【Gianni
Spagnolo © 200517】
Del nostro territorio pensiamo di
conoscere tutto: la morfologia, la topografia, gli abitanti, l’economia, la
flora, la fauna ecc. Molti sanno
riconoscere con sicurezza gli animali selvatici di pelo, piuma e squame, come pure le piante; almeno le più significative. Esiste però un vario
mondo di cose che non conosciamo, che anche se le abbiamo viste o le vediamo,
non sappiamo classificarle e non richiamano il nostro interesse. Sono in genere
la gran varietà di fiori, arbusti e specie vegetali minori che non hanno un uso specifico, come pure l’altrettanto multiforme mondo costituito dagli insetti e dai piccoli
animali che pur popolano la nostra terra. Il regno che poi sfugge quasi del
tutto alla nostra classificazione è quello minerale e particolarmente le rocce; proprio quei materiali onnipresenti che ci sostengono e racchiudono; delle rocce non
sappiamo praticamente niente, salvo identificarle genericamente come pietre o
sassi. Riconosciamo forse che sono prevalentemente calcari, certo, perché siamo immersi in questo elemento e
non abbiamo altri riferimenti. Per trovare il granito dobbiamo andare infatti
verso Cima d’Asta e per il porfido fin sui Lagorai, dove emergono queste rocce magmatiche, ma qui da noi è il calcare a
farla da padrone. Qualche reminiscenza scolastica ci rimanda a fondali di calde lagune primordiali dove si sono sedimentati i gusci di molluschi che poi sono
stati compressi e innalzati dalla tettonica terrestre a formare queste montagne
grigie e porose, che non trattengono l’acqua.
Tanto ci basta.
Invece il mondo minerale avrebbe una storia ben
lunga e affascinante da raccontare. Soltanto che è una storia talmente lunga
che sfugge ai nostri canoni temporali e perciò richiede uno sforzo
straordinario d’immaginazione ed interpretazione. Dunque meglio lasciar perdere, è roba da
specialisti. Invece ci viene in soccorso proprio uno
specialista, il prof. Dario Zampieri, geologo dell’Università di Padova, che ha
recentemente pubblicato un libro specifico sulla nostra valle: Una valle nell’Antropocene - L’uomo come
agente geologico nella Val d’Astico) – Cierre Edizioni - 10/2019, presentato lo scorso ottobre presso il teatro di Forni. Un lavoro agile ed interessante che ci offre una panoramica della conformazione della nostra valle,
oltre a farci comprendere quanto sia importante conoscerla ed abitarla consapevoli
degli equilibri geologici che la reggono e la governano. Equilibri che
sono iscritti nelle sue conformazioni rocciose e perciò intelliggibili con un po’ di
sensibilità ed impegno. Non serve invece
grande ingegno per capirne gli effetti quando queste armonie si rompono
causando frane, smottamenti e crolli che sono di dirompente evidenza per tutti; dinamiche queste che caratterizzano da sempre la storia della Val d’Astico. Queste evoluzioni finora sono state guidate dalla
natura, ma l’avvento dell’Antropocene, ovvero l’epoca in cui l’uomo ha
cominciato a incidere significativamente sulla modifica del territorio, carica queste
responsabilità anche sulle nostre spalle.
Ho gradito perciò l’occasione di rimediare un po’ alla
mia abissale ignoranza in materia accompagnando il prof. Zampieri in un sopralluogo
verso le sorgenti dell’Astico, dove le stratificazioni rocciose risaltano particolarmente
e la loro dinamica riesce a creare anche degli effetti scenografici come l'arco a "volto" a livello dell'acqua poco sopra il ponte della Sper. Anche l'uomo ci ha messo del suo scavando una galleria di circa 150m che bypassa l'alveo naturale deviando l'acqua del torrente, che perciò sotto il ponte è in secca. Ignoravo che negli anni cinquanta dello scorso secolo proprio lì si fosse ipotizzata addirittura la costruzione d'una diga. Guardando il suolo, le pareti rocciose e l'orizzonte, si riesce a immaginare la ragione dello strano
percorso dell’Astico, che all’altezza di Buse effettua un’improvvisa virata ad
angolo retto verso Sud, abbandonando il probabile alveo primitivo che lo raccordava
a quello del Centa e al bacino del Brenta. S'intravede la genesi del poderoso promontorio del Cornetto-Becco
di Filadonna, si notano le preoccupanti fratture dei versanti della
valle e tanti indizi e segnali che la terra invia a chi sa coglierli. Si
capisce anche che non tutto è calcare, ma vi sono stratificazioni e intrusioni di rocce di vario
tipo e natura, dalla selce al basalto, dalla marna all'arenaria, nonché noduli di minerali utili all'uomo, come il ferro, che forse in antico fu all'origine dei primi insediamenti. Anche fra i calcari peraltro, c’è un’ampia
varietà che va dal biancone al rosso ammonitico, passando per le vene di marmi dai
colori variegati che hanno dato lavoro alle tante cave degli anni cinquanta e
fatto epoca con la tecnica della “Palladiana”. In ogni caso, che si vada per rocce, per sport o per curiosità, un'escursione verso le sorgenti dell'Astico val sempre la pena di farla, specie con l'incipiente stagione calda che ci farà apprezzare la frescura di questi luoghi e conoscerne la storia attraverso i ruderi delle attività umane che si sono avvicendate nei secoli (Rif. "Sentiero tematico dell'acqua", che parte dalla segheria di Carbonare + proseguimenti verso la Val Orsara e il Plaut).
Scendendo la valle guarderemo poi con maggiore attenzione all'impennato bastione giurassico del Campolongo sullo sfondo e al nostro sottostante piccolo Sojo, tagliato col menaròto, con il suo piede detritico che ora neanche si nota, sommerso com'è dalla vegetazione. Torna viva alla memoria l'abbacinante distesa di marogne che caratterizzava quel pendio ancora quand'ero bambino e aveva prudentemente consigliato i primi abitatori del paese a concentrare le case solo sul promontorio roccioso della chiesa. Fortunatamente ci sono ora le ferrate degli Anelli delle Anguane che ci permettono di mettere il naso direttamente su quelle pareti fessurate e capirne la natura e la precarietà geologica. Ma noi siamo ancora più precari a questo mondo, perciò possiamo concederci magari il lusso di non farci caso. Altre imponenti marogne sono intanto scomparse dal panorama vallivo lasciando un innaturale e seducente pianoro, che permette ai due antichi siti degli ospizi di Brancafora e San Pietro di tornare a rivedersi dopo un migliaio d'anni. Chissà infatti se all'epoca della loro fondazione essi fossero già a vista d'occhio, con le marogne ancora attaccate alla Gioa e l'Astico che vi scorreva placido al piede. Meglio invece non soffermarci sull'aperta oscenità dello sbrego della Cava Molino che risalta nel verde della natura che si stava riprendendo la valle.
Ho l'abitudine di portare a casa una pietra da tutti i paesi del mondo che ho visitato, che va a comporre una sorta di mio speciale giardino zen. Sono souvenir gratuiti, vecchi di milioni di anni, che penso contengano, meglio di altre cianfrusaglie, l'essenza stessa di un territorio. Mi sono ricordato che mancavano proprio quelle della mia terra, per cui ho raccolto dal greto dell'Astico alcuni campioni rappresentativi. Non sono solo calcari, non sono solo sassamìnti.
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