Il motivo per cui, a più di un mese
dalla prima, si continua a fare la coda al botteghino, per vedere
“Oscar”, è sicuramente il desiderio di riconoscere volti e luoghi. Ma,
per chi ha già visto o quanto meno sentito parlare dei precedenti lavori
di Dennis Dellai, giornalista con il talento per la regia, si aggiunge
il desiderio di capire cos’è riuscito a confezionare, dopo “Così
eravamo” e “Terre rosse”.
Il ricordo di quei lavori è la sorprendente
capacità di andare oltre la narrazione ed emozionare. Mettiamoci pure il
fatto che “Terre rosse” è stato scelto per essere proiettato
oltreoceano, al cineforum dell’ambasciata italiana a Washington ed è
diventato materia di studio per il corso di cinema, all’università di
Bocaraton, che si è fatto notare alla mostra del cinema, che ha ricevuto
da più parti entusiastici consensi. Tanti aspetti che, uniti ai sei
anni di attesa, hanno contribuito ad aumentare la curiosità nei
confronti di “Oscar”, già richiesto dal direttore del museo ebraico di
Vienna, per essere proiettato l’8 giugno.
La
pellicola racconta la storia, romanzata, del musicista austriaco,
ebreo, Oscar Klein, che ha vissuto alcuni anni con la famiglia ad
Arsiero. Gli anni della fine del secondo conflitto mondiale, quando
l’ira nazista non ancora sopita ha sterminato milioni di ebrei. Una
storia tristemente nota, che Dellai ha saputo umanizzare e rendere
coinvolgente a modo suo. Con quel suo linguaggio capace di andare oltre
la durezza di certi episodi per trasformarli in delicati racconti di
normale quotidianità, dove ideali senza tempo e bassezze umane
convivono. Da sempre appassionato di fotografia, Dellai ha saputo
arricchire la narrazione con scorci di rara intensità e, per arrivare a
graffiare l’anima, là nel profondo, le musiche di Paolo Agostini hanno
fatto il resto. Attenzione anche ai dialoghi, scritti in collaborazione
con il fido Giacomo Turbian, piccole perle di saggezza capaci di vestire
gli orrori di speranza.
Ebbene
sì: Oscar è un film che pian piano coinvolge, portando lo spettatore
dentro la scena. E, pur raccontando un dramma, senza fare sconti allo
scorrere dell’esistenza, porta in sé una sorta di leggerezza perché sa
equilibrare gli orrori con un’impalpabile, rasserenante poesia, come
dimostra il toccante cameo di Mariano Rigillo.
Fin qui abbiamo trattato la pellicola come fosse
un film normale, ma il valore aggiunto di Oscar è quello di essere uno
straordinario miracolo della passione. Difficile credere che Progetto
Cinema abbia saputo realizzare quest’opera con risorse che possono
essere considerate gli spiccioli rispetto a quanto si spende normalmente
per un film. Ma tutto questo è accaduto perché ognuno, dagli attori
protagonisti ad ogni comparsa, dai truccatori ai costumisti alle
segretarie, chiunque ha avuto una parte, piccola o grande, in Oscar ha
dato il massimo. Anche per questo è una bella storia da raccontare!
N.B.
altovicentinonline
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