martedì 12 marzo 2013

Avventura da inesperti


Stavamo pensando,  un pomeriggio  all’inizio dell’estate di parecchi anni fa, quale poteva essere la nostra prossima meta montana.
Sfogliando un vecchio libro, trovammo vari itinerari, naturalmente nel  nostro territorio vicentino.
Scegliemmo  l’itinerario del Monte Portule.
Cosi nel primo pomeriggio partimmo per fare un’ispezione della zona.
Arrivati  alla Malga Larici, punto di partenza, la montagna era li, alta e illuminata dal sole pomeridiano di fine giugno.
Erano circa le 14.30, ci mettemmo gli scarponi e ci incamminammo per la strada sterrata che porta a Bocchetta Portule.
Arrivati alla Porta Renzola ci accorgemmo di quanto maestosa fosse quella montagna. Non sapevamo quale fosse il sentiero da prendere per arrivare alla cima, eravamo partiti così per renderci conto della zona e capire da dove si poteva salire per arrivare alla cima.
Per tastare il terreno prendemmo dunque direttamente a destra e incominciamo a salire.
Non c’era sentiero ma tracce che lo faceva sembrare tale, all’inizio non era assolutamente ripido, eravamo ancora dentro il bosco, immersi da un sentore di muffe e di resina dei pini. Camminavamo bene, il fiato non era appesantito dalla fatica, il silenzio era notevole, si sentivano i versi degli uccelli e il gracchiare di qualche vecchio corvo.
Dopo una mezz’ora di cammino il pendio incominciava ad essere sempre più irto e il nostro respiro sempre più ritmato e corto. Salivamo abbastanza bene, intorno a noi le piante erano sparite, incominciavamo a trovare qualche mugo. Anche il terreno erboso era sparito e al suo posto era comparso un terreno sassoso e ghiaioso, con qualche spuntone di roccia che dovevamo raggirare per oltrepassarlo.
Il cielo incominciava ad oscurarsi un poco con qualche nuvola, ma non ci facemmo caso, avevamo solo voglia di continuare a salire per vedere com’era il percorso.
Continuavamo a guardare verso l’alto, la cima sembrava fosse lì a due passi, ci pareva di toccarla con una mano, talmente sembrava vicina, ma eravamo arrivati solo ad un quarto della salita per la cima.
Ci fermammo a riposare un pochino, sedendoci su di un piccolo terrazzo roccioso, con le gambe a penzoloni, naturalmente davamo la schiena alla cima in modo da ammirare il panorama.
Vedevamo giù il percorso appena fatto e i pini ci sembravano appena nati talmente li vedevamo piccoli, qualche falco immobile sopra la cima dei Larici osservava dall’alto se ci fosse stata qualche preda da mangiare, le cornacchie continuavano a svolazzare sopra di noi gracchiando come per incitarci a riprendere la salita.
Si sentivano i versi di qualche capriolo che avvertivano i loro compagni della nostra presenza e più sù, fermo come una statua, che ci osservava su di uno spuntone roccioso c’era uno stambecco immobile. Restammo immobili anche noi ad osservare tanta grandiosità in quell’animale. Ci osservava dall’alto come fossimo due intrusi, in quell’area che era naturalmente sua, ci sentivamo come due disturbatori della sua quiete, del suo ambiente.
Attendemmo, per non disturbalo che riprendesse la sua strada, poi riprendemmo in silenzio ancora la nostra salita. Guardai per un attimo l’orologio, tanto per capire quanto tempo avevamo ancora per salire, erano le 16.00 ed essendo estate pensai che tempo ne avevamo a sufficienza per arrivare in cima.
Per la pendenza molto impegnativa faticavamo nel salire e il fiato si faceva sempre più pesante, vedevamo sù in alto parte della cima coperta da un po' di foschia che si addensava a ovest della cima stessa. Dopo circa 20 minuti ci fermammo ancora per riprendere fiato e notammo che la veduta sulla cima era peggiorata ancora. Era calata in pochissimo tempo un po’ di nebbia, però non ci facemmo proprio caso, data la nostra inesperienza e continuammo a salire.
L’aria si faceva un po’ pungente, non avevamo previsto che in montagna quando cambia il tempo  lo sbalzo di temperatura può essere notevole.
Guardavamo la cima che piano piano stava scomparendo ai nostri occhi dentro ad uno spessore di nebbia che sembrava fatto apposta per accorciare il percorso per la cima.
In poco tempo, non per la velocità del nostro passo, ma per l’abbassamento della nebbia, ci trovammo quasi a contatto con questo fenomeno e ci sembrava di esserci immersi in una montagna di schiuma di sapone, non vedevamo più niente, la visibilità in pochi minuti era diventata pressoché  di qualche metro, ci fermammo e girandoci verso valle cercavamo di capire fino a dove era arrivata la nebbia.
Non vedevamo niente, forse un metro più avanti, ma niente di più.
La prima cosa che ci venne in mente fu di fare retromarcia, ma subito ci rendemmo conto che tornare indietro non sarebbe stato poi così facile anche se favoriti dalla discesa.
Incominciò a prenderci un po’ la paura, paura di non sapere più dove eravamo, in quale punto, paura di non vedere dove potevamo mettere i piedi, quale percorso o deviazione potevamo prendere per evitare magari un salto di qualche metro.
La paura iniziò a trasformarsi in panico, cosi io decisi di sedermi e di scendere in quella maniera “certamente più sicura” affrontando e tastando il terreno che mi stava davanti con i piedi, in modo da avere la certezza che non ci fosse qualche punto vuoto. Cosi piano piano incominciammo a scendere, tutto quello che prima la natura ci offriva, ora sembrava ce l’avesse tolto.  Non rimaneva più nulla del bel panorama che potevamo vedere prima, non si sentivano più i versi degli animali, tutto sembrava svanito, finito, sembrava che qualcuno avesse cambiato canale come alla televisione, tutto era cambiato, mi sembrava di essere diventato cieco. Comunque continuavamo a scendere incitato anche da mia moglie, che cercava di farmi coraggio, anche se notavo in lei molta preoccupazione.
La paura e il panico avevano preso il sopravvento su di me, a momenti mi veniva un groppo alla gola, sentivo i sassi appuntiti sotto le mie gambe, sotto le mie mani man mano che scendevo con molta attenzione, il tempo non scorreva più veloce come prima, sembrava avesse rallentato, come la velocità con la quale scendevamo. Ogni tanto ci fermavamo per riprendere fiato, ma soprattutto riprendere quel coraggio che avevamo perso.
Ad un certo punto sentii fra le caviglia una sensazione strana, qualche cosa che non pungeva più, qualche cosa di più morbido, più umido. Era la prima erba in mezzo ai sassi e la ghiaia. Capii così che non eravamo lontani dalla zona erbosa e quindi anche dal bosco da dove eravamo partiti prima.
Più scendevamo e più questa sensazione ci dava speranza  che eravamo quasi arrivati in fondo.
Dopo un po’ incominciammo a vedere un po’ più lontano, come guardare il panorama fuori da una finestra coi vetri appannati e più scendevamo più la visuale era chiara. Finalmente ad un certo punto la nebbia scomparve quasi per magia e tutto ritornò come prima, con un bel sole caldo e lo splendore del panorama che la nebbia per un po’ di tempo ci aveva oscurato.
Arrivati in fondo riflettemmo molto sull’accaduto e lì capimmo quanto possa essere pericoloso avventurarsi in montagna da inesperti.
Tornammo alla macchina, ancora un po’ spaventati, ma con l’intenzione di riprovare la conquista di quella meravigliosa vetta.
Non credo che alla meta della cima ci fosse mancato ancora molto. Qualche anno dopo facemmo lo stesso percorso, ma con più attenzione al meteo, infatti questa seconda volta tutto andò liscio e arrivati sulla cima ci riempiemmo gli occhi di quel meraviglioso panorama.
Nico Sartori

6 commenti:

  1. Caro Nico,
    mi hai fatto rivivere una mia analoga avventura capitatami sù alle Melette quando praticavo lo sci da fondo. Raccontarla è un conto... viverla decisamente un altro... da non augurarla a nessuno! Credetemi... a nessuno! Da panico totale!

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  2. Carissimi Nico e Anne siete stati molto coraggiosi e la montagna che ha percepito il vostro coraggio e la volontà di ascoltare il suo avvertimento vi ha premiato indicandovi la strada del ritorno salvandovi così da eventuali pericoli!!!!Comunque è un bellissimo racconto che mi ha dato la sensazione di essere presente sul percorso, salutoni Floriana

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  3. la montagna è bella anche con la nebbia, è solo con la nebbia che si possono vedere le valchirie...qualche volta, perdersi è emozionante...ciao Nico

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    1. Bhe, si caro Piero può anche essere vero quello che dici, perdersi e vedere dove si va è una cosa ma non vedere niente in quei posti ti assicuro che è PANICO.

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  4. Nico,sei partito per la montagna con tante buone intenzioni,ma la montagna,si sa,é traditrice.
    E' stata una delusione per te,dover scendere senza arrivare alla cima.Ma la tua volontà ti ha
    spinto a ricominciare ed hai potuto vedere la cima agognata.Bravo Nico sei un "forte".....

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    1. Ehilà, madona de na menoncia. Si si Bravo e forte ma qualche anno fa. Ora la cima agognata mi sembra molto molto più lontana di quel tempo.

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