lunedì 10 febbraio 2014

Al Solario



Negli anni difficili del ventennio fascista (1925-1945) e della grande depressione, periodo della più grande crisi economica che il mondo abbia conosciuto, anche le famiglie che si dicevano più agiate, dovevano cercar di fare la più grande economia possibile, per sopravvivere. Ed in casa mia, tenere a casa una mucca nei tre mesi d'estate e venderne il latte, specialmente se ne faceva molto, era di grande aiuto. Perchè spiccioli per comperare il pane non ce n'erano. I grandi, o erano a casa senza lavoro, o erano a militare, quattro nella mia famiglia, nell'ultimo periodo di guerra.


Solamente che per vivere e far del latte, la mucca doveva mangiare e tanto, ma non doveva consumare il fieno dei prati, no! Quello doveva servire per l'inverno! Ed allora il più giovane, che ero io, doveva mattina e sera e tutti i santi giorni che mandava Dio, prendere na sòga, attaccare la mucca con due asole alle corna e portarla a mangiare l'erba lungo le cunette delle strade, che allora erano ancora bianche, lungo il salìso, e for par campagna. Questo, per quasi tutta la vita della "Persia": ottima mucca, intelligente e furba. Bastava che tu ti
distraessi un poco, che lei con la sua linguaccia simile ad una “sésola” (falcetto),
passava al di là dei reticolati di cinta e ti falciava l'erba fresca, come fosse passato un rasoio. Quando si accorgevano “certi padroni” era... -a te fulgore e tempestate-!
Cosa usciva da quelle bocche: insulti, bestemmie ed eresie. E tanto il vocabolario era ricco d'inventiva e variegato, che sembravano … giaculatorie!
Naturalmente non ero sempre contento, ma quando pensavo a dei mie amici che a otto, nove, dieci anni erano costretti ad andare ”a ténder vache” sù dai “Toi” o sù dai “Slàpari” e che oltre ad essere lontani da casa, a quell'età, erano maltrattati e pativano la fame e la notte sotto le coperte piangevano e chiamavano la mamma: ”Mama... némo tòrme”... mi consideravo un fortunato.

Mai però come quelli che andavano in colonia al mare, quelli sì che erano fortunati, anche se mi pareva strano che fossero i più poveri, i prescelti. E raccontavano come era il mare: un'estensione immensa di acqua salata, però sabbia all'infinito e il sole che non tramontava mai e i giochi...
E la notte sognavo di cose che non avevo mai viste...
Beh! Al mare no, perchè era lontano, ma almeno “al Solario”...
Dalla volta de Menònce, sopra le case dei Lucca, si vedevano i ragazzi giocare laggiù al Reparo.
Là dove l'Astego, uscito dal suo letto con l'ultima brentàna, aveva portato via el còdego e quel fià de terra, lasciando solo un po' di sabbia e tanti sassi lisci e lucidi.
Anche là però avevano diritto solo i più poveri!

Un anno, un “alto locato“ ebbe un'idea,  per me geniale,  di mandare al solario quelli che non vi erano mai stati senza distinzione di casta.

Una mattina si presenta, davanti a casa mia il messo comunale, con una lettera dov'era indicato che la mia richiesta era stata accettata, (la facevo inutilmente tutti gli anni) e che a partire da lunedì mattina dovevo presentarmi giù ai Pertile, alle otto in punto, vestito con sandali, pantaloncini corti, maglietta o camicia e beretto. Quale non fu lo stupore e l'incredulità della mia famiglia!
Mio fratello Moro mi procurò un paio di sandali un pochino grandi, ma tanto dovevo ancora crescere, e le sorelle mi procurarono il resto, tutto nuovo, perchè non dovevo fare brutta figura.
Si faceva l'adunata ai Pertile, in una casa isolata, ove oggi sorge la casa del Maule. 
Era abitata da una vedova (la Maria da Ciupàn, sorella di quelli dei crauti ed aveva sposato un Pertile, fratello del papà di Battistin) e da sua figlia Rinetta. Qui ci davano un panino con un pezzettino di cioccolata o marmellata, una bibita e poi giù in fila par el strodo fino alla casa del Merlo, giù per la vecchia pontàra, for par la cavalàra ed arrivo a circa cento metri sotto la “Pizzeria al Solario” che naturalmente a quei tempi non esisteva.
Questo luogo si chiamava al Reparo: un lungo muro in ciclopico, spesso qualche metro, con le fondamenta nell'Astego, che impediva al fiume di penetrare sui prati, anche se qualche anno prima era riuscito, in piena, a girargli attorno, asportando tutto al suo passaggio. Qui passai bellissime vacanze con gli amici di varie età, si giocava, si correva si prendeva il sole, e sotto le tende, i più grandi, ci davano lezioni di vita... da grandi. Come sorveglianti tutto fare avevamo la Rina e la Rosetta, due sorelle, che non ci lasciavano mancare il pane ed erano abbastanza indulgenti con la disciplina.
L'ultimo sabato mi recai, come tutte le mattine,  ai Pertile e vidi i miei compagni già in fila per tre.
Una ragazza, vestita da giovane fascista, mi prese per un braccio e mi sbattè in seconda fila e poi, ad uno ad uno, dentro in una cameretta.

Ci pose un fez sulla testa, una camicetta nera, il fazzoletto attorno al collo e via ben in fila per tre verso il cimitero dove ci sarebbe stata una messa solenne con tutte le autorità civili e religiose. Fu la prima e la sola volta che indossai la divisa da balilla e mai l'avrei indossata se non fosse stato per una mia imperdonabile dimenticanza, con delle conseguente spiacevoli. E i dispiaceri cominciarono subito: appena arrivati ai piedi della Cappella, il Parroco celebrante, vedendomi, diventò tutto rosso ed ebbe uno scatto d'ira, indicandomi ad un gerarca, il quale, tutto contento di poter fare un torto al prete che non poteva sopportare per la sua
intransigenza e superbia, gli sibilò: “sta bene là”. Se a me questo ”diverbio“ costò d'essere messo da una parte come “mòcolo” (fui più libero di dedicarmi al Cappellàn don Antonio) a lui, unito certamente ad altri comportamenti imperdonabili, costò ben più caro, perchè dopo qualche mese fu letteralmente cacciato via dalla parrocchia.
Finite le cerimonie, che si protrassero fino al pomeriggio, ci ritrovammo nei “canevùni” delle scuole dove erano imbandite le tavole per i gerarchi, con cibi e bevande. Ebbimo diritto anche noi a qualche panino e leccornie varie. Qualcuno facendo il fabiòco, riuscì a scippare di nascosto, qualche bottiglia di vino, che unito ai canti di “vincere e per Benito” ci mandò tutti a prova di “palloncino”. 
Quando finalmente riuscimmo ad estirparci dalle sedie era già tardi. Come riuscii ad arrivare a casa non lo so. Mi ricordo solo che quando aprii la porta, mio fratello stava alla finestra, intento a farsi la barba. 
Doveva ritornare, a piedi, a Pergine dove era di stanza il suo Battaglione, pronto per partire per la Russia.
Aveva già partecipato alla guerra in Francia, e poi in Albania, dove aveva visto morire sotto i suoi occhi il suo migliore amico, e lui stesso congelato ai piedi, ed una pallottola che gli aveva attraversato una spalla. Quando mi vide entrare, mi balzò addosso, mi trascinò fuori in corte, e là... 
Mai prima di allora né le mie sorelle, né i mie fratelli, a parte qualche svéntola o scapelòto, avevano alzato le mani su di me, ma quella sera ricevetti la mia dose che... mai più dimenticherò, come la sola volta vestito da balilla, e la sola ed unica volta che andai al Solario...
Lino Bonifaci

17 commenti:

  1. L"ONB(1926) non doveva essere bene percepita dalla gente, da quello che leggo, no Lino ?
    Ho cercato perchè erano chiamati Balilla(ONB). Origine : Giovan Battista Perasso detto « Balilla », genovese di 17 ans a l'origine della ribellione, poi alla vittoria della Patria contro l'occupazione austriaca in 1746. (per quelli che non lo sanno)

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  2. Lo so che dico sempre le stesse cose ma a me i racconti del signor Lino mi piacciono perchè vengo a sapere sempre cose nuove e in maniera semplice. Ora dalla signora Odette ho imparato anche l'origine della parola balilla e chiedo ma la macchina balilla allora aveva a che fare qualcosa?

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    1. Cara Heidi, si, anche la Fiat 508 Balilla era della stessa epoca, 1932 di preciso. Precedentemente si conta un aereo Fiat A1, un trattore agricolo Motomeccanica ed una serie di sottomarini della marina del Re dell'Italia, tutti col stesso nome. Dicono che non era in onore del fascismo ma per ricordare il patriota Giovan Battista Perasso detto "Balilla" che donò, a Genova, il segnale dell'insurrezione popolare ; in cinque giorni gli Austriaci, occupanti, furono cacciati della città.

      Penso che Lino potrà raccontarti meglio di me questi avveniménti della storia.

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  3. Madonna che magri i bociti!!! Va ben LINO bela storia bela la documentasion.Anco' xe la memoria dele foibe ma me par che ghemo tuti el deo ingessa par tocare sto tasto!!!!! O xelo na mia impression??????

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    1. la prima fila : non erano bambine ?

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    2. Si caramia, el duce el sercava de slevarsele olande fin da bocie, sel volea tante Clarette... el ghe pensava par tempo... e infati...

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  4. Il racconto del Baise meraviglioso - le culottes meravigliose - il bambino che ciucia meraviglioso - la foto a raggi di bicicletta sulla sabbia meravigliosa - il blog sempre più meraviglioso - che dire? Continuate così e BRAVI A TUTTI!

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  5. Comunque e sempre bei ricordi di vita i racconti documentari di Lino, ma una curiosità mi attanaglia; nelle foto al Solario c'era anche il nostri simpaticissimo Don Sponcio??????Floriana

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  6. Complimenti Lino, veramente un racconto da leggere tutto di un fiato grazie ginominai

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    1. Si tutto di un fiato altrimenti ti accorgi di perder tempo.

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  7. Caro Lino mio nonno per aver rifiutato la tessera del fascio è stato costretto ad andare a lavorare non ti dico neanche dove.

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  8. Anonymous delle ore 21'23- Come mai tu,con la tua" immensa" intelligenza ed il tuo "grande"
    coraggio come un............perdi tempo a leggere il blog????Il tuo posto dovrebbe essere al
    minimo alla camera dei deputati assieme ai grillini !!!!!!!!!!!
    Jo Condor,non so chi sia stato tuo nonno,quindi non giudico!!!!Ti dico solo che nella mia
    famiglia nessuno ebbe mai qualsiasi tipo di tessera né fascista né comunista.Una sera del'44
    il Caw bow si presento' a casa mia con la pistola ed il mitra........se ne ando',come era venuto.
    Odette, come sempre fino a che si mangia......poi si ammazza colui che ti ha dato da mangiare.
    E'sempre successo cosi' da che mondo è mondo!!!!!

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    1. Ma dai Lino cosa ti ha fatto di male il Grillo, me lo ricordo al Carosello per la pubblicità che faceva dello yoghurt Yomo; quello che ti ha dato da mangiare faceva invece anche lui il carosello, un pò più tardi,fuori onda, con l'olio di ricino!

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  9. Bel racconto , Lino. Anche a Pedescala, c'era il SOLARIO e mio papà mi raccontava di quanto gli dispiacesse non poter andare con gli altri ragazzi perchè, visto che mio nonno era barbiere e quindi stava con tutti, non aveva diritto a certe diciamo"agevolazioni". Inutile dire che visto che si mangiava qualcosa, tutti avrebbero voluto andare... grazie della tua storia,Lucia

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  10. E mi, ca diga cossa... desso so parchè i ghe ciama al Solario... ai me tempi, tuto l'Astego l'era un solario, e gera mia grassie a corlà, ostrega.

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