lunedì 2 maggio 2016

Claudio Dal Pozzo mi scrive


Ieri ho ricevuto questa mail da parte di Claudio Dal Pozzo di Pedescala, ma residente a Roma, autore del libro: "LA CASA IN CONTRA' SEGA".

Grazie Carla per la tua cortesia di ieri e soprattutto grazie per lo spazio che mi avete dedicato in occasione delle due presentazioni di Forni ed Arsiero del libro “La Casa in Contrà Sega”.
Come ti ho accennato per telefono, un mese fa ho provato a rispondere a un Vs. lettore (Anonymus 22 marzo 2016) che aveva trovato 3 o 4 pagine del libro impaginate male. Avrei voluto scusarmi a nome dell’editore e pregarlo di farselo sostituire, ma non sono riuscito a inserire il mio commento. Comunque se il lettore mi conosce lo farò personalmente la prossima estate quando sarò a Pedescala.
Veniamo invece alle argomentazioni, dissertazioni e commenti relativi alla parola “scorlaforète” presente nel libro.
Quella parola veniva usata nei miei confronti da Giovanni Spagnolo, il titolare dell’«appalto» di Pedescala  (rivendita di sale, tabacchi e valori bollati) quando mi incontrava in paese. 
Lui si divertiva a farmi arrabbiare, perché abitavo nell’ultima casa del paese lungo la strada che da Pedescala portava verso Settecà e Valdastico. Mi diceva che ero un “foresto”, che ero un “scorlaforete” di Forni. 
In quegli anni qualcun altro mi chiamava Claudio della Gabina (Vittorio Marangoni) o Claudio della Sega (Tullio Giacomelli) per distinguermi dall’altro Claudio Pretto, il bambino che poi fu ucciso dai tedeschi.
Ma Giovanni Spagnolo usava quel vocabolo solo per dirmi che ero un “foresto”, che non ero di Pedescala, che ero di Forni. 
Io mi arrabbiavo, ma non capivo il significato di quel “Scorlaforete”.
Me lo spiegò una mia zia di Setteca'.
Negli anni Quaranta la “foreta”, oltre che la federa dei cuscini, era anche un qualsiasi piccolo sacchetto di tela bianca, che sostituiva la “sporta” con cui si andava a “provedare al magazin” o a prendere il pane. Ma serviva anche se si andava a comprare la farina dai Balansoni o dai Giorgi a Setteca'. E chiaro che, chi non aveva campi sufficienti per coltivare grano da macinare, la farina doveva comprarla e spesso ne comprava poca e quindi al ritorno la “foreta” quasi vuota  pesava poco e dondolava, “scorlava”, ma sempre con attenzione perché non si doveva perdere nemmeno un grammo di quella ricchezza.    
Anche i mendicanti usavano una “foreta” dove mettevano il pane, che veniva loro offerto insieme a un pezzetto di formaggio, ma quella “foreta”, di formato più grande, era di colore scuro.

Colgo l’occasione per chiederVi se avete qualche indirizzo di abitanti della Valdastico, residenti a Roma, da invitare alla presentazione del mio libro presso l’«Associazione dei Veneti a Roma» il 23 maggio 2016. 

Vi ringrazio nuovamente e Vi aspetto durante l’estate a Pedescala.
Claudio Dal Pozzo

4 commenti:

  1. Sempre un piacere leggerti Claudio, spero che continui anche in futuro a scrivere in questo bellissimo blog.

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  2. Pur se non parmi una polga dei Prunar ma piuttostamente dei Chiodar, Claudio bazzica di Clio l'arte con onor de' Maggiori.

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    1. Casso Don se te la sè longa anca sui Pruner e i Ciodri.Ma de che cavasso situ?

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  3. Grazie,per la spiegazione dei scorla forete!che termini....Non si preoccupi per il libro sono riuscita leggerlo ugualmente anche se impaginato male,alla fine erano alcune pagine.Continui scrivere e' un piacere leggere i suoi scritti.Buona serata.

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