Correva l’anno del Signore sessagesimo
ottavo del vigesimo secolo ed era una fresca mattina di tarda primavera, quando un uomo salì ansimando le scale di casa e scaricò in salotto un ingombrante
scatolone sul quale campeggiava a caratteri cubitali la scritta CGE.
Era arrivata anche da noi la
televisione: l’ammaliante apparecchio che d’allora in poi avrebbe
illuminato le nostre vite di aloni azzurrini e aperto uno squarcio sul mondo.
Non era una novità assoluta, la
tele era già presente in diverse case e campeggiava negli allora numerosi bar e
osterie in posizione dominante ad uso di sportivi e affezionati dei quiz.
Non mi ricordo di aver vissuto
l’evento con particolare ansia; ci stava tutta l’attesa d'un appuntamento
epocale per il nostro piccolo mondo, ma allora non avevo certo necessità di
ulteriori diversivi. Probabilmente mia mamma aveva calcolato l’investimento in
funzione del contenimento del tempo, onestamente esagerato, che allora
trascorrevo fuori casa.
Ci riuscì solo in parte.
L’operazione d’installazione ed avviamento, che il tecnico svolse sotto la mia scrupolosa supervisione, fu un
po’ laboriosa. Innanzitutto si rese necessario salire sul tetto per fissare e
orientare l’antenna e stendere il cavo coassiale, poi fu la volta di montare quel traballante trespolo a
rotelle, in vetro e fintolegno, che sembrava essere un accessorio
imprescindibile del dispositivo. Finalmente l’ingombrante elettrodomestico fu
posizionato sopra quel trabiccolo, fra le due finestre, non prima i aver
allacciato lo stabilizzatore di tensione. Quest’ultimo era un pesante
parallelepipedo di metallo con un interruttore ed una lucina. Si doveva
accendere un po’ prima della televisione ed emetteva un tipico ronzio, a volte
accompagnato da sentori di ozono. Altrettanto complessa fu la sintonizzazione del ricevitore per captare il segnale che proveniva dall'antenna installata nei pressi del Forte Belvedere, che allora non si chiamava ancora Werk Gschwent.
La TV sul piano superiore del
trespolo e lo stabilizzatore su quello inferiore più piccolo, era la
configurazione classica della Televisione, replicata migliaia di volte nelle
case di allora. A cappello del tutto era immancabile il centrino con un
ninnolo. Poi la costanza della rete elettrica migliorò velocemente di suo, ma lo
stabilizzatore non venne eliminato e continuò ad essere pervicacemente venduto per
anni a corredo degli apparecchi televisivi. Io credo che la sua principale
funzione fosse quella di abbassare il baricentro di quell’instabile supporto,
impedendone il rovesciamento; da lì il suo strepitoso ma immeritato successo.
Come dicevo, la televisione in
paese venne installata inizialmente nei bar, da dove cominciò a guadagnarsi
l’apprezzamento dei paesani. Dalle parti nostre mi pare che per primo arrivò Dala Feli, il bar dell' Ara, riuscendo
ad attirare avventori fino ad allora del tutto assenti: le fémene.
Lì, nei primi anni, si radunava il
popolo alle ore topiche mettendosi disciplinatamente in fila sulle sedie di
paglia e con lo sguardo attonito fissato sullo schermo traballante. Così come
avveniva in tutti i paesi d’Italia. All’apparizione dell’aitante presentatore,
le più anziane pare si accomodassero velocemente le cotole sulle ginocchia; non sia mai che quel foresto che parlava
tanto pulito e spigliato riuscisse a intravedere oltre il lecito da quella sua posizione
privilegiata.
Alle cinque e un quarto iniziavano
i programmi con “Arrivano i Vostri”, contenitore d'intrattenimento
vario per ragazzi dei quali m’interessava prevalentemente “I forti di Forte Coraggio”, finito il quale sparivo di nuovo
caricato di nuova sete d’avventura.
Al sabato pomeriggio era la volta
di “Chissà chi lo sa” il quiz per
studenti condotto da Febo Conti e famoso per il suo slogan "Squillino
le trombe, entrino le squadre!” Ma il mio appuntamento preferito era con la
mitica serie di “La Spada di Zorro”.
L’apice dell’attenzione
venne raggiunto nella notte tra il 20 e 1l 21 maggio del 1969, quando il primo
uomo mise piede sulla luna e chiunque poté assistette in mondovisione all’allunaggio dalla telecronaca di Tito Stagno.
Anche
mia nonna Gusta fece in tempo a vedere questo passo cosmico, prima di
lasciarci, l’anno dopo. Era nata nel secolo precedente e di
novità ne aveva già viste albisogno.
Gianni Spagnolo
Sempre belli i suoi racconti complimenti. Mi fan tornare indietro di parecchi anni. Spesso mi trovo a rimpiangere i due canali. Ora ne abbiamo a bizzeffe e non sappiamo quale scegliere e, visto cosa ci offrono, sarebbe auspicabile diminuisse la quantità a favore della qualità che la trovo molto, ma molto discutibile.
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