Pennivendoli, li chiamava la Fallaci. Cosa hanno fatto in questi ultimi tempi? Mettere al bando i cartoni della Disney? Ottima iniziativa, hanno pensato. Proibire Shakespeare e i grandi classici della letteratura? Buona anche questa. In Italia hanno speso mesi a discutere, con infiammate polemiche, se sia lecito abolire l’appellativo padre e madre e sostituirlo con “genitore 1" e "genitore 2". Ma perché lo hanno fatto? Non hanno idee? Contenuti da proporre?
Vedete, avere un’opinione oggi in certi ambienti è una specie di sport. Peggio, è un obbligo. A che scopo? Per battersi in ciò in cui si crede? Per esprimere la propria voce? O dar voce a chi non l'ha? Non esattamente. «La nostra più intima e autentica soddisfazione era quella di ricavare quanto più denaro e lodi fosse possibile e per raggiungere questo fine non sapevamo fare altro che scrivere libri e articoli per i giornali».
Due secoli fa Tolstoj dipingeva così l’intellighenzia russa. Oggi le cose non sono tanto diverse. In certi ambienti l’unica cosa che conta è farsi vedere. Stare sotto i riflettori per far parlare di sé. Frequentare le persone giuste. I miei amici mi consigliano sempre di seguire il loro esempio. Di capire come vanno le cose a questo mondo. Ma è più forte di me, non posso farci nulla, io mi sento sempre a disagio in questi ambienti. Fuori posto.
Hai scritto un libro? Sei un giornalista? Collabori con una prestigiosa rivista letteraria? Ben venga, ma questo non ti rende migliore degli altri. Non ne posso più di passare intere serate ad ascoltare X che si vanta di conoscere Y. Ma soprattutto mi domando: se oggi gli “scrittori, gli intellettuali”, quelli che insomma dovrebbero avere qualcosa da dire, passano la maggior parte del loro tempo a frequentare feste, a stringere relazioni utili per la carriera, a commentare gli uni la vita mondana degli altri, ai contenuti chi ci pensa? A chi importa?
G. Middei
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