sabato 2 maggio 2020

Gente di confine


Gianni Spagnolo © 200425
A parte la tragica parentesi del profugato e della Grande Guerra, non è che della popolazione dell’Alta Val d’Astico come gente di confine si sia scritto granché. Il profugato è stato inoltre elaborato solo dalla parte imperiale, trasformandolo quasi in epopea, mentre venne pressoché rimosso da quella italica inebriata dalla vittoria. È bene perciò riflettere sul fatto che la nostra gente ha vissuto lungo tutta la sua storia una situazione molto singolare di terra di frontiera. In questa valle si sono infatti incontrati e alternati i confini di diocesi, di stati sovrani, di singolari federazioni autonome, di lingue, dialetti e pronunce. I confini dei vicini seguivano grossomodo il displuvio dei monti e la separazione era netta e distante, con gli abitati attestati sugli opposti bacini idrografici. Da noi invece no: essi erano per traverso, per lungo, per sopra e per sotto e diversamente da ogni altra zona, tagliavano e intersecavano le comunità umane; non solo rocce, boschi, o tracce di animali.  Proprio questa sua peculiare situazione, induce a ragionare sull’incidenza che ha avuto il “confine” nelle abitudini e nella mentalità della nostra gente. Quello che ci è consentito è solo un’elaborazione indiziaria, ma penso valga la pena provarci, pur con tutti i limiti derivanti dalla carenza di supporti documentali.
I primi confini ad interessare la nostra terra, già più di mille anni fa, furono quelli delle diocesi. Ben quattro curie vescovili avevano infatti giurisdizione sulla Valle: Padova, Vicenza, Feltre e Trento.  Le prime due separate dal corso dell’Astico, rispettivamente sulla sinistra e sulla destra orografica, mentre sulla sua testata, a Feltre era soggetto allora il territorio di Lavarone e a Trento quello di Folgaria. In seguito a quest'ultima furono annesse anche le parrocchie soggette alla Corona d’Austria. Nemmeno la netta demarcazione fra Padova e Vicenza, segnata dal corso dell’Astico, resistette ai secoli e alla  natura bizzosa del torrente, che in epoca indefinita (forse nel 1378) creò l’enclave vicentina di Forme-Settecà. Nondimeno Vicenza, assestata con i Lastarolli sul Cherle, dovette infine cedere quelle montagne. Sopra contra' Carotte, lungo l'antica Via dell'Anzin, i massi detti “Sassi Donati” testimoniano il vecchio punto di confluenza fra le diocesi di Trento, Feltre e Padova. Più in alto invece, l’antro carsico del “Còvelo di Rio Malo” presidiava a mano armata il varco daziario medievale.
Il senso comune farebbe pensare che, aderendo tutti gli abitanti di queste terre alla dottrina di Santa Romana Chiesa, la divisione delle diocesi non avesse avuto poi gran rilevanza. Invece non è così, perché per secoli i vescovi godettero anche di ampia giurisdizione temporale, che esercitavano attraverso feudatari e vassalli e perciò condizionarono le appartenenze civili, religiose, culturali e sociali lungo tutto il secondo millennio. Fu poi nel 1535, a seguito della Sentenza Tridentina, che si delinearono nettamente le appartenenze statali. Allora i contestati termini posti sulla Torra e sull’Astico, fra i possedimenti della Magnifica Corte di Caldonazzo e della Serenissima, divennero il confine ufficiale fra l’Impero d’Austria e la Repubblica di Venezia e tali rimasero, pur con alterne vicende politiche, fino al 1918. Poi c’erano i confini dei feudi, delle parrocchie e dei comuni a complicare il quadro e ad infervorare gli abitanti e i giurisdicenti impegnandoli in lotte acerrime e secolari. Ecco quindi che troviamo: I signori di Velo verso quelli di Beseno e quindi Lastarolli verso Folgaraiti al Télder, in una contesa durata ben 800 anni; Brancafora verso Luserna, dalle vicissitudini meno cruente e  protratte, ma comunque periodicamente animata;  San Pietro e Rotzo in un andirivieni di abbracci e ripudi, conditi da estenuanti battaglie legali e fraterne legnate, protrattosi anch’esso per quasi 8 secoli. A ciò s’aggiungono i privilegi dei Sette Comuni, che non valevano sulla sponda opposta delle valli, le diatribe di Tonezza con Forni per il diritto di capoluogo e col barone di Beseno, che non perdeva occasione di insidiarne le montagne. Tacendo delle contese più moderne, delle alchimie e dei referendum per dividere, aggregare, spostare o ripristinare confini, antichi privilegi o appartenenze. Nel contempo si modificava anche la parlata, che s'è gradualmente romanizzata frazionandosi e differenziandosi nei secoli sotto la manovra a tenaglia dei dialetti vicentino e trentino e acquisendo sonorità e accenti peculiari che arrivavano ad individuare da essa addirittura la contra’ di provenienza. Sembrerebbe proprio il terreno ideale per allevare un popolo di barufànti  patologici, geneticamente inclini alla contrapposizione e assai poco al compromesso e alla collaborazione.
Ciò era dovuto al contrasto di interessi legati allo sfruttamento delle scarse risorse disponibili per la sopravvivenza in questa valle sassosa e dirupata. Quanto ai rapporti umani, fra la gente delle diverse comunità doveva andare necessariamente meglio, scorrendo, per così dire, su un piano parallelo e più sereno. Non poteva infatti essere altrimenti per una popolazione confinata in un ambito ristretto e con ridotti scambi umani con l’esterno fino all’epoca moderna. All’inizio del 1500 in tutta la zona ci saranno state  all’incirca duecento persone in età riproduttiva, includendo nel conto anche i cigli dei prospicenti altopiani (Luserna, Rotzo e Tonezza) e noi tutti discendiamo da queste, in un intreccio genetico assai articolato e a volte impensato. Gli antichi documenti attestano di matrimoni fra nubendi abitanti da un capo a l’altro della valle, da un ciglio all’altro delle montagne, favoriti anche dalla necessità di contenere entro limiti tollerabili la consanguineità e compensare la falcìdia delle ricorrenti epidemie. I Lastarolli delle Laste Alte andavano a messa a Folgaria o a San Sebastiano, vi ascoltavano l’omelia nella lingua comune e vi si maritavano pure. Quelli delle Laste Basse facevano lo stesso con Brancafora attraversando l’Astico. Presso quella pieve, dalla quale dipendeva, seppellì i suoi morti anche Luserna fino al XVIII secolo. Casotto battezzava i suoi anche a San Pietro, che era più vicino di Brancafora. Per certe incombenze pure i Lusernati trovavano più comodo scendere in valle, piuttosto che andare a Caldonazzo. Gli Stoner sconfinarono di diocesi ai Forni per i servizi religiosi, attraversando anch'essi il torrente, finché non costruirono una propria chiesa. Allora non era la SS.350 a collegare i paesi, ma un reticolo di sentieri il cui criterio prevalente era di essere corti, piuttosto che comodi. Anche se congenitamente barufànte, si trattava pur sempre di un popolo chiuso in sé stesso, dall’economia precaria e fondamentalmente coeso, nonostante tutto. Poi ci si mise anche la lingua a modificarsi gradualmente, senza tuttavia mai scavare fossati; quindi cominciarono a differenziarsi un po’ anche i dialetti subentranti. Da ultimo arrivarono le rivendicazioni nazionali a scavare trincee là dove non c’erano mai state; ma questa è storia recente.
In fondo siamo gente di confine e così, alla lunga, i confini ci sono rimasti dentro. Per una singolare nemesi della storia, di confini ben più grandi ne abbiamo dovuto poi varcarne tanti con la diaspora dell’emigrazione. Intanto quelle piccole e molteplici frontiere della nostra terra, che era una delle prime cose che s’insegnavano ai ragazzi, sono state inghiottite dalla montagna. Così va il mondo!
Confini quindi che dividevano le tasche, separavano le monete, alimentavano contrapposizioni epiche, condizionavano certamente i rapporti umani, ma che alla fine proprio in quest’ambito dovevano trovare una qualche composizione. Fradéi cortéi, dunque, fedeli all'adagio che i conflitti più aspri si hanno fra parenti stretti. Alla fine erano parte di un vissuto comune nella comune e quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Non tutti i confini erano uguali però!
Quello fra stati era certamente l’elemento saliente nella geografia politica della valle e fu probabilmente per secoli il principale datore di lavoro. Sì, perché da noi non c’erano i dolci dossi, i pianori in quota o le diffuse sorgenti delle valli vicine, bensì rocce, marogne e montagne erte pressoché dappertutto, con l’acqua solo a fondovalle e il torrente che scorreva dove e come gli pareva meglio. Ecco allora che quella marginalità poté trasformarsi in risorsa col contrabbando, rendendo abitabili posti che diversamente non lo sarebbero stati. Non credo sia un caso che di abitanti stabili in quel di Casotto si cominci a parlare dalla metà del millecinquecento e che delle contra' di San Pietro abbarbicate sulla Torra e sulla Val dei Mori non vi fosse traccia prima di allora, come pure dei masi sparsi di Pedemonte e Lastebasse. L'evento cardine di quel periodo fu proprio l'istituzione formale del confine, mentre prima Venezia debordava anche sulle montagne imperiali fin giù nella Val Lagarina.  
Contrabbandieri, certo! Come poteva essere altrimenti?
Anche se non è documentato, anche se non è mai stato bene dirlo e perciò non c’è strato tramandato, o soltanto forse perché era la norma. Terra di contrabbandieri, ma anche di banditi, nel senso etimologico del termine: in epoche in cui la messa ad bando da un città o da un territorio era regola ordinaria di giustizia. Dove potevano attestarsi questi fuorusciti se non sui limitrofi della loro zona d'origine?  Ecco allora  la tradizione raccontare dei fratelli Munari, scappati da Gallio per chissà quali colpe e rifugiatisi appena oltre i termini dei Sette Comuni in quel di Lastebasse, dove fondarono Montepiano. Non è inverosimile, anche se non provato, che pure altri ceppi familiari insediatisi a Casotto e in altri masi confinari abbiano avuto questa origine. Provati sono invece i misfatti settecenteschi in quel di Thiene di un Rossati dagli  Scàlzeri, detto Gallo, graziato dal ripararsi nella terra avìta, dove peraltro sparavano anche al prete. Nel 1639 un mio avo di Rotzo rimase ucciso a San Pietro nel tentativo di sedare una rissa. Le morti per archibugiate non erano una rarità, specie da quando Venezia concesse alle cernide della Milizia del 7C, (che includeva anche gli uomini di Forni, Tonezza e Lastebasse) di portare le armi in ogni circostanza. Mi torna in mente un più moderno aneddoto familiare riguardo a un mio avo che buttò un gendarme imperiale nella fontana. La Serenissima riconosceva a queste sue remote zone di frontiera ampi privilegi fiscali e aveva certo più interesse a mantenere i confini presidiati da gente fedele, scaltra e pronta alla difesa piuttosto che di stressarli con controlli e burocrazie. Non era dunque la nostra una terra facile, né erano facili quei tempi, perciò anche gli abitanti dovettero essere ben temprati, di scorza dura e dai modi spicci. Non certo gli immaginari e placidi nonnetti del buon tempo andato.

La frontiera con l’Impero d’Asburgo resse fino alla prima guerra mondiale. Fino al 1797 lo fu con la Serenissima, per poi venire per qualche lustro rattoppata da Napoleone e diventare nel 1815 praticamente un confine interno all’Impero. Questo fino al 1866, anno in cui il Veneto fu annesso al Regno d’Italia e la frontiera tornò dividere formalmente due stati concorrenti, che si guardavano in cagnesco sull’onda delle rivendicazioni risorgimentali. Penso che quel periodo in cui la valle visse in pratica orfana del confine e dei suoi traffici non sia stato molto felice per i suoi abitanti. Non è inverosimile infatti che la rinascita civile e demografica avvenuta nella seconda metà del milleottocento sia da ascriversi al ristabilimento del confine e alla ripresa delle attività transfrontaliere. Leggiamo sul Messaggiere Tirolese del 1837 che le strade e le vie che conducevano al casello daziario di Casotto, esclusa quella principale, erano da considerarsi tutte percorsi da contrabbandieri. Fortuna che allora eravamo sotto la stessa Corona! Probabilmente rimaneva un residuale regime fiscale differenziato anche fra zone dello stesso impero.
Ma cosa si contrabbandava? Dipendeva ovviamente dalle epoche e dalle situazioni contingenti, ma principalmente: granaglie, vino, sali e tabacco, ma anche zucchero, animali e altri generi soggetti a privative o embargo fra i due stati, specie in occasione delle ricorrenti epidemie e relative serrate. Caso strano era quello del sale, oggi bene economico e di larga disponibilità ma un tempo raro e prezioso in quanto usato per conservare i cibi e per integrare l’alimentazione del bestiame. Strano perché veniva contrabbandato dal montuoso Tirolo alla marinara Venezia, essendo più conveniente la salgemma del Salisburghese del sale veneto, che Venezia pur usava per zavorrare le navi di ritorno dal Levante. Il divieto di produzione di tabacco nello stato veneto ne incentivò il contrabbando dal Tirolo, dove anche lo zucchero era più economico. Cereali, vino e grappa erano più disponibili nella pianura vicentina e perciò prendevano la via del Nord, e così via. Penso che i mulini strategicamente posizionati sull’Astico a Casotto e Scalzeri ne potrebbero raccontare delle belle al riguardo. Anche San Pietro, nel 1617, volle infine dotarsi d'un proprio mulino consortile. Piccoli traffici, s'intende, niente di che; diffusi e connaturati all’economia locale, ma che giustificano insediamenti abbarbicati alla frontiera in luoghi  altrimenti improbabili. A differenza di altre zone, da noi il confine era sulla porta di casa, specie lungo l’Astico fra Pedemonte e Lastebasse; addirittura fra la casa e la stalla e l’andirivieni delle persone continuo e impossibile da controllare efficacemente. Il contrabbando dovette perciò essere naturale come far erba per i conigli. Sarà per questo che non ha dato origine ad un’epopea, lasciato documenti di repressione o ricordi nella tradizione come avvenuto altrove.

Prima di venir meno però, il confine s'è vendicato e lo fatto da par suo! Se n'è andato con una guerra devastante che ha segnato una lacerante cesura fra passato e presente. Fu così che il mondo di prima passò, ma ricordiamoci che questo è stato.

7 commenti:

  1. Bravo Gianni.E' sempre bello sentire cosa accadeva nel passato.hai mai pensato a riuscire a stabilire in base a cosa vennero tracciati i confini dei vari lotti nelle montagne?

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    1. Grazie Guido. Se intendi i lotti boschivi degli ex usi civici di Rotzo che guardano la valle, ne ho scritto 6 anni fa in un post del 10/11/2013 che puoi trovare con la finestra del "cerca" in alto a dx, oppure a questo link: https://bronsescoverte.blogspot.com/2013/11/el-loto.html

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    2. La tua pubblicazione mi era proprio sfuggita,ora l'ho letta tutta.Avevo provato a chiedere in giro ma non avevo trovato risposte.Ma quello che mi interessava di piu',e sara' difficile saperlo ,era con che criterio erano stati tracciati i confini dei lotti.Ad esempio quello nostro inizia con un tratto a punta molto stretto,altri sono paralleli etc.Vedendo la mappa capiresti meglio.Grazie comunque di tutte le spiegazioni,sei proprio appppassssionato.Complimenti

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    3. Per quel che ne so la parcellizzazione dei lotti è stata fatta da un comitato tenendo conto che il valore di ogni lotto fosse equamente rapportato alle sue caratteristiche fisico produttive, dei confini naturali e della sua accessibilità rispetto al paese, in modo tale che alla gente dei Costa, p.e., fossero assegnati lotti sopra quella contra’ piuttosto che sotto i Castelìti. Ovviamente era più pregiato un lotto piccolo di faggi a fianco della Singéla, piuttosto che uno gigante ma spelacchiato sugli Spiadi. Molti dei confini attuali dei lotti non rispecchiano più quelli originari, dato che son trascorse almeno ormai almeno quattro generazioni e le divisioni all’interno delle famiglie assegnatarie li hanno resi parecchio frastagliati.

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  2. Silvio Eugenio Toldo2 maggio 2020 alle ore 08:04


    " Bravissimo Gianni, una tesi universitaria la tua lezione sui confini e le storie del nostro territorio! Non tutto il male-virus porta solo disgrazie! Scrivere e leggere non è tempo sprecato! La stampiamo in un librettino per le nostre popolazioni presenti e future? Io ci sono e ci saranno degli altri! Con stima, Silvio Eugenio.

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    1. Grazie Genio, ma dubito che interesserebbe alle popolazioni future, forse nemmeno a quelle presenti, più probabile a quelle passate. ;-)

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  3. Gianni, trovo questi tuoi scritti interessanti ma, soprattutto, molto affascinanti e coinvolgenti (per chi si sente "valligiano"). Li leggo con lo spirito di chi trova appagamento nei Romanzi Storici. Una sapiente mistura di documentazione storica, di semiologia ... e di amore per le "popolazioni della Valle". Bravo. (per la mia età, appartengo "... alle popolazioni ...passate". ;-)

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