[Gianni Spagnolo © 22L25]
Sappiamo che le antiche civiltà americane non usavano la ruota; forse la conoscevano, ma non la impiegavano per trasportare uomini e merci. Non lo facevano i Pellerossa del Nord, che usavano il travois pur disponendo dei cavalli, non i mesoamericani, che non avevano animali da tiro. Meno ancora l’impero Inca, in un territorio montagnoso e impervio in cui la ruota sarebbe stata più d’impiccio che di utilità.
I nostri avi, invece, la ruota la conoscevano e sapevano anche come impiegarla, ma nella vita quotidiana delle nostre parti era un lusso perlopiù evitabile. Sì, perché la ruota era costosa da produrre e manutenere, richiedendo metallo sulle parti di usura, nonché tecniche costruttive e legnami non banali. Andava dunque bene la carriola dalla ruota piena, ricavata da semplici assi inchiodate e sagomate di legno d’abete, meno quella dei carri, che richiedevano ruote più grandi ed elaborate. In ogni caso le strade, almeno fino alla metà del Milleottocento, erano poco più che sentieri lastricati a salìso, stretti e impervi, dove era più utile e pratica la ìdola che il carro.
I trasporti avvenivano quindi preferibilmente a soma, sia animale che umana. Allo scopo ci si serviva di attrezzi semplici e funzionali, su tutti i derli e le derle. El derlo, al maschile, era una sorta di tozza cesta di vimini (ma fatta più spesso con stròpe o rame de noselàro) costruita su una base di legno con due corti branchi divaricati da appoggiare alle spalle e sostenere in equilibrio con le braccia. Era sagomato in modo da ricavare un incavo per la testa, così da non far troppa leva sulle spalle. Serviva per i trasporti più brevi e pesanti, tipicamente per il letame o la terra. Una spessa tela di sacco serviva per riparare la testa e accomodare i branchi sulle spalle.
Più grande e leggera era la derla, un panciuto cestone di vimini o stròpe intrecciate, adatto a contenere materiali più voluminosi e leggeri, quali fieno, foglie, ortaggi, ecc. Ma non c’era limite al loro impiego: qualsiasi cosa ci stesse dentro, poteva esservi trasportata, inclusi animali, bambini, attrezzi, cibo e mercanzie varie. La derla era molto più pratica, avendo degli spallacci che lasciavano libere le mani, mentre il derlo le teneva costantemente occupate a reggere in precario equilibrio il carico. Derli e derle potevano essere costruiti in famiglia in assoluta autarchia, usando i materiali che c’erano: spezzoni di tavole, sogàti, rametti flessibili di varie piante e magari qualche scampolo di coràme. La tecnica costruttiva era assodata da secoli e tramandata di generazione in generazione nei filò invernali, dove gli uomini si industriavano a costruire ed aggiustare utensili ed attrezzi della vita e dei lavori di allora. La foggia poteva variare secondo gli usi, i materiali disponibili, o l'abilità del costruttore
Quand’ero bambino la derla non s'usava ormai più e riposava esausta e sgangherata in un angolo del granàro, mentre il derlo sopravviveva ancora come strumento per portare el luàme intele vanède alte. Faceva pena, quel povero derlo, tuto sghèrlo e medo sfassà, relegato in un cantòn del bàito, ancor imbrattato dei residui della mercanzia, che inevitabilmente s’intrufolava nei suoi interstizi. Ormai anch’esso era sostituito dai bandùni, più igienici ed efficienti da portare appesi al bigòlo. Feci in tempo a portarlo anch’io il derlo, che mio padre aveva in odio. Mi raccontava delle volte in cui i cagnòti del letame risalivano per il collo, quando s'arrampicava su per il Creàro col derlo in spala.
Altri tempi, altre esperienze, altre tempre … e altri stùmeghi.
....e el tarlison, quel quadro di iuta con "soghe"ai quattro angoli che si riempiva di fieno da portare nel fienile. La mamma ne aveva fatto uno piccolo x me ancora bambina.VL
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