giovedì 8 giugno 2023

Bonbòni da spusi

[Gianni Spagnolo © 23528]

Abitare in prossimità della Piassa aveva i suoi vantaggi. Oltre ad essere al centro del mondo, si poteva assistere in diretta a tutti gli eventi che gravitavano attorno alla chiesa: ai matrimoni, su tutti. Chissà perché, ma in occasione di ogni sposalissio, a tutte le fémene di ogni ordine, grado e condizione, si scatenava una strana e insopprimibile spissa: vardàr la sposa!

Tutte quelle che potevano, cascasse il mondo, uscivano di casa per assistere all’uscita della coppia dal tempio; anca a ristcio de brusare el sugo o ingrostar el caliéro. Poi avrebbero avuto tempo e modo per illustrare la scena in differita alle comari che non erano presenti, ricamandone i dettagli al tònbolo. Jèrela béla, jérela contenta, stàvela ben col sposo, ghe jerèlo jente e, sopprattutto: come jérelo el vestito da sposa? Oltre ad un’infinità di commenti e comarò di circostanza, che in genere ravvivavano quegli eventi, non rari all’epoca.

Del poro sposo no ghe fregava gnente a nissuni.

A me tutta questa scena non faceva né caldo né freddo, non ne capivo l’euforia e il simbolismo e tutti gli abiti da sposa mi parevano uguali. Peraltro, da mòcolo, li osservavo talvolta da una prospettiva particolare, cioè dall’altare. Allora si poteva sperare anche in qualche palànca, se il parentado non aveva le unghie che spuntavano dalle spalle. 

Fare el mòcolo ai sposalissi aveva però anche uno svantaggio: arrivare sempre ultimi a tòr su i bonbòni. Sì, perché, fra benedissiòn, foto di rito, tonaca talare e dignità di ruolo, quando si riusciva ad uscir di chiesa in abiti secolari e relativa libertà d’azione, era ormai troppo tardi per beneficiare del lancio dei bonbòni. I bonbòni da sposo erano fra i pochi dolcetti allora in circolazione e a me non piacevano neanche tanto. Più che altro non mi piaceva la mandola centrale, per cui a ciuciàvo el sucàro e spuàvo la mandola, incurante del monìto di mia nonna: a te si nato intel bonbàso, caromìo! 

I bonbòni venivano lanciati per aria dagli sposi all’uscita dalla chiesa e fatalmente cadevano per terra sul sagrato. Allora si scatenava la bociarìa presente, sempre  all’erta, nella lotta di accaparramento. Nella caduta capitava che si scheggiasse la rigida glassa di zucchero, ma non era un problema: in bocca e via! Tanto i batteri, a noi, ci facevano un baffo. 

Prima di lanciare i bonbòni, era uso che la sposa gettasse per aria, dando le spalle alla folla, il suo bouquet di fiori. Allora si scatenavano le fanciulle nubende: colei che l'avesse acchiappato sarebbe stata la prima a sposarsi. Almeno così prometteva la tradizione. Chissà se lo fanno ancora; mi sa che oggi cadrebbe a terra al par dei nostri bonbòni.

La spissa per l’abito da sposa come lo intendiamo oggi, ossia quello bianco in tulle stile Sissi, era peraltro molto recente da noi. I nostri genitori s’erano sposati in abito scuro e senza fronzoli e spesso con il viaggio di nozze coincidente con le vie dell’emigrazione; tanto più i nostri nonni. Basta guardare le foto, semmai ce ne siano, giacché erano un lusso anche quelle. Raccontava mia nonna che loro si sposarono il giorno dopo la Befana di un secolo fa e dovettero salire a piedi il Monte con la neve al polpaccio, per fare le pratiche in comune a Rotzo. L’indomani sarebbero partiti per il Pàdecalè. Quel Pas-de-Calais, nel Nord della Francia, che da noi significava miniera.  Fu quello il loro viaggio di nozze. Ili, intel bonbàso, noi jera mia vignìsti al mondo de sicuro, e gnanca mai vivìsti.

Toni bonbòni, la vaca de Toni ga fato on vedèlo, vara che belo, lo go visto anca mi. Trémola in vaca, valà!

5 commenti:

  1. bravissimo Gianni, come al solito

    RispondiElimina
  2. Ciao Gianni, In quale posto lavorava tuo nonno, nel Pas de Calais ? Quando sono nata, ad Arras,capo luogo del PDC, mio padre, capo cantiere, ma anche miei zii Sartori, mio cugino Sandro ed anche altri amici di Valpegara, lavoravano in un'impresa che costruiva il lavaggio del carbone nelle miniere di Oignies/Libercourt. Questi nomi ti parlano ?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Abitava a Ferfay e lavorava in una miniera nei pressi . Oignes/Livercourt dista circa 60km da Ferfay, ma comunque gravitavano lì molti minatori delle parti nostre, distribuiti nelle varie mine del territorio.

      Elimina
  3. Caro Gianni,riguardo al fare el mocolo ti sei dimenticato dei vantaggi che avevi.Don Emilio veniva a chiamarci a scuola ,qualche volta c'era una mancia (a quei tempi..) e nelle foto del matrimonio c'eri in tante.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ho servito un poco Don Emilio col Vetus Ordo e poi Don Francesco col nuovo, ma palanche sempre poche :-)

      Elimina

Girovagando

  Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l...