【Gianni Spagnolo ©
200515】
Negli ultimi tempi s'assiste ad un fiorire d’iniziative volte alla riscoperta ed al
ripristino di percorsi alternativi al traffico veicolare. Ciò per assecondare la crescente richiesta
di una viabilità specifica dedicata a pedoni, biciclette e runner. Alcuni di questi ripercorrono
in parte antichi tracciati soppiantati dalla moderna rete viaria basata sull’automobile,
regina incontrastata della nostra epoca. L’abitudine ad usare l’auto per ogni
necessità di spostamento, ha infatti ormai condizionato il nostro rapporto con il
territorio e anche con il nostro corpo. Sì, perché è solo da un paio di
generazioni che l’uomo ha quasi perso l’uso delle gambe per spostarsi, cosa che
prima era una ginnastica quotidiana e ineludibile.
Chi può riandare con la memoria
a prima che venissero costruiti il viadotto dei
Granatieri e quello di Sant’Agata con i rispettivi raccordi stradali, si ricorderà le
sinuosità e i saliscendi che caratterizzavano le strade attraverso
Velo o Cogollo. I ponti di Pilo e Caltrano erano
infatti passaggi obbligati per attraversare l’Astico. Fino a poco prima, resisteva anche la mitica ferrovia con i due tracciati che collegavano Asiago ed Arsiero
partendo da Piovene. Anche questi tragitti, tuttavia, erano lasciti
relativamente recenti, databili al grande sviluppo della viabilità
iniziata dopo l’Unità d’Italia con la costruzione del Piovan, della Costa del
Vento, della Strada del Costo, della SS.350, della galleria della Birreria
Zanella, ecc. e ampliata a dismisura dalle opere legate dalla Grande Guerra. Tornando indietro di neanche un paio di
secoli, troveremmo invece vie di comunicazione sostanzialmente ferme al medioevo e
incentrate quasi esclusivamente sul traffico pedonale e someggiato.
Di strade
carreggiabili da noi c’era ancora poco, soprattutto perché i dislivelli da superare
richiedevano tecniche costruttive, investimenti e costanza di manutenzione troppo onerose per le nostre comunità. Già la tradizione dei cavalari nostrani ricordava che per salire la vecchia Pontàra de Méa con i barossi di legname, bisognava affiancare
al tiro altri quadrupedi da noleggiare in loco alla bisogna; ed eravamo già agli
albori del secolo breve. Dove invece passava
l’uomo a piedi, o con strascichi, potevano passare anche asini e
muli con la loro soma (i cavalli non erano costituzionalmente adatti al trasporto in montagna), senza richiedere le opere di consolidamento e
livellamento necessarie per assicurare il transito dei carriaggi. Le grandi
quantità di legname delle nostre montagne venivano divallate per gravità lungo le
menaòre e poi fluitate in
primavera sull’Astico, mentre nei
boschi si operava a strascico. Anche i barossi,
alla fine, sono un’applicazione piuttosto recente. Vediamo quindi come il
trasporto a ruota, dalle parti nostre, fu scarsamente utilizzato per molti secoli per ovvi limiti legati alla morfologia del territorio. Il non
dover tenere in gran conto la regolarità della pendenza, caratteristica
necessaria delle rotabili, faceva privilegiare i tratti corti piuttosto che
quelli comodi, risparmiando così in opere e territorio. L’abitudine a muoversi
a piedi era connaturata alla vita, non un’eccezionalità come lo è diventata per molti di noi. Le tante opere di collegamento costruite durante la Grande Guerra
sulle nostre montagne, ci hanno lasciato l’abitudine a percorrere ex-strade militari progettate per carriaggi, transiti di artiglierie e salmerie e con confortevoli
pendenze rapportate a questi bisogni, ma le esigenze dei nostri avi erano ben
diverse; basta uscire dalla fascia del fronte per rendersi conto delle differenze.
A parte queste riflessioni, è certamente apprezzabile il ripristino e la riqualificazione dei vecchi tracciati esistenti
in valle e particolarmente il concatenamento fra percorso ciclopedonale del Sentiero Alto di Cogollo e quello dei Torrioni di Pedescala, e … magari in
futuro: l’Anzin. Era infatti
grossomodo questa la traccia dell’antica Via
di Germania che fu per un millennio l’arteria viaria della valle dell'Astico. Percorrere
queste vie ora, non solo è piacevole e
appagante dal punto di vista sportivo e naturalistico, ma rappresenta un’autentica lezione
di storia del nostro territorio e fa comprendere la ragione di insediamenti e
strutture altrimenti incomprensibili. Contra’ di Cogollo come Casale e Piangrande, per
esempio, che oggi sembrano località marginali frutto di irrazionali scelte
abitative, erano in passato trafficate stazioni di passaggio e punti di sosta e abbeveraggio. La stessa Caltrano, che con
il suo centro storico affossato sull’Astico sembra un relitto d’altri tempi,
testimonia la sua ragion d’essere proprio nel presidio strategico del vecchio i
ponte sul torrente. Non stupisce quindi che proprio Caltrano, che nel medioevo era testa di ponte di un esteso sistema di fortificazioni che controllava la media valle dell’Astico,
fosse già corte longobarda, matrice ecclesiastica delle chiese a monte e importante presidio viario. L’altro varco sull’Astico, il ponte Pilo che conduceva a Rocchette, rimaneva una passerella di legno fino al 1813 e richiedeva un più scomodo saliscendi
per la pendenza degli argini. Era Caltrano dunque, la vera porta della Valle
dell’Astico e dell'Altopiano occidentale e il suo passaggio obbligato per recarsi a Thiene.
Iniziamo dunque idealmente la nostra passeggiata dal vecchio
ponte di Caltrano, saliamo alla piazza dove s’erge la chiesa parrocchiale dell’Assunta
dallo svettante campanile. Percorriamo la stretta e sinuosa’arteria principale, costeggiando fontane incassate, ex-caseifici e capitelli per raggiungere
il cimitero, presidiato dalla chiesa longobarda di San Giorgio, dove
incrociamo la strada del Costo che porta
in Altopiano, ma anche il ripido sentiero che sale al Paù. C’incamminiamo verso
Mosson, dalla cui piazza si diparte a sinistra la vecchia strada che porta a
Rocchette attraverso il Ponte Pilo e a destra il nuovo e bel percorso del “Sentiero Alto”. È questo un tragitto che
in circa 7 chilometri di comoda e varia passeggiata ci porta fino a Piangrande e
Schiri, le ultime contra' di Cogollo a N/O e di lì al raccordo con la ciclopedonale dei Torrioni. Il tracciato di
snoda sulla parte alta di Cogollo, intersecando i vecchi sentieri che salgono
al Cengio, il tracciato della Vaca Mora e innestandosi nella strada "Romana", passando per l’antica e
dominante chiesa dell’Olmo e lambendo il famoso Prà della Warda. Nella vecchia
canonica nei pressi della pieve dismessa c’è ora il Monastero della Resurrezione, condotto da due
anziane e ospitali suore, che offrono anche possibilità di pernottamento in quel contesto un po' sospeso nel tempo. Un
pellegrinaggio vecchio stampo, se vogliamo, dove ci si può immedesimare - con un po’ di
fantasia - nelle sensazioni di un viaggiatore che qualche secolo addietro risaliva
la valle attraversando tutti i paesi, le loro frazioni e contra’, riscoprendo
vecchie architetture, fresche sorgenti, corti nascoste, capitelli votivi e
suggestivi scorci urbanistici e paesaggistici. Da
Cogollo ci si avvia poi verso Casale, dove si dipartono i sentieri più impervi
che salgono al Cengio per la Val Cengiotta o quella di Silà via eremo di
San Zeno. Si scopre quanto la posizione di questa frazione fosse un tempo assai più funzionale di adesso, come pure la successiva Piangrande, dove
termina il Sentiero Alto. Da lì, con un raccordo più impervio, si può scendere
a contra’ Schiri e quindi immettersi nella ciclopedonale della
Prìa-Torrioni-Valdastico. In quest’area la viabilità antica è stata infatti interrotta
e devastata dalla cava, ma prima sarà senz’altro esistito un raccordo in
costa che immetteva direttamente nella valle dell’Astico senza soluzione di continuità. Contrà Schiri
presidiava l’altro punto di attraversamento del torrente, che proprio
qui s’univa al Posina, mentre più a monte troviamo il ponte di Pedescala, che
Rotzo pare tenesse da tempo immemorabile sull’Astico. Erano dunque i ponti le infrastrutture viarie strategiche
in tempi in cui i torrenti erano ancora impetuosi e ricchi d’acque e
costruire e mantenere un ponte, con le ricorrenti devastanti brentane, un impegno assai gravoso per le comunità e perciò erano rari.
Lungo questo itinerario salterà
all’occhio dei più sensibili come i paesi siano stati
violentati, snaturati e svuotati dalla sciagurato sviluppo edilizio degli
ultimi decenni. Non sfuggirà però neppure la bellezza e l’armoniosità di alcuni
lodevoli interventi di ristrutturazione edilizia rispettosi dell’architettura
storica e del buon gusto. Purtroppo servirà a poco riflettere di ciò che si
sarebbe potuto fare e non s'è fatto. Invece di costruire a nuovo e senza
bellezza né visione urbanistica in periferia, abbandonando i centri storici al'abbandono ed al degrado, si poteva recuperare l’esistente più pregevole con regole e interventi adeguati e flessibili. Si sarebbe così consumato
meno territorio, conservato il paesaggio e rispettato la nostra storia e la nostra anima. Ma per queste
riflessioni basta salire sulla Joa e guardar
giù. Ogni paese ha la sua pena e ogni comunità le sue colpe.
leggendo mo pare di fare un viaggio nel tempo e nella giovinezza , quanti luoghi dimenticati ricchi di storia, e dimenticati per far posto al usa e getta .Mi piacerebbe partire da Pedescala e fare una visita al forte Corbin , ma gli acciacchi mi ridono.GRAZIE PER LA PASSIONE per la condivisione.
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