"Dietro di noi un deserto digitale, un altro Medioevo. Se tenete a una foto, stampatela"
L'Huffington Post | Di
Giulia Belardelli
- pubblicato:
La tecnologia digitale rischia di trasformare il ventunesimo secolo in un
nuovo Medioevo, un’epoca quasi inaccessibile alla storia. Un allarme paradossale, ancora di più considerandone l’origine: il Dottor
Vinton “Vint” Cerf, uno dei "padri di internet",
oggi vicepresidente di Google, dove lavora da dieci anni con la carica
di “Chief Internet Evangelist” (letteralmente, Evangelista-Capo
di Internet). Bene,
ora Cerf ci mette in guardia sul “buco nero” verso
cui, inconsapevolmente, ogni giorno spingiamo i nostri documenti più
cari e importanti: testi, fotografie, video che parlano delle nostre
vite, ma anche documenti legali, testimonianze,
informazioni preziose per chi – nel secolo prossimo o in quelli a
venire – cercherà di capire qualcosa di noi e della nostra storia.
Ritrovandosi con un pugno di mosche in mano, a meno che il concetto di “preservazione digitale” non entri
alla svelta nei nostri cervelli.
La questione, ha spiegato Cerf nel corso del meeting annuale della
American Association for the Advancement of Science, è presto detta:
via via che i sistemi operativi e i software vengono aggiornati, i
documenti e le immagini salvate con le vecchie tecnologie diventano
sempre più
inaccessibili. Nei secoli che verranno, gli storici che si troveranno a guardare indietro alla nostra era potrebbero trovarsi davanti a un “deserto digitale” paragonabile al
Medioevo, un’epoca di cui sappiamo relativamente poco a causa della scarsità di documenti scritti.
“Pensando a 1000, 3000 anni nel futuro, dobbiamo domandarci: come
preserviamo tutti i bit di cui avremo bisogno per interpretare
correttamente gli oggetti che abbiamo creato? Senza neanche rendercene
conto, stiamo gettando tutti i nostri dati in quello che
rischia di diventare un buco nero dell’informazione”,
ragiona il numero due di Google. “Nei secoli a venire chi si farà delle
domande su di noi incontrerà delle enormi difficoltà, dal momento in cui
la maggior parte di ciò che ci lasceremo
dietro potrebbe essere solo bit non interpretabili”.
Il problema – fa notare britannico
The Guardian – è già qui. Negli anni Ottanta, era routine salvare i
documenti sui floppy disk, caricare il videogioco “Jet Set Willy” da una
cassetta al Sinclair ZX Spectrum, uccidere alieni con un joystick
Quickfire II, e avere delle cartucce Atari Games
in soffitta. Oggi, anche se i dischetti e le cassette sono in buone
condizioni, in molti casi l’equipaggiamento necessario per utilizzarli
si trova principalmente solo nei musei.
Detto in altri termini, il digitale ci ha sedotto con l’idea che il
bit sia immortale, motivo per cui quando abbiamo qualcosa a cui davvero
teniamo, corriamo subito a digitalizzarlo: foto, vecchi filmini di
famiglia, lettere d’amore, documenti notarili,
eccetera. Peccato, però, che anche i bit possano “marcire” e
“putrefarsi” (Cerf parla espressamente di “putrefazione dei bit”) se leggerli diventa tecnicamente impossibile.
L’ Evangelista-Capo di Internet arriva a dare un consiglio a tutti noi,
ignare potenziali vittime
del “marciume digitale”: se c’è una foto che per noi rappresenta un
tesoro, stampiamola; non affidiamoci soltanto alla memorizzazione
digitale. “Nel nostro zelo, presi dall’entusiasmo per la
digitalizzazione, convertiamo in digitale le nostre fotografie pensando
che così le faremo durare più a lungo, ma in realtà potrebbe venir
fuori che ci sbagliavamo”, ha detto Cerf. “Il mio consiglio è:
se ci sono foto a cui davvero tenete, createne delle copie fisiche. Stampatele”.
Per rendere ancora più chiaro il suo discorso, Cerf porta l’esempio di un libro scritto dalla storica premio Pulitzer Doris Kearns Goodwin sul presidente americano Abraham Lincoln (“Team Of Rivals: The Political Genius Of Abraham Lincoln”). Per scriverlo, Kearns ha consultato intere librerie contenenti copie della corrispondenza scritta tra Lincoln e le persone che lo circondavano.
Per rendere ancora più chiaro il suo discorso, Cerf porta l’esempio di un libro scritto dalla storica premio Pulitzer Doris Kearns Goodwin sul presidente americano Abraham Lincoln (“Team Of Rivals: The Political Genius Of Abraham Lincoln”). Per scriverlo, Kearns ha consultato intere librerie contenenti copie della corrispondenza scritta tra Lincoln e le persone che lo circondavano.
“Immaginiamo che ci sia una Doris Kearns Goodwin del ventiduesimo
secolo, che voglia scrivere un libro sull’inizio del ventunesimo secolo
cercando di avvalersi delle conversazioni di quel tempo. Scoprirebbe che
enormi quantità di contenuti digitali sono
o evaporati, perché nessuno li ha salvati, o a disposizione ma non
interpretabili, perché creati con software vecchi di cento anni”.
Secondo il guru di Google, l’unica via d’uscita è iniziare a pensare
sul serio al problema della preservazione del digitale. Una soluzione
possibile è ciò che ha definito “pergamena o manoscritto digitale”,
un concetto su cui stanno lavorando
gli ingegneri della Carnegie Mellon University di Pittsburgh. In
sostanza si tratta di fare delle “istantanee digitali” (“snapshot”) –
nel momento in cui un oggetto viene salvato – di tutti i processi che in
futuro saranno necessari per riprodurlo, incluso
il software e il sistema operativo. L’istantanea potrebbe poi essere
utilizzata per visualizzare la foto, il testo o il gioco in un computer
“moderno”, anche a distanza di secoli.
Certo, si potrebbe ribattere che, a livello di collettività, i
documenti più importanti saranno comunque copiati e adattati per i nuovi
media, e che quindi non dovremmo farci carico della preoccupazione
storica. Ma Cerf ha una risposta anche per questo,
prendendo in prestito una delle convinzioni più profonde degli storici:
a distanza di secoli, anche documenti apparentemente irrilevanti
possono rivelarsi importantissimi per la comprensione di un’epoca, con
la sua sensibilità e il suo punto di vista. E di
noi – oggi tanto preoccupati del diritto all’oblio - cosa resterà?
Senza scomodare il vicepresidente, mia zia di 86 primavere sono anni che dice che le foto non stampate non le guarderemo mai più, quanti ricordi persi, quanta ragione...
RispondiEliminaMeglio stamparle anche perché costano relativamente poco.
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