mercoledì 28 giugno 2023

La Pieve di San Giorgio


La Pieve di San Giorgio di Velo d'Astico
si trova decentrata rispetto al capoluogo, adagiata sull'ultimo terrazzo geologico prima del greto del torrente.

Oggi essa mostra un'architettura tipica di molte chiese sorte durante il tardo Medioevo, frutto però di ampliamenti, operati principalmente nel '400, che hanno in parte modificato la struttura originaria.
Certamente quattrocentesco è il campanile, svettante con la sua cuspide appuntita, e le caratteristiche bifore ogivali della cella campanaria. D'impronta rinascimentale è invece il pronao, aperto su tre lati.
La scritta, scolpita sull'architrave in pietra del bellissimo portale d'ingresso, indica la data conclusiva (1470) dei lunghi e corposi lavori di restauro generale della chiesa, che compresero l'erezione dell'attuale campanile, il rifacimento del tetto e dello stesso pronao, oltre che l'ampliamento dell'abside.
Prima di entrare nella Pieve, pare senz'altro utile approfondire la sua conoscenza, partendo dall'inizio della sua storia.

Sicuramente anteriore al mille risulta essere la primitiva fondazione della chiesa di San Giorgio di Velo.
Enrico Marchetto, autore di un volume monografico sulla Pieve, rifacendosi ai pareri già espressi dal Mantese e dal Dani, ne colloca l'origine non oltre la metà del secolo VIII, quale cappella dipendente dalla San Giorgio di Caltrano, sorta tra il IV e il V secolo, quando si andava diffondendo l'evangelizzazione della Val d'Astico e della Val Posina.
Di origine longobarda (VII secolo), afferma invece, nel suo "Longobardi a Vicenza", Attilio Previtali, forte della presenza di presidi arimannici nella fascia pedemontana della provincia, di indicazioni toponomastiche locali davvero sorprendenti, e del titolare della chiesa, quel cavaliere San Giorgio di Lidia, divenuto patrono del popolo dalle "lunghe barbe" sotto la sovranità di Cuniperto, nel 688.
Simeone Zordan sembra anche lui avvalorare questa ipotesi, quando in una sua opera parla della valle dell'Astico come di "corte longobarda".
Unica chiesa ad essere stata edificata sulla riva destra dell'alto corso del torrente, la San Giorgio di Velo divenne indipendente dalla sua matrice, nel X secolo, quando re Berengario "infeudò" al vescovo di Padova, Sibicone, tutto il territorio tra Astico e Brenta.
Quell'atto accrebbe l'importanza della cappella: le sue pareti infatti si arricchiscono dei primi affreschi; poi assume, di fatto, le funzioni pievane, acquisendo il diritto di impartire il battesimo.
Nel tempo, proprio queste nuove attribuzioni e l'accresciuta dignità impongono una prima riedificazione, con la sopraelevazione del tetto dell'aula sacra, il parziale sfondamento della parete nord e, agli inizi del '400, con la breccia aperta sulla parete meridionale, per accedere alla nuova cappella, voluta dai conti Velo.
Poi, il già ricordato restauro, finito nel 1470, conclude idealmente, con lo splendore architettonico raggiunto, l'importanza religiosa e storico-artistica della Pieve giorgina.
Sicuramente anteriore al mille risulta essere la primitiva fondazione della chiesa di San Giorgio di Velo.
Enrico Marchetto, autore di un volume monografico sulla Pieve, rifacendosi ai pareri già espressi dal Mantese e dal Dani, ne colloca l'origine non oltre la metà del secolo VIII, quale cappella dipendente dalla San Giorgio di Caltrano, sorta tra il IV e il V secolo, quando si andava diffondendo l'evangelizzazione della Val d'Astico e della Val Posina.
Di origine longobarda (VII secolo), afferma invece, nel suo "Longobardi a Vicenza", Attilio Previtali, forte della presenza di presidi arimannici nella fascia pedemontana della provincia, di indicazioni toponomastiche locali davvero sorprendenti, e del titolare della chiesa, quel cavaliere San Giorgio di Lidia, divenuto patrono del popolo dalle "lunghe barbe" sotto la sovranità di Cuniperto, nel 688.
Simeone Zordan sembra anche lui avvalorare questa ipotesi, quando in una sua opera parla della valle dell'Astico come di "corte longobarda".
Unica chiesa ad essere stata edificata sulla riva destra dell'alto corso del torrente, la San Giorgio di Velo divenne indipendente dalla sua matrice, nel X secolo, quando re Berengario "infeudò" al vescovo di Padova, Sibicone, tutto il territorio tra Astico e Brenta.
Quell'atto accrebbe l'importanza della cappella: le sue pareti infatti si arricchiscono dei primi affreschi; poi assume, di fatto, le funzioni pievane, acquisendo il diritto di impartire il battesimo.
Nel tempo, proprio queste nuove attribuzioni e l'accresciuta dignità impongono una prima riedificazione, con la sopraelevazione del tetto dell'aula sacra, il parziale sfondamento della parete nord e, agli inizi del '400, con la breccia aperta sulla parete meridionale, per accedere alla nuova cappella, voluta dai conti Velo.
Poi, il già ricordato restauro, finito nel 1470, conclude idealmente, con lo splendore architettonico raggiunto, l'importanza religiosa e storico-artistica della Pieve giorgina.
Sempre sulla parete nord si trova oggi una cappella, detta "della Madonna".
Al suo interno, il fondale presenta tre festoni, con vari tipi di infiorescenze, frutta, foglie.
Sulle pareti e sulla volta sono dipinti dei quadrati con fasce gialle che racchiudono motivi floreali.
Tali decorazioni sono state eseguite come contorno all'altare seicentesco, solo successivamente completato con la collocazione del cinquecentesco e raffinato bassorilievo, in marmo rosso, della Vergine-madre che regge il Bambino, proveniente dal convento Gerolimino del Summano, e con ai lati le tele dei santi martiri Valentino e Lucia.
Ma la cappellina è senz'altro più antica. Nella parete est, infatti, si nota, in un riquadro d'affresco dipinto su uno strato d'intonaco sottostante, il viso di un angioletto quattrocentesco.
La presenza poi di uno zoccolo in rilievo, che corre all'interno della cappella fino a circa un metro d'altezza, farebbe supporre che essa, in origine, non ospitasse un altare, ma probabilmente proprio quel battistero, ora custodito in fondo alla chiesa, a sinistra dell'entrata. Una millenaria vasca battesimale, ad immersione, interamente scolpita nella pietra, di dimensioni tali da essere convenientemente collocata in una chiesa divenuta pieve.
L'effigie del santo che portò il bambino Gesù sulle spalle, per fargli attraversare un fiume, si trova tra la cappellina battesimale e la porticina che immette alla canna del campanile.
Cristoforo appare vestito con una tunica bianca e una veste rossa, curiosamente arricchita di cerchi gialli con all'interno, disegnati, uccelli lacustri; ai suoi piedi, tra le acque, si scorgono dei pesci.
Il piccolo Gesù indossa un vestito nero, con decorazioni gialle.
L'opera, eseguita ad affresco con mano sicura, evidenzia la particolare cura con cui sono stati dipinti i visi e le vesti, il rispetto delle proporzioni, l'uso di colori dal forte impatto. Tutti elementi che portano a considerare questo dipinto di origine duecentesca.
Costruita nel primissimo '400, in aderenza alla parete sud della Pieve, la cappella, rimasta miracolosamente intatta nei secoli, è un piccolo tempio dei Velo, i signori della valle e di una contea che si estendeva dalle valli dell'Astico Posina fino ai monti circostanti.
Emblema di una potenza di origine medievale, è il blasone araldico, ben visualizzato all'interno della stessa cappellina dal grande stemma della nobile famiglia, con la vela bianca gonfia di vento.
La visita a questa parte del complesso della Pieve apre un'altra finestra su un mondo storico-artistico dalle forti suggestioni. E certamente stupendo è il polittico che sovrasta l'altare con alla base l'iscrizione che chiarisce il nome del committente e l'epoca della sua realizzazione (Bonincontro Velo, del ramo Pion, nell'anno 1408).
Riguardo all'artista, non ci sono dubbi nell'attribuire l'opera a Battista da Vicenza, che dominò per molto tempo l'ambiente artistico del '400, con una produzione ancora legata ai modelli della pittura trecentesca, "di corte", propria al percorso del Gotico Internazionale, d'impronta "pisanelliana".
Il polittico è suddiviso in sei comparti, che trovano il loro fulcro in quello centrale, con l'iconografia di Maria in trono con sul grembo il piccolo Gesù. Le figure di S. Antonio Abate e di S. Biagio, come quelle dei due donatori oranti (lo stesso Bonincontro Velo e la consorte, Margherita dei Trentinacci), sono infatti rivolte in segno di ossequio verso la Vergine e il suo figlioletto, mentre i due cavalieri, San Giorgio e San Martino, ai lati estremi, sembrano vigilare su una scena omogenea, con sulla cuspide, dipinto, il futuro evento della Passione.
Gli affreschi, che decorano la cappellina, per molto tempo attribuiti allo stesso Battista, sono invece legati alla pittura veronese del primo '400, opera di un altro artista, che risentiva dell'influenza dell'Altichiero, come ben si nota nella rappresentazione della crocifissione, nella lunetta di fondo, ripresa da un'analoga scena dipinta appunto dall'Altichiero per una cappella, nella chiesa del Santo, a Padova.
Qui, nella cappellina di San Giorgio, questa Passione contiene in verità una drammaticità del tutto sconosciuta al Battista.
La volta a crociera presenta, nel medaglione centrale, Cristo, e nei rosoni delle vele i quattro evangelisti. Il Maestro è effigiato con in mano il vangelo da trasmettere per la salvezza dell'uomo. Opera a cui si prestano gli evangelisti.

Nella lunetta orientale in tre sequenze pittoriche sono dipinti altrettanti momenti della vita di Gesù: il primo, povero e semplice presepe; la Pietà, con il Cristo Passo dove tutto sembra essersi compiuto; la risurrezione, col Cristo che impugna il vessillo del trionfo.
L'ultima lunetta, quella sulla parete opposta, sembra riportare alla pittura cavalleresca tardo-gotica, nella rappresentazione del san Giorgio a cavallo che uccide il drago e libera la principessa.


video di Flores Munari
testo di Giovanni Matteo Filosofo

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