giovedì 1 dicembre 2022

Mestieri perduti

 

Delle menàde abbiamo già scritto, mentre ora parliamo un po' d'un mestiere, o forse meglio dire d'una competenza, che in passato era essenziale e poi s'è persa col mutare delle condizioni. Intendo il fluitatore di legname, o lo zatteriere, ossia chi provvedeva a convogliare i tronchi nell'Astico e guidarli verso la pianura. L'ultima fluitazione di legname lungo l’Astico, mi pare risalga al 1884; poi cessarono del tutto anche per la difficoltà a preservare le opere che sempre più costellavano il corso torrente. Non era infatti impresa facile evitare che queste masse di legnami in fluitazione cozzassero contro le opere di presa di rogge, mulini, folli e segherie, danneggiandoli e costringendo gli appaltatori a costosi e imprevedibili risarcimenti e liti. 
La corsa terminava alle Jare de Montecio (Montecchio Precalcino) dov’erano un tempo concentrate le segherie e dove anche l’Astico finisce, inabissandosi nell’area di carico delle risorgive e concorrendo ad alimentare il Tèsina. Non dimentichiamo poi l'insidiosa strénta della Prìa, che richiedeva particolare maestria e molti addetti per essere superata. Ma che memoria resta di questa attività in paese? Praticamente nulla, quasi a far pensare che non sia appartenuta ai mestieri antichi, come invece lo era l'attività degli zatterieri del Brenta, tuttora richiamata dalla famosa rievocazione storica del Palio delle Zattere di Valstagna. 
Non è tuttavia pensabile che queste attività, alimentate dai poderosi canali delle valli della Torra e dell'Assa che convogliavano a valle il legname dell'Altopiano, fossero svolte da foresti. San Pietro e Pedescala erano una sorta di porti fluviali del legname, con influenza non marginale nell'economia e nei mestieri dei nostri paesi. Può darsi che le ultime fluitazioni di fine Ottocento siano state effettuate da personale dei grandi appaltatori e commercianti di legname, ma sicuramente in precedenza furono appannaggio anche dei nostri, solo che non ne abbiamo acuta memoria come per l'epoca dei barossi sulla Singèla. Credo sia proprio colpa del tempo: ciò che appartiene al vissuto delle generazioni precedenti quella dei nonni, se non è stato scritto, non ha lasciato traccia. Probabilmente, da qualche parte in granàro, qualcuno avrà visto qualche arrugginito arpione, dalla vaga forma di alabarda, e si sarà chiesto che utilizzo avesse, pensando a chissà quali ascendenze guerresche.

Nessun commento:

Posta un commento

Avvisi della settimana

Sabato 1 e domenica 2 febbraio alle porte delle chiese di tutta la valle ci sarà la vendita delle primule a favore del Centro di aiuto alla ...