mercoledì 2 agosto 2023

El canpàro

[Gianni Spagnolo © 230713]

Fra le figure tra il reale e l’immaginario che popolavano le angosce dei nostri anni verdi, il più concreto e terrestre era senz'altro il canpàro

Mentre orchi, anguàne e salvanéi appartenevano ad una dimensione misteriosa e immateriale che per lo più ci sfuggiva, il canpàro rappresentava invece l’incubo diurno da affrontare.

Il canpàro, infatti, era preposto a sorvegliare i campi, gli orti e le rive e tutto ciò che producevano in termini di erbe, alberi e frutti. Soprattutto questi ultimi, che erano nelle nostre mire quando la stagione ci spingeva liberi e gagliardi a raccogliere ciò che non avevamo seminato né coltivato. 

Allora era proibito praticamente tutto; stando ai comandamenti avremmo dovuto vivere come monaci stiliti. No biognava mìa a pestar l’erba, inbosemàre l’àcoa, tor do la ùa, magnar siarèse, robàre i fighi, bàtar le nose, nar par piri, pumi e còrnole... e un’infinità di altri divieti che limitavano alquanto la nostra libertà di indomiti scavessùni, sbregamandàti e slondrùni. Ecco che allora la figura del canpàro capitava a fagiolo a tenerci all’occhio.

Il canpàro era una guardia campestre assoldata dalle comunità rurali per sorvegliare i campi e i loro prodotti. Erano indicati nei vecchi statuti come saltàri e tutelavano la precaria economia delle nostre bande. Erano scelti fra gli uomini più robusti e decisi, meglio se imponenti, perché più adatti ad incutere timore, specialmente alla bociarìa più audace ed erano perciò soffusi da un alone di mistero.

Ténti al canpàro! 

Era così che ti minacciavano gli adulti quando ti vedevano bazzicare in prossimità di visèle, figàri, sieresàre o peràri. L’ombra di questo fantomatico canpàro aleggiava quindi minacciosa e frustrante sulle nostre escursioni stagionali tese a verificare a campione la bontà della frutticultura locale.  Si sapeva che il canpàro era un omone burbero e scaltro, armato di palo e ròncola e scelto fra gli uomini più indisponenti e scorbutici del paese. 

In passato avevano ricoperto questo ruolo personaggi quali Camilòto e Tita Mondo, di cui si favoleggiavano le angherie nei confronti della bociarìa. Ma ai nostri tempi il canpàro non era ormai più identificabile con qualcuno del paese, era diventato una figura sfuggevole e quasi mitica: doveva pur esserci, ma non si sapeva chi fosse. E ciò contribuiva a renderne la presenza ancora più incombente e minacciosa. In realtà rimaneva ormai ben poco da téndere e le vanède erano ormai ridotte ad un pallido ricordo del rigoglìo che furono, ma rimaneva l’abitudine ad evocarlo quasi a perpetuare un mondo che era già perduto. Il custode che sopravviveva al custodito, quindi; pur in una veste non più fisica, ma immateriale: restava la leggenda!


 


12 commenti:

  1. Ciao Gianni, sei sicuro che si scriva con la enne? Mi è venuta subito in mente la mia maestra delle elementari Giuliana Casentini: davanti alla b ed alla p ci vuole la emme. Grazie.

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    1. Infatti, quando scrivo in italiano la metto.

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    2. Sono regole convenzionali, anche gli inglesi scrivono "input" e non "imput". Nella pronuncia del nostro dialetto (non italianizzato) mi pare che la "n" sia più appropriata.

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  2. A mio modesto avviso, ci sta bene la n, anca perché in Veneto tutto xe concesso.....

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  3. Credo che in dialetto tutto sia permesso

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  4. Aveva ragione la maestra Casentini, e Ale ha imparato la lezione.... Ma "in veneto" va ben tutto, Come suona alle orecchie... cosi' si scrive. E allora accordo con "canparo"

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  5. Giulio
    Non mi ricordo ,se era Nane Sochiti oppure Primo dei Valérgi .Siamo negli anni 1952/54,facevamo la guardia a quelli che andavano ( robare) che erano piu vecchi di 4/5 anni un’altra generazine quasi. Il camparo si postava sovente, alla curva dei Menonce oppure ai Valergi con il binonolo a tracollo,e spesso in autunno con la mantellina. Mi ricordo mio fratello Pietro assieme ad un altro che non mi ricordo chi !! Erano in cima al peraro fuori per campagna e tutto un colpo arriva il camparo che si mette à gidare "vegni zo... " e mio fratello con il suo complice dicevano " no stemmo qua" questo batti becco ha durato un bel po ,pero la notte arrivando,i due hanno dovuto scendere e il camparo e li ha accompagnati a casa ,dove si presero due sberle dalla mamma,e una romanzina di morale dal camparo.E un ricordo ora simpatico ,pero la paura del camparo era réale. Sono fatti dei quali e importante transmettere, perche allora i telefonini non esistevano ,ma erano altri tempi, un’altro secolo.

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  6. Ero nel campo di mio padre, qualche centinaio di metri da contrà Pertile, per raccogliere qualche grappolo d'uva. All'improvviso sento una voce alle mie spalle che, con tono quasi amichevole, si congratulava per aver rispettato la proprietà. Era il camparo con una mantellina nera. Non ho mai saputo come veniva stipendiato il lavoro di guardiano dei campi.

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    1. Non ne sono sicurissima, ma mi sembra di ricordare di aver letto da qualche parte che erano le famiglie con le proprietà a pagare annualmente un qualcosa, non so se uguale per tutti o in base alla metratura.

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  7. La mamma aggiunge anche Giuseppe Sartori (Bepi struca) papà della maestra Severina e io aggiungo anche Paolo Lucca (papà della Sabina e Sabino) che quella volta... per aver preso un mazzo di fiori di pesco da portare alla Maestra... non vi dico la paternale... e poi la segnalazione alla mamma a domicilio così doppia paternale e le ho pure prese... Ricordo la frase: setu miga quanti pèrseghi che desso zè nà persi par colpa tua?

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  8. Giulio.
    lo havevo dimenticato quello li !!Paulo Lucca :Detto Paolo Luchetta un dei campari piu severi, era un vicino di casa mia , habitava nella casa ,sotto el portego della "contra dei socoli" à 20 metri da casa mia; Quando si vestiva da confratello ,non vi dico il personaggio,veramente impressionnante per il ragazzino che ero.Che ricordi...

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