[Gianni Spagnolo © 24H27]
Fu l’arma che permise al giovane David di sconfiggere il gigante Golia con un colpo azzeccato in mezzo alla fronte. Narra la Bibbia che il possente filisteo cadde vittima della sua fionda, ma non è lo strumento di lancio che conosciamo bene noi giovani antichi. Si tratta più propriamente di una frombola, appunto come quella magistralmente scolpita da Gian Lorenzo Bernini tra le mani del suo David.
La frombola era un ricettacolo di cuoio o rete in cui alloggiava il proiettile, ordinariamente un sasso, e dal quale si dipartivano due stringhe di cuoio o spago. Il tiratore teneva con la mano destra i due capi della frombola e con la sinistra poneva il proiettile nella parte centrale; mirava sollevando la frombola orizzontalmente all'altezza dell'occhio, facendola roteare da una a tre volte sopra la testa e, lasciando uno dei due capi, liberando così il sasso, che si proiettava a grande distanza. Questa non era solo un'arma improvvisata con cui i pastori si difendevano da fiere e filistei giganti, ma anche uno strumento maneggiato da militari esperti, quali i frombolieri, specialità sovente inquadrata negli eserciti dell'antichità.
La fionda del nostro immaginario collettivo, quella con la forcella e gli elastici, per intenderci, è invece molto più recente. Risale infatti alle prime biciclette con le camere d’aria in gomma. Era proprio dal riciclaggio di queste camere che si potevano ricavare gli elastici per le prime fionde come la intendiamo noi oggi. Prima d’allora, ovvero dall’invenzione della vulcanizzazione da parte di Charles Goodyear nel 1855, non esistevano materiali elastici idonei allo scopo, quindi i nostri avi più discoli avranno dovuto arrangiarsi con la frombola al pari del biblico David.
Non così per noi, quelli che intorno alla fionda ci abbiamo costruito un’epopea. Epopea, in verità, che s’è dissolta in un breve lasso di tempo; quei vent’anni che separavano la fine della seconda guerra mondiale dall’avvento della società dei consumi.
La fionda, infatti, non si comprava, la si costruiva! Applicando tecniche ed abilità apprese dai boce più grandi e tramandate con carbonara circospezione. Intanto la forcella: doveva essere di legno di orno, simmetrica e con i branchi di ugual spessore. Né troppo sottili, né troppo grossi: il giusto! Andava scelta la pianta, anch’essa quella giusta, perché doveva essere sufficientemente giovane per garantire l’elasticità. La forcella veniva tagliata alla castorina, con il coltello a serramanico che tutti allora avevamo in tasca e sagomata, lasciando i branchi più lunghi del necessario. Quindi andava tolta la scorza, eccetto che sul manico, dove garantiva una presa migliore. I branchi venivano legati fra loro interponendo un separatore, così da dare la giusta apertura alla forcella, infine andava lasciata seccare all'ombra per il tempo necessario. A questo punto, subentrava l’operazione più difficile e complicata: seccarla a puntino! L’orno secco diventava duro come l’osso, mantenendo tuttavia quella certa elasticità senza rompersi, che dava l’impronta di qualità all’arma. Per l’operazione bisognava usare il forno della stufa, ovviamente all’insaputa dei parenti, che non gradivano certo quel tipo di artigianato birichino, prevedendone gli esiti. La forcella doveva risultare ben secca, ma non bruciata, per cui l’essiccazione andava controllata pressoché a vista, ma senpre de scondòn; ancamassa ciò!
Un volta ottenuto il risultato, si tagliavano i branchi della forcella alla lunghezza voluta e la si levigava per benino il tutto, talvolta istoriando il manico con il coltellino. Questo artigianato era praticamente a costo e km zero, il necessario era tutto fornito dalla provvida natura del luogo e dall’esperienza dell’operatore, maturata dai molti tentativi andati a vuoto. Xoncàre na rama de òrno in cuji ani, a no jera mia na roba da gnénte, sahìo; i te garìa copà par manco!
Adesso arrivava il difficile: un manufatto del genere richiedeva accessori della miglior qualità per essere efficiente; non poteva essere certo equipaggiato con veci retaji de camaradaria. Trovare una camera d'aria usata appena decente, all'epoca, non era peraltro impresa da poco. Quei tubi elastici subivano infatti così tante repesamìnti che quando venivano finalmente scartati non si riusciva quasi mai a ricavarne degli spezzoni idonei allo scopo. Se anche si trovavano, erano magari fessurati dall'età della gomma e si spezzavano da niente. Quindi, un po' per mancanza di alternative, un po' per amor di qualità, si doveva andare a comprar per forza gli elsatici di caucciù da Canéla. Non ho mai capito perché Canéla tenesse in negozio quei formidabili elastici quadrati di caucciù. Non vedevo altri utilizzi che le nostre fionde e costavano pure un'eresia; almeno per le nostre finanze. Ma fortunatamente ce li aveva e così contribuiva ad affinare la nostra arte. Quegli elastici translucidi (quasi) indistruttibili, servivano a confezionare l'arma finale, applicando estrema cura nel fissarli saldamente alla banda di cuoio e ai branchi della fionda. Cosa che andava fatta a regola d'arte utilizzando la gavéta più fine e serrata. Ecco che finalmente poteva sbizzarrirsi il nostro istinto predatorio e discolo verso animali e cose. Una fionda così ben confezionata diventava un'arma letale e garantiva una precisione e un'efficacia ineguagliabile dalle nostre armi artigianali dell'epoca.
Ci fu tuttavia un periodo, non so se per carenze finanziarie o smania di sperimentare cose nuove, che ci cimentammo anche nell'uso della frombola, che da noi si chiamava però fiondìbolo. Strumento di più elementare concezione e facilissimo da costruire. Forse c'ispirò proprio la storia di David sentìa a dotrìna. Fatto sta che la pratica di questo strumento causò parecchi danni. Pe quanto ci addestrassimo nel lancio, la sua precisione era del tutto casuale e non riuscimmo mai a padroneggiare quell'arte, arrivando a mettere in discussione anche la Bibbia. Come facesse David a beccare Golia fra gli occhi con la frombola rimane tuttora un mistero in grado di minare anche le verità di fede.
Ricordo la mia prima fionda, fatta di orno dal papà: elastici da Canela (li aveva anche Momelo ad Arsiero), coramela o da Vittorio ai Lucca o Toni Poma o Gino Menegheto. Per i sassi migliori nel giardino delle scuole elementari. La seconda fionda era più evoluta, con la coramela cucita per tenere i balini, chiesti con preghiere ai vari cacciatori in paese. Bei ricordi.
RispondiEliminaLa mia caro African la xe costà meno e anca meno tecnologica, forsela sempre de orno ma i astici fati con na vecia camaradaria de na vecia bici, coramela fata dal zio Vitorio. Sassi quei de la vale dove ca metivinu sui sassi grandi busoloti de oio par dopo colpirli con na fiondà
RispondiEliminaLa maggior parte di noi ragazzi hanno costruito la fionda utilizzando un ramo dell'orniello e dopo averlo messo in forma veniva posto nel forno della cucina per l'essicazione. Veniva utilizzata la "cameradaria" tagliata a fettuccine di un cm. circa di larghezza e 25 cm. circa di lunghezza. Due estremità venivano fissate alla forcella con degli elastici e le altre due alla "coramela" ricavata da scarpe vecchie. Vicino alla valle del Chestele c'era una vasca di cemento dove venivano buttate le immondizie che ogni tanto "Giogiota" con la barela, trainata dal mulo, raccoglieva e trasportava alla pubblica discarica. Noi ragazzi trovavamo barattoli, bottiglie, fiale di medicinali ecc. che utilizzavamo, dopo averli posizionati sul bordo della vasca, come bersagli. Bei tempi
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