C'era un sole forte quando un trattore azzurro
iniziò, con voce roca ad urlare, nel suo rotacismo che veniva dal
fondo della vallata. In tanti tra gli abitanti alzarono lo sguardo
verso il sole, in mezzo a poche nuvole, sentirono quel rintocco senza
tempo e per tutti iniziava il nuovo momento della vita. Gli anziani
sapevano che per tutto il pomeriggio quel suono avrebbe accompagnato
la vita del piccolo paese adagiato sui monti, protetto dalle stelle e
difeso dalla rocca antica che sempre meno in questi giorni sembrava
voler lasciare andar via la luce del sole. Ed i campi, piano piano,
in un lavoro lento e preciso, da verde scuro con macchie rosse e
bianche di fiori che resistevano al caldo di fuoco, sarebbero
diventati quasi gialli, in una serie di onde interminabili che si
perdevano al confine con il bosco. E man mano che il trattore
avanzava e lasciava sdraiati i fili d'erba in un suono di soffio e
fruscio che a nessun altro era simile, saliva l'odore al cielo, di
menta, di erba cipollina, di salvia, di borragine, di cicoria e
papaveri, di ogni famiglia di piante e fiori e più la sera avanzava
e poi quel profumo cresceva, intenso. Restava nelle case, nei cortili
con le peonie e con i nidi delle rondini, restava sotto il pergolato
di glicine e negli orti rimessi a nuovo. Fu
festa nel borgo quel lungo pomeriggio diverso da tutti gli altri. Era
un tripudio di rondini che scendevano dal celeste del cielo per
planare sull'erba tagliata, tuffarsi su quel fieno odoroso che
avrebbe inzuppato di profumo il borgo e la valle per molte sere
luminose. Era la sera della luna sfumata tra le nuvole umide, era la
notte delle serenate d'amore dei gatti nei cortili macchiati di
boccioli di rose, era la notte dei desideri lasciati alle stelle, la
notte delle musiche lontane e dei campanelli dei cavalli che
dormivano sotto il cielo circondati dalle campanule e dal mughetto.
Era la sera dei grilli che gridavano più del solito, in mezzo al
tarassaco reciso e delle lucciole in silenzio ed ancora al buio si
preparavano per danzare rendendo magico il luogo dove in inverno
qualcuno si diede gli ultimi baci. Era la notte in cui, sul grande
ciliegio, gli uccelli notturni facevano addormentare con una nenia il
piccolo borgo in pietra e lo risvegliavano di soprassalto prima
dell'alba con gli acuti che risuonavano nella vallata, prima che il
gallo svegliasse i contadini nell'alba bianca e azzurra. Era la sera
chiara e odorosa, in cui due ragazzi che si erano tanti amati fecero
l'amore per la prima volta ed era la notte delle candele poste alla
finestra che illuminavano le vie strette con i balconi pieni di
fiori. Era la sera in cui il vento all'improvviso soffiava forte,
lasciava che gli scuri sbattessero di netto, quasi a voler spostare
le montagne e portava via i pensieri, i cuori, i desideri. Era
iniziata una nuova stagione nel piccolo borgo che viveva da sempre
sotto il sole, una stagione diversa, ma uguale alle altre delle
generazioni passate, per le quali l'estate racchiudeva i mesi
dell'attesa, della magia, delle lucciole e dei papaveri, delle
farfalle e delle fragole, dei falò sotto le stelle, del cerchio della
vita che si apre e che si chiude, i mesi del lavoro faticoso, dei
baci ritrovati e dati di nuovo, ma con un nuovo sapore, del grano e
degli acquazzoni per far nascere l'arcobaleno, i mesi dell'amore
senza tempo e del perdono. I mesi delle stelle cadenti in mezzo al
cielo concavo, i mesi delle corse senza fine in mezzo ai girasoli,
dell'acqua di San Giovanni e delle lunghe processioni. I mesi in cui
il desiderio lasciato nei rami freddi dell'inverno veniva fuori con
forza insieme alle foglie nuove e con il vento diventava giorno e
notte e vita.
L'odore del fieno di giugno
L'odore del fieno di giugno
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