martedì 19 maggio 2020

Vecchie strade e nuovi usi

Gianni Spagnolo © 200515
Negli ultimi tempi s'assiste ad un fiorire d’iniziative volte alla riscoperta ed al ripristino di percorsi alternativi al traffico veicolare. Ciò per assecondare la crescente richiesta di una viabilità specifica dedicata a pedoni, biciclette e runner. Alcuni di questi ripercorrono in parte antichi tracciati soppiantati dalla moderna rete viaria basata sull’automobile, regina incontrastata della nostra epoca. L’abitudine ad usare l’auto per ogni necessità di spostamento, ha infatti ormai condizionato il nostro rapporto con il territorio e anche con il nostro corpo. Sì, perché è solo da un paio di generazioni che l’uomo ha quasi perso l’uso delle gambe per spostarsi, cosa che prima era una ginnastica quotidiana e ineludibile. 
Chi può riandare con la memoria a prima che venissero costruiti il viadotto dei Granatieri e quello di Sant’Agata con i rispettivi raccordi stradali, si ricorderà le sinuosità e i saliscendi che caratterizzavano le strade attraverso Velo o Cogollo. I ponti di Pilo e Caltrano erano infatti passaggi obbligati per attraversare l’Astico. Fino a poco prima, resisteva anche la mitica ferrovia con i due tracciati che collegavano Asiago ed Arsiero partendo da Piovene. Anche questi tragitti, tuttavia, erano lasciti relativamente recenti, databili al grande sviluppo della viabilità iniziata dopo l’Unità d’Italia con la costruzione del Piovan, della Costa del Vento, della Strada del Costo, della SS.350, della galleria della Birreria Zanella, ecc. e ampliata a dismisura dalle opere legate dalla Grande Guerra. Tornando indietro di neanche un paio di secoli, troveremmo invece vie di comunicazione sostanzialmente ferme al medioevo e incentrate quasi esclusivamente sul traffico pedonale e someggiato. 
Di strade carreggiabili da noi c’era ancora poco, soprattutto perché i dislivelli da superare richiedevano tecniche costruttive, investimenti e costanza di manutenzione troppo onerose per le nostre comunità. Già la tradizione dei cavalari nostrani ricordava che per salire la vecchia Pontàra de Méa con i barossi di legname, bisognava affiancare al tiro altri quadrupedi da noleggiare in loco alla bisogna; ed eravamo già agli albori del secolo breve. Dove invece passava l’uomo a piedi, o con strascichi, potevano passare anche asini e muli con la loro soma (i cavalli non erano costituzionalmente adatti al trasporto in montagna), senza richiedere le opere di consolidamento e livellamento necessarie per assicurare il transito dei carriaggi. Le grandi quantità di legname delle nostre montagne venivano divallate per gravità lungo le menaòre e poi fluitate in primavera sull’Astico, mentre nei boschi si operava a strascico. Anche i barossi, alla fine, sono un’applicazione piuttosto recente. Vediamo quindi come il trasporto a ruota, dalle parti nostre, fu scarsamente utilizzato per molti secoli per ovvi limiti legati alla morfologia del territorio. Il non dover tenere in gran conto la regolarità della pendenza, caratteristica necessaria delle rotabili, faceva privilegiare i tratti corti piuttosto che quelli comodi, risparmiando così in opere e territorio. L’abitudine a muoversi a piedi era connaturata alla vita, non un’eccezionalità come lo è diventata per molti di noi. Le tante opere di collegamento costruite durante la Grande Guerra sulle nostre montagne, ci hanno lasciato l’abitudine a percorrere ex-strade militari progettate per carriaggi, transiti di artiglierie e salmerie e con confortevoli pendenze rapportate a questi bisogni, ma le esigenze dei nostri avi erano ben diverse; basta uscire dalla fascia del fronte per rendersi conto delle differenze.
A parte queste riflessioni,  è certamente apprezzabile il ripristino e la riqualificazione dei vecchi tracciati esistenti in valle e particolarmente il concatenamento fra percorso ciclopedonale del Sentiero Alto di Cogollo e quello dei Torrioni di Pedescala, e … magari in futuro: l’Anzin. Era infatti grossomodo questa la traccia dell’antica Via di Germania che fu per un millennio l’arteria viaria della valle dell'Astico. Percorrere queste vie  ora, non solo è piacevole e appagante dal punto di vista sportivo e naturalistico, ma rappresenta un’autentica lezione di storia del nostro territorio e fa comprendere la ragione di insediamenti e strutture altrimenti incomprensibili. Contra’ di  Cogollo come Casale e Piangrande, per esempio, che oggi sembrano località marginali frutto di irrazionali scelte abitative, erano in passato trafficate stazioni di passaggio e punti di sosta e abbeveraggio. La stessa Caltrano, che con il suo centro storico affossato sull’Astico sembra un relitto d’altri tempi, testimonia la sua ragion d’essere proprio nel presidio strategico del vecchio i ponte sul torrente. Non stupisce quindi che proprio Caltrano, che nel medioevo era testa di ponte di un esteso sistema di fortificazioni che controllava la media valle dell’Astico, fosse già corte longobarda, matrice ecclesiastica delle chiese a monte e importante presidio viario. L’altro varco sull’Astico, il ponte Pilo che conduceva a Rocchette, rimaneva una passerella di legno fino al 1813 e richiedeva un più scomodo saliscendi per la pendenza degli argini. Era Caltrano dunque, la vera porta della Valle dell’Astico e dell'Altopiano occidentale e il suo passaggio obbligato per recarsi a Thiene.
Iniziamo dunque idealmente la nostra passeggiata dal vecchio ponte di Caltrano, saliamo alla piazza dove s’erge la chiesa parrocchiale dell’Assunta dallo svettante campanile. Percorriamo la stretta e sinuosa’arteria principale, costeggiando fontane incassate, ex-caseifici e capitelli per raggiungere il cimitero, presidiato dalla chiesa longobarda di San Giorgio, dove incrociamo  la strada del Costo che porta in Altopiano, ma anche il ripido sentiero che sale al Paù. C’incamminiamo verso Mosson, dalla cui piazza si diparte a sinistra la vecchia strada che porta a Rocchette attraverso il Ponte Pilo e a destra il nuovo e bel percorso del “Sentiero Alto”. È questo un tragitto che in circa 7 chilometri di comoda e varia passeggiata ci porta fino a Piangrande e Schiri, le ultime contra' di Cogollo a N/O e di lì al raccordo con la ciclopedonale dei Torrioni. Il tracciato di snoda sulla parte alta di Cogollo, intersecando i vecchi sentieri che salgono al Cengio, il tracciato della Vaca Mora e innestandosi nella strada "Romana",  passando per l’antica e dominante chiesa dell’Olmo e lambendo il famoso Prà della Warda. Nella vecchia canonica nei pressi della pieve dismessa c’è ora il Monastero della Resurrezione, condotto da due anziane e ospitali suore, che offrono anche possibilità di pernottamento in quel contesto un po' sospeso nel tempo. Un pellegrinaggio vecchio stampo, se vogliamo, dove ci si può immedesimare - con un po’ di fantasia - nelle sensazioni di un viaggiatore che qualche secolo addietro risaliva la valle attraversando tutti i paesi, le loro frazioni e contra’, riscoprendo vecchie architetture, fresche sorgenti, corti nascoste, capitelli votivi e suggestivi scorci urbanistici e paesaggistici.  Da Cogollo ci si avvia poi verso Casale, dove si dipartono i sentieri più impervi che salgono al Cengio per la Val Cengiotta o quella di Silà via eremo di San Zeno. Si scopre quanto la posizione di questa frazione fosse un tempo assai più funzionale di adesso, come pure la successiva Piangrande, dove termina il Sentiero Alto. Da lì, con un raccordo più impervio, si può scendere a contra’ Schiri e quindi immettersi nella ciclopedonale della Prìa-Torrioni-Valdastico. In quest’area la viabilità antica è stata infatti interrotta e devastata dalla cava, ma prima sarà senz’altro esistito un raccordo in costa che immetteva direttamente nella valle dell’Astico senza soluzione di continuità. Contrà Schiri presidiava l’altro punto di attraversamento del torrente, che proprio qui s’univa al Posina, mentre più a monte troviamo il ponte di Pedescala, che Rotzo pare tenesse da tempo immemorabile sull’Astico. Erano dunque i ponti le infrastrutture viarie strategiche in tempi in cui i torrenti erano ancora impetuosi e ricchi d’acque e costruire e mantenere un ponte, con le ricorrenti devastanti brentane, un impegno assai gravoso per le comunità e perciò erano rari.
Lungo questo itinerario salterà all’occhio dei più sensibili come i paesi siano stati violentati, snaturati e svuotati dalla sciagurato sviluppo edilizio degli ultimi decenni. Non sfuggirà però neppure la bellezza e l’armoniosità di alcuni lodevoli interventi di ristrutturazione edilizia rispettosi dell’architettura storica e del buon gusto. Purtroppo servirà a poco riflettere di ciò che si sarebbe potuto fare e non s'è fatto. Invece di costruire a nuovo e senza bellezza né visione urbanistica in periferia, abbandonando i centri storici al'abbandono ed al degrado, si poteva recuperare l’esistente più pregevole con regole e interventi adeguati e flessibili. Si sarebbe così consumato meno territorio, conservato il paesaggio e rispettato la nostra storia e la nostra anima. Ma per queste riflessioni basta salire sulla Joa e guardar giù. Ogni paese ha la sua pena e ogni comunità le sue colpe.

1 commento:

  1. leggendo mo pare di fare un viaggio nel tempo e nella giovinezza , quanti luoghi dimenticati ricchi di storia, e dimenticati per far posto al usa e getta .Mi piacerebbe partire da Pedescala e fare una visita al forte Corbin , ma gli acciacchi mi ridono.GRAZIE PER LA PASSIONE per la condivisione.

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