Ieri ho ricevuto questa mail da parte di Claudio Dal Pozzo di Pedescala, ma residente a Roma, autore del libro: "LA CASA IN CONTRA' SEGA".
Grazie Carla per la tua cortesia di ieri e soprattutto grazie per
lo spazio che mi avete dedicato in occasione delle due presentazioni di Forni ed
Arsiero del libro “La Casa in Contrà Sega”.
Come ti ho accennato per telefono, un mese fa ho provato a
rispondere a un Vs. lettore (Anonymus 22 marzo 2016) che aveva trovato 3 o 4 pagine
del libro impaginate male. Avrei voluto scusarmi a nome dell’editore e pregarlo
di farselo sostituire, ma non sono riuscito a inserire il mio commento. Comunque
se il lettore mi conosce lo farò personalmente la prossima estate quando sarò a
Pedescala.
Veniamo invece alle argomentazioni, dissertazioni e commenti
relativi alla parola “scorlaforète” presente nel libro.
Quella parola veniva usata nei miei confronti da Giovanni
Spagnolo, il titolare dell’«appalto» di Pedescala (rivendita di sale, tabacchi e valori bollati)
quando mi incontrava in paese.
Lui si divertiva a farmi arrabbiare, perché
abitavo nell’ultima casa del paese lungo la strada che da Pedescala portava
verso Settecà e Valdastico. Mi diceva che ero un “foresto”, che ero un
“scorlaforete” di Forni.
In quegli anni qualcun altro mi chiamava Claudio della
Gabina (Vittorio Marangoni) o Claudio della Sega (Tullio Giacomelli) per
distinguermi dall’altro Claudio Pretto, il bambino che poi fu ucciso dai
tedeschi.
Ma Giovanni Spagnolo usava quel vocabolo solo per dirmi che
ero un “foresto”, che non ero di Pedescala, che ero di Forni.
Io mi arrabbiavo,
ma non capivo il significato di quel “Scorlaforete”.
Me lo spiegò una mia zia di Setteca'.
Negli anni Quaranta la “foreta”, oltre che la federa dei
cuscini, era anche un qualsiasi piccolo sacchetto di tela bianca, che
sostituiva la “sporta” con cui si andava a “provedare al magazin” o a prendere
il pane. Ma serviva anche se si andava a comprare la farina dai Balansoni o dai
Giorgi a Setteca'. E chiaro che, chi non aveva campi sufficienti per coltivare
grano da macinare, la farina doveva comprarla e spesso ne comprava poca e quindi al ritorno la “foreta” quasi vuota
pesava poco e dondolava, “scorlava”, ma sempre con attenzione perché non
si doveva perdere nemmeno un grammo di quella ricchezza.
Anche i mendicanti usavano una “foreta” dove mettevano il
pane, che veniva loro offerto insieme a un pezzetto di formaggio, ma quella
“foreta”, di formato più grande, era di colore scuro.
Colgo l’occasione per chiederVi se avete qualche indirizzo
di abitanti della Valdastico, residenti a Roma, da invitare alla presentazione
del mio libro presso l’«Associazione
dei Veneti a Roma»
il 23 maggio 2016.
Vi ringrazio nuovamente e Vi aspetto durante l’estate a
Pedescala.
Claudio Dal Pozzo
Sempre un piacere leggerti Claudio, spero che continui anche in futuro a scrivere in questo bellissimo blog.
RispondiEliminaPur se non parmi una polga dei Prunar ma piuttostamente dei Chiodar, Claudio bazzica di Clio l'arte con onor de' Maggiori.
RispondiEliminaCasso Don se te la sè longa anca sui Pruner e i Ciodri.Ma de che cavasso situ?
EliminaGrazie,per la spiegazione dei scorla forete!che termini....Non si preoccupi per il libro sono riuscita leggerlo ugualmente anche se impaginato male,alla fine erano alcune pagine.Continui scrivere e' un piacere leggere i suoi scritti.Buona serata.
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