pericoloso avventurarsi in montagna da inesperti.
Tornammo
alla macchina, ancora un po’ spaventati, ma con l’intenzione di riprovare la
conquista di quella meravigliosa vetta.
Non credo
che alla meta della cima ci fosse mancato ancora molto. Qualche anno dopo
facemmo lo stesso percorso, ma con più attenzione al meteo, infatti questa
seconda volta tutto andò liscio e arrivati sulla cima ci riempiemmo gli occhi
di quel meraviglioso panorama.
Nico Sartori
Caro Nico,
RispondiEliminami hai fatto rivivere una mia analoga avventura capitatami sù alle Melette quando praticavo lo sci da fondo. Raccontarla è un conto... viverla decisamente un altro... da non augurarla a nessuno! Credetemi... a nessuno! Da panico totale!
Carissimi Nico e Anne siete stati molto coraggiosi e la montagna che ha percepito il vostro coraggio e la volontà di ascoltare il suo avvertimento vi ha premiato indicandovi la strada del ritorno salvandovi così da eventuali pericoli!!!!Comunque è un bellissimo racconto che mi ha dato la sensazione di essere presente sul percorso, salutoni Floriana
RispondiEliminala montagna è bella anche con la nebbia, è solo con la nebbia che si possono vedere le valchirie...qualche volta, perdersi è emozionante...ciao Nico
RispondiEliminaBhe, si caro Piero può anche essere vero quello che dici, perdersi e vedere dove si va è una cosa ma non vedere niente in quei posti ti assicuro che è PANICO.
EliminaNico,sei partito per la montagna con tante buone intenzioni,ma la montagna,si sa,é traditrice.
RispondiEliminaE' stata una delusione per te,dover scendere senza arrivare alla cima.Ma la tua volontà ti ha
spinto a ricominciare ed hai potuto vedere la cima agognata.Bravo Nico sei un "forte".....
Ehilà, madona de na menoncia. Si si Bravo e forte ma qualche anno fa. Ora la cima agognata mi sembra molto molto più lontana di quel tempo.
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