mercoledì 27 maggio 2020

Ruderi



Gianni Spagnolo © 200522
In pochi riconosceranno questi ruderi e fra questi ancor meno avvertiranno un po' di struggimento dell’anima. La nostra era una civiltà modesta e nascosta, non aveva la Valle dei Templi, né il Colosseo, né marmi perenni, né cemento pozzolanico. Sassi, calce e legno erano tolti alla terra con fatica e ad essa ritornavano in poco tempo quando non servivano più. Senza lasciar tracce imperiture. L’arte poi, poteva manifestarsi solo nel lavoro quotidiano, perché l'autarchica economia di sussistenza le impediva di librarsi verso le alte vette dell’inutile.
Su questi ruderi non sono passati i secoli, forse uno o poco più, ma testimoniano un salto epocale. Era solo un bàito, un gran bel bàito! Costruito alle porte del Canpéto, l’unico pianoro della Val del Creàro, sulla Strada dei Salti, sulla via di Tinasso. La strada delle Jóe, l’accesso più diretto alla montagna per quelli della Piassa. Negli anni verdi era il nostro regno, come lo fu di tutti i ragazzi della Piazza nei loro. Lassù c’erano gli orti di casa, ben esposti al sole, curati con dedizione maniacale da coloro i cui anni erano già bianchi. Più in su c’erano boschetti con cornolàri, noxelari, jégani e òrni per ogni bisogno bellico e di caccia; per archi, frecce, fionde e bachetùni. C’erano gnàri, uséi, còrnole, fròle, marinéle, noxéle, ùa, fighi, posti da far bàiti e ogni attrazione per la rustica bociarìa di allora. Il bàito del Canpèto, però, era forse il più bello della Valle; era di sasso e tavole, a due piani, con al superiore una bassa stanzetta e con porte chiuse da serrature di legno dall’elaborato meccanismo a naéja. Era il bàito di Isàco, falegname che aveva bottega sotto al porteghéto della prima casa dell'Aréta. Aveva applicato la sua arte alla costruzione del bàito e la sua senile cura alla coltivazione del Canpéto: il suo orgoglio! Lo stesso che faceva mio nonno Nane sulle vanéde giusto lì sotto; e così tutti gli anziani nei loro appezzamenti.
Non era per niente pacifica la coabitazione sul territorio: veci e  boce avevano obiettivi conflittuali e la competizione era sempre aperta e spesso accesa, perché era proibito tutto: dal xoncàr na rama al scavessàr on buto, dal pestare l’erba al tor dó on figo…. La lista dei divieti era infinita! Rimaneva infinita nonostante stessero cambiando i tempi e non fosse più necessario sparagnare su tuto, rancurare tuto, dissipare gnente. I veci applicavano ancora quel rigore che aveva accompagnato tutta la loro vita, dove ogni risorsa, anche la più minuta ed insignificante doveva essere protetta e valorizzata al meglio.
Mi torna in mente, chissà perché, il passo d'un sonetto del Foscolo: "Questo di tanta speme oggi mi resta". E anche "Straniere genti, almen.." No, .. le straniere genti lasciamole stare! Quelli che passano qui accanto per salire alle ferrate non potranno mai capire. Questa è roba nostra, appartiene alla nostra anima e morirà con noi.


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8 commenti:

  1. Ma xelo giusto scrivare Aréta?
    Mì gò sempre capìo "la Rèta!" ☺

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    1. Sans l'ombre d'un doute...Et cependant "L'ignorant affirme, le savant doute, le sage réfléchit"
      L'ignorante afferma, il saggio dubita, il sapiente riflette.

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  2. Caro Gianni hai dimenticato la rappresentazione avvenuta al Campeto di Tarzan.Vuol dire che non eri ancora presente a queste avventure.Indimenticabile!!!!!!

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    1. Eh no!! Qua bisogna raccontare! Storia memorabile!

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    2. Eh no Guido non me la ricordo proprio. Sarà perché nei miei anni verdi voi eravate già duri da grattare ;-))
      Vanti, lora, còntene de sto Tarzan!

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  3. El Campeto D'Inverno o inizio Primavera nella vasca dell'acqua si trovava il ghiaccio e ci divertivamo a usarlo per slitta. Una visita al campetto era obbligatoria quando si andava su per il monte a giocare con gli alberi a fare l'altalena, a fare il "Baito" a caccia di "Montagnole" a Scalare i "Muraioni" ad andare sulla scafa delle Anguane ( senza nessuna ferrata) andare su alla terza "Gioa" e la nascosti ci sono ancora (bastoni incisi con i nomi dei partecipanti alla scampagnata e la data) ma (magari sono andati perduti con lo stravolgimento del cucuzzolo della Gioa ma io ho delle foto fatte circa nel 1970) ricordi lasciti in quegli anni, al "Sasso della Morte" e tanti altri giochi e giri. Per noi che trovavamo chiusa la casetta era una sfida trovare il meccanismo per aprirla e poi ogni volta veniva cambiato il meccanismo di chiusura da Nicolussi nome con cui era chiamato il Campetto di… Tanti ricordi di gioventù Francesco Lorenzi

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  4. Puoi scrivere come preferisci, basta capirsi. In paese c’erano due ARE, cioè aie, corti selciate comuni fra le case. Quella più grande era detta l’Ara (Andó véu? A nemo dó in l’ara) e oggi è lo Slargo Sette Comuni, giù per Via Carlo Alberto ed era sostanzialmente la corte del Lorenzi. Una più piccola si trovava in Via S. Barbara, si chiamava appunto l’Aréta ed era praticamente la corte degli Spagnolo. Quando s’è perso il significato del termine “ara”, anche i nomi hanno cominciato a deformarsi diventando Ailara o Inlara e Lareta.

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    1. Grazie mille per la spiegazione! La apprezzo molto!
      Ignoravo del tutto l'origine e i significati dei nomi Aréta e Inlara/Ailara...
      Già, le storie e le memorie si perdono o si confondono facilmente nei passaggi fra le generazioni...
      Questo blog e interventi come il suo qui sopra sono davvero preziosi -

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