Avrò avuto 12-13 anni non di più, e anche in quegli anni si
poteva andare in vacanza da qualche parte. Bastava solo avere qualche parente
che ti ospitasse e tutto era fatto.
Così, un giorno, partii con una 500 bianca, guidava un
signore di Thiene che abitava poco lontano dal luogo dove dovevo trascorrere
una quindicina di giorni di vacanza in una casa contadina, con tanto di enorme
porticato, una bella stalla con le vacche e un'altra per i maiali i quali in
quel periodo non erano più sottoforma di animali ma bensì di insaccati appesi
alla “stanga” nella cantina. C'erano pure un grandissimo fienile e un solaio
dove veniva messo anche il grano che steso sul pavimento aveva uno spessore di
dieci centimetri circa.
Questi contadini erano parenti della mia famiglia, legati
però a mia nonna.
Avevano una casa contadina meravigliosa, la famiglia era
composta dal nonno e la nonna, dal figlio con sua moglie, che a loro volta
avevano tre figlie e un figlio.
Tutto in quella casa sembrava più grande, spazi enormi fuori
nel cortile dove starnazzavano le anitre, si azzuffavano le galline che subito
venivano zittite e calmate dal gallo padrone del pollaio, ma anche di tutto il
cortile.
Lunghissimi "filari" di viti, di granoturco e
lunghe piantagioni di patate.
Praticamente essendo contadini, coltivavano di tutto. Quello che però mi
sorprese di più la sera che arrivai accompagnato dal signore che guidava la
fiat 500, fu il sapore e il profumo delle fette di salame affumicato che mi
proposero per farmi un panino. Era incredibile, ma ad ogni fetta tagliata si
espandeva per la cucina questo odore misto al profumo di spezie e di aglio. Mi
dissero poi che l’insaccato affumicato non fu per scelta, ma per puro caso.
L’inverno precedente quando uccisero uno dei maiali per insaccarne
la carne, misero i salami ad asciugare in una camera vuota, e per accelerare un
po’ l’asciugatura misero un recipiente
pieno di braci per scaldare l’ambiente, non si accorsero però che in mezzo alle
braci c’era qualche cosa che faceva fumo, fu così che riuscirono ad affumicare
i salami senza volerlo. Però a me quel sapore di affumicato non dispiaceva
affatto, anzi secondo me questa era una nuova tecnica da perfezionare...
In quel periodo d’estate a Thiene in mezzo alla campagna faceva molto, molto caldo, infatti i
pomeriggi si passavano a giocare sotto il grande porticato in mezzo a carri,
carriole, forche, rastrelli, badili, aratri, in compagnia del nitrire del
cavallo, del muggire delle mucche e a tutti quei versi degli animali che
neanche nel pomeriggio si prendevano il tempo per fare la pennichella. Solo
verso sera, all’imbrunire, tutto diventava più
silenzioso, sembrava quasi si dovesse parlare sottovoce per non
disturbare quella quiete, rotta ogni tanto dall’abbaiare del cane.
Prima che si facesse giorno, Sandro, il papà
di mio cugino si alzava con la moglie alle quattro per iniziare la lunga giornata di lavoro col mungere le
mucche e quando noi ci alzavamo
trovavamo il latte freschissimo e ancora un po’ tiepido. Facevamo colazione e
poi subito fuori nel cortile a cercare i ragazzi vicini che arrivavano ad uno
ad uno per organizzare una nuova giornata di giochi.
Tante volte andavamo nel fienile a saltare sul fieno, oppure
nella stanza adiacente dove nel pavimento di legno venivano allargati mucchi di
chicchi di grano fino a spalmarlo per tutta
l’area del pavimento.
Fu lì a Thiene che imparai ad andare in bicicletta, una
piccola bicicletta rossa, con il manubrio da corsa, senza parafanghi . Quanti
giri ho fatto, per quei piccoli sentieri
lungo quella fila interminabile di campi, lungo le stradine sterrate che
collegavano le varie fattorie. Mi piaceva così tanto andare in bicicletta che
qualche volta verso sera la Rina “padrona di casa” doveva venire a cercarmi per
la cena. Sandro, suo marito, era sempre in giro, aveva un grosso camion e
trasportava animali da una fattoria all’altra, il nonno invece accudiva gli animali nella stalla, la
nonna aiutava la Rina in cucina e alla sera si sedeva su una sedia impagliata
sotto la pergola a rammendare quei poveri indumenti che erano consumati dai loro anni.
Passai così quindici
giorni proprio spensierati perché in quella famiglia mi facevano sentire
come a casa mia, tutti mi volevano bene. Alla fine del mio soggiorno, la Rina
mi annunciò che mi avrebbe regalato quella mitica biciclettina da corsa rossa.
Nell’udire ciò sgranai gli occhi, non ebbi subito pronte le parole per
risponderle talmente era forte la mia emozione.
Pensavo già a cosa avrebbero detto i miei amici dopo il mio ritorno ai
Lucca con una bicicletta col manubrio da corsa! Mi sentivo già un re,
una persona importante, al centro del mondo!
Fu così che due giorni dopo, il bel regalo fu caricato sulla
stessa fiat 500 che mi aveva portato lì per farmi fare il viaggio di ritorno
dalle vacanze ormai finite. Salutai tutti quanti ringraziandoli e mi sedetti di
fianco all’autista.
Arrivati a casa, scaricammo bagagli, fagotti borse di nylon
e... la bicicletta. Mia nonna Bepa nel vederla si mise le mani nei capelli,
come segno di “Oh Dio, el toso el va
farse male con la bici” e anche mia mamma rimase un po’ perplessa se lasciarmela oppure confiscarmela
subito.
La bici venne messa in stalla. Ricordo che era dotata anche
di una piccola chiavetta che serviva per l'apertura di quel tipico lucchetto ad
anello delle biciclette. Chiusi il lucchetto tolsi la chiave e andai dentro in
cucina, presi una corda e incominciai a fare dei nodi ogni tanto, finché la sua
lunghezza diventò di circa 15 cm., alla fine ci legai la chiavetta a mo' di
porta chiave. Dopo mangiato, uscii di casa tenendo ben in evidenza la chiave
che avevo legata con lo spago ad una bretella dei pantaloni e mi diressi verso la fontana per poi girare
verso la casa di mia zia Marianna, dove incontrai mia zia Bepina, la quale nel
vedermi e notando la chiavetta che penzolava dalla bretella, con un sorriso
sornione mi disse:
"Ghetu comprà la moto?" Io, tutto rosso in facci,
chinai la testa guardando la chiavetta e dissi:
“Ma no zia, zé la
ciave dela bici che gò portà sù da Thiene!”
Mi sentivo un principe, un fortunato, mi sembrava di essere
proprietario di un’astronave, camminavo sì, ma non toccavo per terra,
praticamente volavo, tanta era la mia felicità ed entrai da mia zia Marianna dove
raccontai tutto orgoglioso della bici. Girai tutta la contrada per fare vedere
a tutti che avevo la bicicletta. Quando venne l’ora di andare a letto, non
riuscivo a prendere sonno, volevo solo che venisse subito giorno per usare quel
meraviglioso regalo. La mattina quando mi alzai, dalla foga di andare a prendere
la bicicletta non volli neanche fare la colazione, tant’è che mia madre dalla
rabbia mi diede una sberla sulla “copa” e sgridandomi mi disse:
"valà se te ghe da nare, ma se te te rabàlti no stà vegnére
a casa parchè a te ciapi un piato de s-ciafe".
Così uscii e andai subito in stalla, nel vederla i miei
occhi si riempirono di luce, si ingrandirono, sentivo che perfino il mio viso
cambiava lineamenti tant’era la felicità nel vedere quella
bicicletta.
Allora le strade non erano asfaltate e quando si cadeva ci
si faceva male, sui graffi e sui tagli restava appiccicata la sabbia che poi
bisognava togliere con il cotone e l’alcool, ed erano veramente dolori. Porto
ancora una bella cicatrice sul ginocchio sinistro di una caduta giù per il salìso, davanti al portico di
Paolo Luchéta. Però quanto mi sono
divertito e quante volte sono arrivato quasi ultimo nelle competizione con gli
altri, ma non c’era verso che io mollassi, bisognava sempre tornare e ritornare a godersi quel meraviglioso giocattolo.
A quei tempi la felicità era più facile da raggiungere,
bastava una cosa semplice come una piccola bici usata e ti sentivi subito un
RE!
Nico Sartori
Eh sì caromomìo, da picoli se vol tuti la bici, ma dopo se se stufa de pedalare.
RispondiEliminaImmagino che quando hai rottamato quella vecchia bici sia stato la fine di un ciclo.
E si caro sponcio finio el ciclo de la bici, xe scumissià quelo de la moto, che no xe mai rivà. Me ga tocà spetare 21 anni "maggiorenne" e qualche scheo da na parte par na vecia macchina. Ma son contento lo stesso cosi
EliminaMammia mia Nico come hai raccontato bene la vita in una cascina di campagna!!!!Sei proprio un Lucchese DOC perchè nella nostra amata Contrà i ragazzi SUPER amavano tutti la bicicletta fino allo sfinimento..........Affettuosamente Floriana
RispondiEliminaGià cara Florianna, cascina bellissima, sono anni che è stata demolita paer far posto a palazzi di miseri appartamenti, tutta la mia campagna dove ho vissuto le vacanze nn è più verde ma nera sparita sotto l'asfalto.
EliminaIo Nico ho strangosciato per una "graziella", ma è arrivata a 20 anni col primo stipendio! Posso immaginare le tue emozioni!
RispondiEliminaBhe questa piccola bicicletta mi era stata regalata, quella nuova di zecca arrivo quando avevo 14 anni, era azzurra comperata dal vecio "catinon" negozio davanti a al bar da Walter, mi ricordo che era azzurra ed è quella che mi ha fatto scontrare con un altro in bici davanti alle scuole elementare vecchie ora ritrovo dei pensionati. Mi sono fatto 40 giorni di ospedale per una botta in testa. Che tempi
EliminaSei sempre bravo e piu' ancora bravissimo nei tuoi racconti. Sono anche un po' racconti emozionanti....Ma infine la bicicletta dove è andata a finire??????????
RispondiEliminaMe lo racconterai la prossima volta??????
La piccola bicicletta mi è durata proprio poco, mi è diventata subito piccola come le braghe per la velocità della mia crescita.
RispondiEliminaCiao MenonCia Porca Ospia