Come facevano la “LISSIA”
le nostre Mamme e le nostre Nonne…
La “LISSIA” era un rito
che durava due giorni e più
che durava due giorni e più
e si procedeva in questo modo:
A casa, in un “mestèlo” si metteva a bagno il bucato con dell’acqua tiepida per due ore e poi si procedeva al lavaggio col “saòn” sulla tavola di legno inserita nel “mestèlo”; veniva poi strizzato e messo nelle “sèste” e nei “seciùni” di legno, che appesi al “bigòlo” venivano portati a spalle alle fontane per il risciacquo.
Il bucato veniva quindi “rinsaonà e struccà”, ma non “re$entà” e lo si riportava a casa dove veniva “mastelà”, cioè adagiato nel “mestèlo” a onde senza “strucàrlo” perché s’infiltrasse per bene l’acqua.Veniva quindi coperto con un telo a maglia fitta detto “bugaròlo” e sopra veniva deposta la “sendre del fogolare”. Piano piano veniva versata l’acqua prelevata dall’enorme “caliera” di rame che nel frattempo all’esterno era stata portata ad ebollizione sul fuoco. Non tutti la possedevano e spesso veniva chiesta in prestito. I lembi del “bugaròlo” venivano chiusi per tenere la “sendre” un po’ più calda.
C’era anche chi scaricava dal “cocòn del mestèlo” i primi litri d’acqua che nel frattempo si era raffreddata, per ottenere un bucato ancor più bollente.
Il tutto veniva lasciato a “repossàre” tutta la notte.
Il giorno successivo si provvedeva a togliere la “sendre” che veniva gettata nelle “posse” o negli orti e si “strucàva” il bucato facendo attenzione alle mani che a contatto con l’acqua càustica bruciavano.
Quindi veniva nuovamente riposto nelle “sèste” e nei “seciùni” per riportarlo alle fontane per il risciacquo finale.
Quindi veniva nuovamente riposto nelle “sèste” e nei “seciùni” per riportarlo alle fontane per il risciacquo finale.
Per “strùcare i nissùi” ci si aiutava a vicenda, sbattendo i panni ci si bagnava involontariamente anche di brutto, c’era la postazione per lavare e quella per risciacquare. Non mancavano certo i battibecchi, ma c’era anche tanta convivialità, allegria.
Spesso si cantava ed il tutto era vissuto come un “filò” all’aperto, condito sicuramente da qualche “sbetegamento de massa”.
Spesso si cantava ed il tutto era vissuto come un “filò” all’aperto, condito sicuramente da qualche “sbetegamento de massa”.
D’inverno questo aspetto assumeva aspetti più duri, a causa degli allora rigidi inverni. Si trovavano delle lastre di ghiaccio da dover sciogliere con dell’acqua calda portata da casa con la “pignatèla”.
Comparivano i fastidiosi “diaolini” alle mani per il contrasto freddo-caldo.
Succedeva pure che già alle fontane e durante il tragitto per casa, il bucato si gelasse e bisognasse anche aspettare per poterlo stendere.
L’asciugatura veniva effettuata all’esterno o nei granai, su corde o fili di ferro o, ci sono delle testimonianze, che d’estate venisse disteso direttamente sui prati.
E per finire…
l’acqua rimasta nel “mestèlo”, detta “lissiasso”, non veniva gettata, bensì utilizzata il giorno dopo per “fregàre col bruschèto” i “solàri” e le scale di legno che diventavano bianchissimi a scàpito delle povere mani. Alcune famiglie lo usavano pure per “broar sù”…
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La testimonianza di questo “spaccato di vita” è stata raccolta da Carla Spagnolo “intervistando” Olimpia Slaviero che l’ha vissuta in prima persona…
I tempi cambiano…per la verità non sempre in meglio…ma dopo aver letto quanto sopra penso che di fronte ad una lavatrice dobbiamo solo umilmente inchinarci e benedirla…sforzandoci però di farne un uso e non un abuso. L’ambiente ci ringrazierà.
Mitica Gina!!!
RispondiEliminaW la lavatrice!!
RispondiEliminaAltro che w la lavatrice. Erano fatiche anche quelle e non da poco. Per noi ora è poesia ma chi l'ha vissuta non credo ritornerebbe a viverla.
RispondiEliminaAppunto, ben detto w la lavatrice!!!!
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