Negli anni difficili del ventennio fascista (1925-1945) e della grande depressione, periodo della più grande crisi economica che il mondo abbia conosciuto, anche le famiglie che si dicevano più agiate, dovevano cercar di fare la più grande economia possibile, per sopravvivere. Ed in casa mia, tenere a casa una mucca nei tre mesi d'estate e venderne il latte, specialmente se ne faceva molto, era di grande aiuto. Perchè spiccioli per comperare il pane non ce n'erano. I grandi, o erano a casa senza lavoro, o erano a militare, quattro nella mia famiglia, nell'ultimo periodo di guerra.
Solamente che per vivere e far del latte, la mucca doveva mangiare e tanto, ma non doveva consumare il fieno dei prati, no! Quello doveva servire per l'inverno! Ed allora il più giovane, che ero io, doveva mattina e sera e tutti i santi giorni che mandava Dio, prendere na sòga, attaccare la mucca con due asole alle corna e portarla a mangiare l'erba lungo le cunette delle strade, che allora erano ancora bianche, lungo il salìso, e for par campagna. Questo, per quasi tutta la vita della "Persia": ottima mucca, intelligente e furba. Bastava che tu ti
passava al di là dei reticolati di cinta e ti falciava l'erba fresca, come fosse passato un rasoio. Quando si accorgevano “certi padroni” era... -a te fulgore e tempestate-!
Cosa usciva da quelle bocche:
insulti, bestemmie ed eresie. E tanto il vocabolario era ricco d'inventiva e variegato, che sembravano
… giaculatorie!
Naturalmente non ero sempre contento,
ma quando pensavo a dei mie amici che a otto, nove, dieci anni erano costretti ad andare ”a
ténder vache” sù dai “Toi” o sù dai “Slàpari” e che oltre ad essere lontani da casa, a
quell'età, erano maltrattati e pativano la fame e la notte sotto le coperte piangevano e
chiamavano la mamma: ”Mama... némo tòrme”... mi consideravo un fortunato.
E la notte sognavo di cose che non
avevo mai viste...
Beh! Al mare no, perchè era lontano, ma
almeno “al Solario”...
Dalla volta de Menònce, sopra le case dei Lucca, si vedevano i ragazzi
giocare laggiù al Reparo.
Là dove l'Astego, uscito dal suo letto
con l'ultima brentàna, aveva portato via el còdego e quel fià de terra, lasciando solo un po' di sabbia e tanti sassi lisci e lucidi.
Anche là però avevano diritto solo i più poveri!
Un anno, un “alto locato“ ebbe
un'idea, per me geniale, di mandare al solario quelli che non vi
erano mai stati senza distinzione di casta.
Una mattina si presenta, davanti a
casa mia il messo comunale, con una lettera dov'era indicato che la mia richiesta era stata
accettata, (la facevo inutilmente tutti gli anni) e che a partire da
lunedì mattina dovevo presentarmi giù ai Pertile, alle otto in
punto, vestito con sandali, pantaloncini corti, maglietta o camicia
e beretto. Quale non fu lo stupore e l'incredulità della mia
famiglia!
Mio fratello Moro mi procurò un paio di
sandali un pochino grandi, ma tanto dovevo ancora crescere, e le sorelle mi procurarono
il resto, tutto nuovo, perchè non dovevo fare brutta figura.
Si faceva l'adunata ai Pertile, in una
casa isolata, ove oggi sorge la casa del Maule.
Era abitata da una vedova (la Maria da Ciupàn, sorella di quelli dei crauti ed aveva sposato un Pertile, fratello del papà di Battistin) e da sua figlia Rinetta. Qui ci davano un panino con un pezzettino di cioccolata o marmellata, una bibita e poi giù in fila par el strodo fino alla casa del Merlo, giù per la vecchia pontàra, for par la cavalàra ed arrivo a circa cento metri sotto la “Pizzeria al Solario” che naturalmente a quei tempi non esisteva.
Era abitata da una vedova (la Maria da Ciupàn, sorella di quelli dei crauti ed aveva sposato un Pertile, fratello del papà di Battistin) e da sua figlia Rinetta. Qui ci davano un panino con un pezzettino di cioccolata o marmellata, una bibita e poi giù in fila par el strodo fino alla casa del Merlo, giù per la vecchia pontàra, for par la cavalàra ed arrivo a circa cento metri sotto la “Pizzeria al Solario” che naturalmente a quei tempi non esisteva.
Questo
luogo si chiamava al Reparo: un lungo muro in ciclopico, spesso
qualche metro, con le fondamenta nell'Astego, che impediva al fiume
di penetrare sui prati, anche se qualche anno prima era
riuscito, in piena, a girargli attorno, asportando tutto al suo
passaggio. Qui passai bellissime vacanze con gli amici di varie età,
si giocava, si correva si prendeva il sole, e sotto le tende, i
più grandi, ci davano lezioni di vita... da grandi. Come
sorveglianti tutto fare avevamo la Rina e la Rosetta, due sorelle,
che non ci lasciavano mancare il pane ed erano abbastanza
indulgenti con la disciplina.
L'ultimo sabato mi recai, come tutte le
mattine, ai Pertile e vidi i miei compagni già in fila per tre.
Una
ragazza, vestita da giovane fascista, mi prese per un braccio e mi
sbattè in seconda fila e poi, ad uno ad uno, dentro in una cameretta.
intransigenza e superbia, gli sibilò: “sta bene là”. Se a me questo ”diverbio“ costò d'essere messo da una parte come “mòcolo” (fui più libero di dedicarmi al Cappellàn don Antonio) a lui, unito certamente ad altri comportamenti imperdonabili, costò ben più caro, perchè dopo qualche mese fu letteralmente cacciato via dalla parrocchia.
Finite le cerimonie, che si protrassero
fino al pomeriggio, ci ritrovammo nei “canevùni” delle scuole dove erano imbandite le
tavole per i gerarchi, con cibi e bevande. Ebbimo diritto anche noi
a qualche panino e leccornie varie. Qualcuno facendo il fabiòco,
riuscì a scippare di nascosto, qualche bottiglia di vino, che unito
ai canti di “vincere e per Benito” ci mandò tutti a prova di
“palloncino”.
Quando finalmente riuscimmo ad estirparci dalle
sedie era già tardi. Come riuscii ad arrivare a casa non lo so. Mi
ricordo solo che quando aprii la porta, mio fratello stava alla
finestra, intento a farsi la barba.
Doveva ritornare, a piedi, a
Pergine dove era di stanza il suo Battaglione, pronto per partire per
la Russia.
Aveva già partecipato alla guerra in
Francia, e poi in Albania, dove aveva visto morire sotto i suoi occhi
il suo migliore amico, e lui stesso congelato ai piedi, ed una
pallottola che gli aveva attraversato una spalla. Quando mi
vide entrare, mi balzò addosso, mi trascinò fuori in corte, e là...
Mai prima di allora né le
mie sorelle, né i mie fratelli, a parte qualche svéntola o scapelòto, avevano alzato le mani
su di me, ma quella sera ricevetti la mia dose che... mai più dimenticherò, come la sola
volta vestito da balilla, e la sola ed unica volta che andai al Solario...
Lino Bonifaci
L"ONB(1926) non doveva essere bene percepita dalla gente, da quello che leggo, no Lino ?
RispondiEliminaHo cercato perchè erano chiamati Balilla(ONB). Origine : Giovan Battista Perasso detto « Balilla », genovese di 17 ans a l'origine della ribellione, poi alla vittoria della Patria contro l'occupazione austriaca in 1746. (per quelli che non lo sanno)
Lo so che dico sempre le stesse cose ma a me i racconti del signor Lino mi piacciono perchè vengo a sapere sempre cose nuove e in maniera semplice. Ora dalla signora Odette ho imparato anche l'origine della parola balilla e chiedo ma la macchina balilla allora aveva a che fare qualcosa?
RispondiEliminaCara Heidi, si, anche la Fiat 508 Balilla era della stessa epoca, 1932 di preciso. Precedentemente si conta un aereo Fiat A1, un trattore agricolo Motomeccanica ed una serie di sottomarini della marina del Re dell'Italia, tutti col stesso nome. Dicono che non era in onore del fascismo ma per ricordare il patriota Giovan Battista Perasso detto "Balilla" che donò, a Genova, il segnale dell'insurrezione popolare ; in cinque giorni gli Austriaci, occupanti, furono cacciati della città.
EliminaPenso che Lino potrà raccontarti meglio di me questi avveniménti della storia.
Madonna che magri i bociti!!! Va ben LINO bela storia bela la documentasion.Anco' xe la memoria dele foibe ma me par che ghemo tuti el deo ingessa par tocare sto tasto!!!!! O xelo na mia impression??????
RispondiEliminala prima fila : non erano bambine ?
EliminaSi caramia, el duce el sercava de slevarsele olande fin da bocie, sel volea tante Clarette... el ghe pensava par tempo... e infati...
EliminaIl racconto del Baise meraviglioso - le culottes meravigliose - il bambino che ciucia meraviglioso - la foto a raggi di bicicletta sulla sabbia meravigliosa - il blog sempre più meraviglioso - che dire? Continuate così e BRAVI A TUTTI!
RispondiEliminaComunque e sempre bei ricordi di vita i racconti documentari di Lino, ma una curiosità mi attanaglia; nelle foto al Solario c'era anche il nostri simpaticissimo Don Sponcio??????Floriana
RispondiEliminaComplimenti Lino, veramente un racconto da leggere tutto di un fiato grazie ginominai
RispondiEliminaSi tutto di un fiato altrimenti ti accorgi di perder tempo.
EliminaVilàn!...
EliminaCaro Lino mio nonno per aver rifiutato la tessera del fascio è stato costretto ad andare a lavorare non ti dico neanche dove.
RispondiEliminaDove ???
RispondiEliminaAnonymous delle ore 21'23- Come mai tu,con la tua" immensa" intelligenza ed il tuo "grande"
RispondiEliminacoraggio come un............perdi tempo a leggere il blog????Il tuo posto dovrebbe essere al
minimo alla camera dei deputati assieme ai grillini !!!!!!!!!!!
Jo Condor,non so chi sia stato tuo nonno,quindi non giudico!!!!Ti dico solo che nella mia
famiglia nessuno ebbe mai qualsiasi tipo di tessera né fascista né comunista.Una sera del'44
il Caw bow si presento' a casa mia con la pistola ed il mitra........se ne ando',come era venuto.
Odette, come sempre fino a che si mangia......poi si ammazza colui che ti ha dato da mangiare.
E'sempre successo cosi' da che mondo è mondo!!!!!
Ma dai Lino cosa ti ha fatto di male il Grillo, me lo ricordo al Carosello per la pubblicità che faceva dello yoghurt Yomo; quello che ti ha dato da mangiare faceva invece anche lui il carosello, un pò più tardi,fuori onda, con l'olio di ricino!
EliminaBel racconto , Lino. Anche a Pedescala, c'era il SOLARIO e mio papà mi raccontava di quanto gli dispiacesse non poter andare con gli altri ragazzi perchè, visto che mio nonno era barbiere e quindi stava con tutti, non aveva diritto a certe diciamo"agevolazioni". Inutile dire che visto che si mangiava qualcosa, tutti avrebbero voluto andare... grazie della tua storia,Lucia
RispondiEliminaE mi, ca diga cossa... desso so parchè i ghe ciama al Solario... ai me tempi, tuto l'Astego l'era un solario, e gera mia grassie a corlà, ostrega.
RispondiElimina