Dovevo avere all’incirca undici anni quando vidi, per la prima volta, un treno vero.
Da in CIMALCAMPO, sù ai BAISE, in certi giorni ed in certe ore si
vedeva una colonna di fumo salire verso il cielo proveniente dalla
Campagna di Arsiero. Le persone anziane dicevano che era il fumo del
camin del treno come si vedeva in certi film americani di guerra tra "indiani e
cowboy".
Il posto più lontano dov'ero
andato prima di quell'età era a Casotto per le sagre estive e per la
MADONNA di Dicembre, a Valpegara per
Santa Barbara, patrona dei minatori, ai Forni per i funerali dei numerosi
parenti, alle Forme da una zia e vari cugini e in primo luogo al SOJO dove in
una osteria si trovavano gli zii e la casa paterna della mamma.
In montagna potevo andare, a condizione di arrivare a casa o con un litro di latte o con un po' di burro o puìna, al minimo con una stanga!...
Il solo divertimento "culturale" che esisteva in paese era il cinema.
I film erano vecchi,
censurati, in bianco e nero e muti:
Ridolini, Charlot, ed i films appunto di "indiani e cowboy” che erano
quelli più apprezzati. Mattìo e suo fratello gemello dalla piazza, vivacizzavano
l’uno con il violino, l’altro con la chitarra, le scene più eclatanti e nelle
scene di battaglie entrava in scena anche Celso con la trombetta...
Niente film con scene d’amore perché anche se gravemente mutilati dalla censura... potevano mettere in subbuglio i giovanotti di una certa età...(don Eugenio dixit).
I vecchi emigranti raccontavano che nelle grandi città, nelle immense sale cinematografiche, durante il lungo intervallo mentre gli uomini andavano al bar a bersi un dissetante, delle splendide ragazze elegantemente e succintamente vestite passavano tra gli spettatori a vendere bombòni, caramelle ed altre leccornie...
Le alte autorità decisero: "Facciamolo anche noi".
Solamente non erano le gentili signorine che
dovevano farlo, ma i mòcoli più anziani ed in più dovevano anche procurarsi
la merce! Fu così che quella
domenica mattina mi trovai assieme a Rino sù in piazza ad Arsiero intento
a fissare, sotto la sella della bicicletta, il pacco di bombòni che
avevamo acquistato in una bottega.
Bisogna
sapere che, in quei tempi di guerra, la bicicletta raramente era “UNA” ma di solito era un insieme di resti
"buoni" di diverse altre bici. L’essenziale era un buon telaio, i
pedali e anche se scorlàvano un poco, non era grave; uguale per le ruote, se erano un po' s-centrà,
bisognava solo stare attenti nel frenare! Era raccomandato aiutarsi con i
piedi. La camera d’aria aveva a volte così tante "pezze" che
non riuscivi più a vedere l’originale.
Senza parlare dei copertoni che a
forza de méterghe tochi de rento e de fora... diventavano doppi! Eppure era proprio con "queste"
biciclette, unico mezzo di trasporto indipendente, che degli uomini anziani, ma
specialmente donne, madri di famiglia, facevano trenta, quaranta e più chilometri
per scendere alle "Basse" in pianura in cerca di qualche chilo di
farina bianca o gialla per la polenta.Tutto di nascosto, di contrabbando. E
quando la fortuna sorrideva loro e ne trovavano un bel po' erano felici di fare
la strada di ritorno a piedi con il sacco
sulla bicicletta... Quante bocche ha sfamato e quante vite ha salvato questo
mezzo di trasporto!
A quell’epoca, dalla piazza di Arsiero e fino giù in Campagna c’era una pontàra così ripida che non aveva nulla da invidiare alla nostra. Naturalmente, strada bianca, con il suo bel giarìn, nel mezzo delle ruàre fatte dai carretti tirati dai cavalli o i mussi come per esempio quello del Piegoràro o quelo dela Checa.
Questi due personaggi tipici venivano una
volta per settimana a fare il loro giro a "Sanpiero", precursori, ma
molto più ecologici dell'odierno sbraitante ed inquinante "Padovàn". Avevano qualche cassetta nel loro carretto con dentro aranse, pomi,
peri, frutta di stagione. Ciò che più ci attirava erano le caròbe. Riuscivamo sempre a rubarne qualcuna... C’era sempre qualche
invidioso che faceva la spia... Il prete non ce le mandava a dire, non vi era perdono per certe azioni, le porte
dell’inferno erano spalancate per noi!
E si era messa anche la maestra Superti, la Napoletana, che aveva il
coraggio di dire che eravamo degli asini tutti noi perché nel suo paese le
carrubbe le davano da mangiare agli asinelli: doveva essere un paese ricco il
suo, pensavamo, per dare una bontà
simile a una bestia! Lei di sicuro doveva essere ricca perché era sempre
vestita come le attrici americane che
vedevamo al cinema.
Rino, fermo in cima la discesa, mi faceva le raccomandazioni: “Sta tento va pian, parchè chì... se te parti
no te sè andòve che te vè a finire!”. "Sì, sì, va tranquilo",
risposi. Anche se in realtà davanti a una discesa simile tranquillo tanto non ero. Lui
partì con la solita sua prudenza. Era più pesante di me, ma lui aveva la bicicletta
da uomo in miglior stato della mia.
Mi lasciai partire ed all'inizio tutto andò bene, ma pian piano i freni sulle
ruote "s-centrate" non si verificarono efficaci e la bicicletta
prese velocità, cercai di frenare con i
piedi ma i sandali nel "giarìn"... addio equilibrio! ...ero quasi
arrivato in fondo, bastò un sassolino più grosso degli altri e spiccai il volo
planato atterrando sull’erba a qualche centimetro dal muretto di cinta in sasso di una casa! Rino, che avevo lasciato indietro, passò giusto tra me e la
bicicletta, si fermò un po' sotto e tornò indietro: Era
bianco come il latte, ma io ero già in piedi a guardare per terra. ”Orco
can, disse, credevo che te
te ghissi copà! Te ghetu fato male? “No, no, gnente, un rassòn su i
denòci e un fià sule man! La bicicleta? Un fià el manubrio... E il
sacchetto dei bomboni? Fu in quell'istante che mi accorsi che non c’era più... sparito... per terra?... niente! In
nessuna parte. Mi ero seduto sul muretto in faccia dov'ero caduto, quando i miei occhi furono attratti da una
forma sul muretto dirimpetto: Il pacco
sporgeva da un buco a qualche centimetro da terra, intatto, il sacco di juta in cui l’avevo avvolto
l’aveva salvato! Avremmo voluto piangere, ma gli uomini non piangono! Rino: "ben, desso sta tento che
desgrassie te ghe ne fato abastansa!” e via verso la stazione, perché questa
volta volevo comunque vedere un treno VERO.
Arrivammo alla stazione che la locomotiva stava facendo il pieno di acqua. La ciminiera sbuffava appena un po' di fumo e un po' di
vapore. Le girai attorno una volta, due volte, come fosse un mostro. Non mi
stancavo mai di guardare tutti i dettagli... Nemo a védare le caròsse, disse Rino. Lo spazzino che ci
lasciò salire, non senza farci pesare che senza biglietto “normalmente” non si poteva! I° classe: che lusso, tutto falso cuoio! II°
classe: così così, III° classe: panche di legno, tutto legno e naturalmente
senza riscaldamento!
Arrivammo a San Pietro, che suonava mezzogiorno.
Finalmente avevo visto il treno!
Lino Bonifaci
Lino sei grande! Un pezzo bellissimo da "amarcord", un filmato, un documentario, un saggio di letteratura. Tutto insomma! Fantastico! Descrizione fresca e briosa di un'avventura da ragazzi. Credo che storie vissute come questa potrebbero essere raccolte in una "antologia" per i nostri alunni della Valle e non solo...
RispondiEliminaIL VENTO DELLA VALLE
Veramente un bello squarcio di vita vissuta Lino, fresco e simpatico. Hai reso bene le emozioni e lo stupore del ragazzo di un tempo, oltre che offerto un illuminante spaccato storico.
RispondiEliminaAl prossimo Ritorno dal Bosco, ti faremo preparare una careghéta in l'Ara andove potrai raccontare storie e firmare autografi intingendo il dito nel cabernet.
Preparati!
Carinissimo Lino questo racconto, li leggo sempre volentieri perchè ci racconti della vita del passato che "in parte" ho vissuto. Per esempio anch'io "uscivo" solo per gli appuntamenti che dici, anch'io mi ricordo dei rabaltoni in bici, oh i me denoci se i podese parlare! Però per il treno ho dovuto attendere di più: 16 anni! e non ti dico l'emozione nel salirci!
RispondiEliminaAdoro il treno, quello di una volta che come mettevi la testa fuori ti sputava una nuvola di fumo in viso.Ho iniziato presto a salirci proprio per arrivare in Valdastico ma allora a Vicenza c'era già la littorina per Arsiero, comunque ancora oggi il treno mi mette una certa allegria e voglia di girare per il mondo........peccato che non arriva fino a San Piero!!!!Bravissimo come sempre a Lino da Floriana
RispondiEliminaVeramente un bel racconto Lino, la seguo volentieri e così riassaporo i tempi andati. Racconti, racconti, non cessi di raccontare.
RispondiEliminaGran bel racconto Lino
RispondiEliminaSerto Lino che già alora te giri un privilegiato bacanoto. Mi a quela età live la bici la vedea col binocolo. A ghea solo el cavalo, e gnanca mio, el gera quelo de San Francesco.
RispondiEliminaUn giorno una persona mi disse in faccia :"Va là, va là te me fè giusto ridere a contarghe
RispondiEliminaal giorno de anco' quelle storielle li',chi vutu che te lege!!!!" Forse aveva torto!!!!Ci sono ancora persone a cui fa piacere conoscere la vita di una volta,perchè troppo in fretta siamo
passati dalla povertà al benessere.
Immaginarse Sponcio!!Quela bicicleta là,se te vui ciamarghe bicicletta,la gera de me fradelo Moro che te lo gavarè conosesto,ti che te frequentavi la sinistra Torra.Tutti se serviva,e ti
te se che el can de tanti paroni.......Paron ,si, de laorare sempre parchè le bestie no le fa festa,te lo se vero.