Stemma della famiglia Spagnolo di San Pietro Valdastico |
Gli Spagnolo non sono originari di San Pietro Valdastico, o, per meglio dire, non appartengono alle famiglie di più antico insediamento. Ci sono venuti infatti alla metà del Millesettecento oriundi da Rotzo; per essere precisi, dalla zona di Albaredo, che con Mezzaselva è la loro patria ancestrale e dove un tempo esisteva una contra' col loro nome.
Negli atti del notaio Antonio Toldo fu Battista di San Pietro del 16 luglio 1754, compare come teste d'un atto di vendita fra Mattio Bonifaci e Domenico Gianesini, un certo “.. Dominico fg. di Batt.a, Spagnolo oriondo de Albaredo di Rozzo, et ora abita qui in San Pietro ..”. Da questa notazione apprendiamo che Domenico si è da poco stabilito in paese; ma andiamo con ordine.
Siamo in Albaredo (kan Aspach), frazione di Rotzo, nel mese di febbraio del 1716, quando Maria di Tomaso del fu Zuane Loser da Roana va in sposa a Gio:Battista di Domenico Spagnolo da Albaredo. Allo scopo viene redatto l’atto di dote della sposa, con cui riceve dal padre 371 troni e 6 soldi (1).
Nella Rotzo di quel tempo, l’uso ufficiale del cognome Spagnolo era appena agli inizi. Gio:Battista era nato nel 1690, ma suo nonno omonimo portava ancora l’originale cognome Slaviero e come soprannome Spagnolo: Gio:Battista Slaviero detto lo Spagnolo. Spagnolo (scritto anche Spaniolo) era dunque un vecchio appellativo d'un ramo degli Slaviero di Albaredo-Mezzaselva(2), che si evolse in cognome in seguito alla ramificazione delle famiglie e alle prescrizioni del Concilio di Trento del secolo precedente. Questi introdusse e normò i registri parrocchiali, volti a contenere i matrimoni fra consanguinei. I pochi ceppi cognominiali dell’Albaredo di allora presentavano certamente relazioni parentali molto strette e una maggiore distinzione ufficiale delle linee di sangue si rendeva opportuna.
La coppia ebbe due figli: Domenico e Tomaso e due figlie: Maddalena ed Elisabetta.
Maria Loser morì giovane il 5 marzo del 1725, lasciando il marito vedovo con i 4 figli da allevare ("Maria ux. Baptista Slaviero Spagnolo" - Come si vede, in parrocchia si usa ancora richiamarsi al cognome originario, usando Spagnolo in subordine, come distinzione). Le due figlie lasciarono poi la casa paterna: Maddalena si sposò nel 1735 con Antonio Dalla Costa di Rotzo, mentre Elisabetta si accasò nel 1747 con Bortolo Vescovi di Asiago; così fecero anche i due fratelli, come vedremo poi.
Nel 1752, quando i figli erano già sistemati, Gio:Battista, ormai sessantenne, decise di passare a seconde nozze. I dettagli della faccenda non ci sono noti, ma ai due maschi la cosa non sembra sia andata molto a genio, tant’è che chiedono al padre di restituire loro la dote della madre. Per provvedere alla loro liquidazione, questi dovette vendere una sua proprietà: ".. teza coperta di paglia in Albaredo in Contra' degli Slavieri, stimata in Troni 357 .." Ne toccheranno 227=6 a Tomaso e solo 30 a Domenico, presumibilmente per precedenti assegnazioni in occasione del suo matrimonio.
Fino ad allora i due fratelli avevano forse coadiuvato il padre nell'attività di manutenzione delle strade comunali che dalla Val Martello conducevano in Val d'Astico; da atti dell'epoca apprendiamo infatti che egli ottenne dal Comune di Rotzo questi appalti. Sarà forse per queste occupazioni, che troviamo traccia di Domenico a San Pietro nel 1748 e poi (1751) anche di Tomaso, sposato con Donna Chiara Cerato, già vedova di Giacomo di Lunardo Mattielli di Pedescala. Di Tomaso si perdono presto le tracce, mentre di Domenico sappiamo che è sposato con Anna Slaviero(3). Avranno anche loro 4 figli:
Maddalena (1747), Giacomo (1749), Domenico (1758), Gio:Batta (1760).
Maddalena va in sposa a Giuseppe Serafin(i), di San Pietro (Osto), la cui famiglia è oriunda da Casotto.
Giacomo sposa Catarina Lorenzi e avrà una sola figlia: Anna, che morirà nel 1817.
Gio:Batta si accasa con Bortola Panozzo, presumibilmente di Tresché, e ha due figli: Luigi, che morirà adolescente e Domenico, che si sposerà poi con Elisabetta Cornolò trasferendosi alle Seghe di Velo e dando origine al ramo degli Spagnolo di Velo d’Astico.
A proseguire la linea a San Pietro rimane quindi la discendenza di Domenico, che infatti è il capostipite di tutti gli Spagnolo attuali di questa località. Ma non erano questi i soli a portare il cognome in paese, esistevano altre due famiglie Spagnolo, detti “Tomasòn”, che nella medesima epoca abitavano in piazza in prossimità della chiesa esercitando l’attività di boscaioli (Boschieri). Questi discendevano anch’essi da un Tomaso, ma figlio di Gio:Maria Spagnolo. Erano pure oriundi da Rotzo, ma dall’altra linea di Spagnolo, gli Scrich, dalla quale derivano anche gli attuali di Pedescala, del ramo dei Nelo (Neln). Di queste due famiglie paesane ritengo che una si sia estinta nella prima metà dell’ottocento, mentre l’ultimo esponente della seconda, Gio:Batta, era dato ancora vivente nel 1891, ma di lui ho poi perso le tracce. Forse abitava a Valpegara, da cui era originaria la madre (Caterina Sartori Bergan) e dove abitava pure la zia (vedova di Pietro Sartori Loria), morta appunto nel 1891.
Inoltre, un certo Francesco Spagnolo è documentato a San Pietro già nel 1581, nella vicinìa per l’elezione del parroco Don Lorenzi, ma in seguito per quasi due secoli non si hanno testimonianze ulteriori, segno che si trattò di un insediamento effimero o di una linea presto estintasi.
I patronimici che ricorrevano principalmente nel mio ramo ancestrale erano Giovanni Battista (Gio:Batta o Batta) e Domenico (D.co), mentre presso quello parallelo degli Scrich si avvicendavano prevalentemente Giovanni Maria (Gio:Maria) e Matteo (Matio). Ciò ha reso più agevole distinguere le discendenze, che altrimenti sarebbe stato impossibile seguire nel corso delle generazioni.
Entrambi i gruppi familiari discendevano in realtà da un comune capostipite: tal Simon Slaviero da Mezzaselva di Roana, che alla metà del Millecinquecento presero a differenziarlo come “Spaniolo”, soprannome che alla fine del secolo successivo cominciò a ufficializzarsi in cognome, essendo Slaviero prevalente in quella zona. L'appellativo dovrebbe risalire ad un tal Giacomo del fu Azzolino Spagnolo che nel 1458 prese a livello dei terreni in quel di Rotzo-Mezzaselva dal Capitolo dei Canonici di Vicenza*; è questa la più antica testimonianza scritta di questo nome nel nostro territorio.
È assai improbabile che Spagnolo fosse in origine un connotato etnico, come potrebbe apparire oggi. Gli studiosi Schmeller e Battisti lo fanno derivare dalla voce longobarda Espan, nell'accezione di "pascolo vicino all'abitato", etimo presente anche nell'antico e medio alto tedesco e rimasto nei suoi retaggi dialettali. Ma è più verosimile che esso derivi dall’etimo stesso di Albaredo/Aspach. Entrambe le radici, la cimbra e l’equivalente veneta, evocano infatti il pioppo tremulo. Un richiamo ad un “luogo dei pioppi” quindi. Infatti il fitonimo tedesco “Espe/Aspe”, da cui deriverebbe il toponimo Aspach, indica proprio questa pianta (populus tremula) e potrebbe aver originato un demotico: “Espaner/Spanier” (dai pioppi) che qualche ignaro prete tedesco potrebbe aver tradotto in “Spagnolo”(4). Un verosimile precursore di Asbar, dunque, che è il più recente appellativo cimbro della gente di Albaredo
Ad avvalorare questa ipotesi c’è anche il sigillo degli Spagnolo di San Pietro, che mostra un gallo cedrone nero appollaiato su di un ramo bianco biforcuto dal quale pende una foglia e sotto tre curve verdi, trovato inciso e dipinto su una vecchia madia del XVII secolo. Il ramo bianco è significativo, perché gli alberi ad avere la corteccia bianca sono precisamente le betulle e i pioppi tremuli. Entrambi crescono da noi ma sono piuttosto sporadici; come l’urogallo d’altronde, mentre il ramo biforcuto sta forse ad evocare una diramazione familiare; magari la separazione dagli Slaviero.
Ma torniamo a San Pietro, dove alla fine del ‘700 si contano tre famiglie Spagnolo dei due rami suddetti.
Domenico sposa Maddalena Toldo e va ad abitare nella casa d’angolo dell’Aréta, allora Capovilla, al numero 319 (ora Via Santa Barbara), esercitando la professione di sarto. Sarà forse perché, dato il mestiere, veste con una certa eleganza, oppure per le sue opinioni politiche, che gli viene affibbiato il soprannome di “Parigin”(5), che connoterà anche la sua discendenza. Domenico sa scrivere e far di conto e sembra interessato anche alla politica, in quel passaggio di secolo che vedeva sconvolti i precedenti secolari equilibri. Nel 1797 cadde infatti la Serenissima e le influenze della Rivoluzione Francese cominciarono a lambire anche il nostro territorio. Da alcuni indizi si può ritenere che egli non fosse ostile ai venti nuovi che giungevano d’oltralpe. Per il suo lavoro Domenico aveva inoltre frequenti rapporti anche con gli altri paesi dell’Alta Valle.
Con l’instaurazione dell’effimero Regno d’Italia napoleonico (1806-15), venne imposta l’istituzione di uno Stato Civile, laicizzando l’amministrazione. Le registrazioni sono pertanto curate da un cittadino a ciò preposto e non più dal parroco. L’Ufficiale di Stato Civile di San Pietro a quel tempo è Giuseppe Serafini, che di Domenico è il cognato avendone sposato la sorella Maddalena. Negli atti del periodo napoleonico troveremo infatti spesso Domenico citato come testimone.
Domenico coltivò amicizia e forse affinità politiche con i Sartori Braidi del Casotto e con i Rossati Gallo degli Scalzeri, chiamati anche Galeni(6). Questi ultimi avevano tradizionalmente un’indole piuttosto combattiva ed erano refrattari al governo austriaco, verosimilmente a causa delle restrizioni doganali e delle tassazioni che gravavano sui loro traffici transfrontalieri. Non sorprende quindi che preferissero assecondare il nuovo corso delle cose. Questa posizione costò loro parecchio con la successiva restaurazione del vecchio ordine, inclusa la perdita del feudo del Bìsele, che passò ai livellari lusernati, i quali ne mantennero anche la menda di Galeni.
Domenico e Maddalena ebbero due figli: Marianna Celestina (1798) e Gioachino Ferdinando (1800)(7). Marianna, che fa la filandiera, andrà in sposa al paesano Gio:Maria Pretto, falegname dai Lucca, mentre Ferdinando si accaserà proprio con Maddalena Rossati (1803), figlia di Giacomo Rossati Galeno e di Barbara Rocchetti, celebrando il matrimonio nella chiesa di S. Maria di Brancafora il 19 febbraio del 1822. Testimone sarà Domenico Sartori Braido da Casotto.
Ferdinando eredita la bottega del padre ed esercita l’attività di sarto nella casa paterna sull’Aréta, che d’allora in poi sarà il luogo di residenza secolare di quelle famiglie.
Ma ecco che in quei tempi cominciarono a profilarsi anni bui, in cui all’inclemenza della natura seguirono ripetute carestie e pestilenze per oltre un trentennio, minando seriamente l’economia e la stessa sopravvivenza della popolazione di buona parte d’Europa. Alcuni ceppi familiari si estinsero; la mortalità infantile, già alta di suo, crebbe a dismisura e si contrasse la durata della vita. Dopo il Congresso di Vienna del 1815, seguito alla sconfitta di Napoleone, Rotzo, di cui San Pietro era colonnello, insieme a tutto il Serenissimo Dominio, furono assoggettati al Regno Lombardo-Veneto e alla Corona D’Austria, mentre il confine sulla Torra venne a perdere per un po’ il suo plurisecolare significato. I registri civili e parrocchiali cominciano a essere lacunosi e imprecisi; i colpiti da colera e tifo venivano spesso sepolti di notte alla chetichella, i bambini morivano come mosche e la situazione di scoramento e deprivazione della gente non favoriva certo la corretta e puntuale tenuta dei documenti. La tradizionale economia di sussistenza fu seriamente compromessa e la condizione sociale e sanitaria della nostra gente peggiorò sensibilmente.
Ecco che in questo periodo diventa difficile seguire con precisione il percorso delle nostre famiglie e intuirne le vicissitudini. Le lacune documentali costringono ad autentiche peripezie per riannodare i fili generazionali e il rischio di incappare in errori è sempre incombente. Cerchiamo comunque di procedere con ordine.
Ferdinando e Maddalena generarono 7 figli: Barbara Speranza (1822); Domenico Antonio (1823); Costanza Maria (1826); Maria Maddalena (1828); Giovanni Battista (06/07/1830); Pietro Paolo (1838); Giovanni (1835?1908). Della prima figlia sappiamo che morì a 7 mesi, delle altre femmine non si ha ulteriore notizia, così come di Domenico Antonio e Pietro Paolo: presumibilmente morirono in giovane età nel periodo di lacuna dei registri.
Giovanni Battista e Giovanni invece sopravvissero e furono i progenitori dei due attuali ceppi degli Spagnolo di San Pietro: quello dei “Paregin” continuò con Gio:Battista, mentre quello di Giovanni con i “Nandi”, soprannome derivato dalla contrazione di quello del padre.
I Nandi si occuparono in seguito della gestione dell’osteria della Dogana, dove vi si trasferirono dalla Piazza. Questo casello riprese a funzionare dopo il 1866, quando il Veneto venne accorpato al neonato Regno d’Italia e sulla Torra tornarono gli antichi termini e le inveterate abitudini. Da questa famiglia, figlio di Giovanni, venne Domenico, detto il Maestro Nando, che fu per molti anni stimato educatore nelle scuole locali e poi Roberto, che aprì e gestì il laboratorio di oreficeria e fotografia in paese.
Giovanni Battista rimase invece nell’Aréta e portò avanti il ramo dei Parigin. Le condizioni della famiglia erano peggiorate e Gio:Batta dovette dedicarsi al mestiere dei boschi e poi al trasporto del legname, quando, in seguito alla sistemazione della strada della Singéla, molti uomini del paese diventarono carrettieri (cavalari).
Gio:Batta si sposò con Maria Domenica Lorenzi (1831) generando 3 figli:
Gio:Batta (06/08/1849); Domenico (16/02/1851) e Antonio (26/09/1855).
Gio:Batta e Antonio sposarono poi due sorelle Alessi, rispettivamente Orsola e Maria e rimasero accasati attorno all’Aréta, acquisendo il soprannome di “Lussi” - forse dalla corruzione del cognome delle mogli o da Lütz (alto/allampanato) - che d’allora in poi cominciò a caratterizzarli soppiantando in seguito quello paterno di “Parigin”.(8)
Giobatta e Orsola ebbero 3 figli: Battista, Fortunato e Antonio, che furono rispettivamente i capostipiti dei rami dei “Belasio” (Tita da Belasio), dei “Lussi” (Nato Lusso) e dei “Fabrélo” (Toni Fabrélo)
Antonio e Maria generarono 5 figli: Battista, Daniele, Augusta, Caterina e Maria, anch’essi detti “Lussi”.
Domenico invece si accasò con Caterina Sartori Grandon, che abitava a San Pietro affiliata dagli zii materni, essendo orfana di madre dall'età di due anni, ma che proveniva dal maso di Belfiore, sopra Casotto. Era un Parigin, ma non un Lusso e per distinguerlo dai fratelli venne chiamato “Ghìar”, forse contrazione d’un antico ghialàr (it. urlatore) e mutuato dai suoceri.
Entriamo ora in tempi più moderni e alla portata dei ricordi familiari, essendo Domenico mio trisavolo. La coppia ebbe infatti 4 figli: Battista Giuseppe (1873), Giuseppa (1874) Giuseppe (1880), Maria (1883) e Giovanni Maria (1885).
Battista Giuseppe sposò Anna Canale da Tonezza detta “Passéta” ed ebbe 6 figli: Giuseppe, Vittorio, Domenico, Caterina, Nella ed Emilia. Dal soprannome tonezzano della moglie, questo ramo venne chiamato appunto “Passéti” e si stabilì in contra’ Pertile dopo la prima guerra mondiale. Giuseppe emigrò giovanissimo in Francia non fece più ritorno, Caterina si sposò a Velo d'Astico, mentre Vittorio, Domenico ed Emilia rimasero in paese, pur con le vicende di emigrazione periodica che caratterizzarono la nostra gente. Nella, sposata con un Alessi Magnéi, perì appunto nell’attraversamento invernale del Moncenisio, nel tentativo di espatriare clandestinamente in Francia, dove già si trovava la sua famiglia.
Le sorelle Giuseppa e Maria si maritarono a Velo d’Astico, abbandonando il paese. Giuseppe morì a 20 anni nel 1900, mentre il più piccolo, Giovanni Maria, era mio nonno e rimase nella casa paterna di Via Carlo Alberto, in prossimità della piazza, dove abitò mio padre Giuseppe e infine io.
Richiami del testo:
(1) 371=6 Troni: equivalevano a circa 2,5 Kg d’argento.
(2) A Mezzaselva e Roana il cognome Spagnolo si estinse nel corso del Milleottocento.
(3) Sarà stranamente indicata poi come “Lucha”, nell’atto di morte della figlia Maddalena. Gli errori e le imprecisioni sono abbastanza frequenti nei registri parrocchiali del tempo e possono trarre in inganno chi cerca di riannodare i fili delle generazioni.
(4) La traduzione dei nomi di famiglia in latino e poi italiano fu ricorrente nelle nostre zone nel periodo di formazione dei cognomi, stante la necessità di redigere documenti in lingua colta ed essendo la parlata locale assai poco considerata anche dai pubblici ufficiali che pur la conoscevano. (Ad esempio il cognome Smiderle, diminutivo cimbro di fabbro e pertanto assai comune, che divenne Fabris (latino) in Roana, Fabrello (veneto) in Val di Rio Freddo, Smittarello (italianizzato) in Val Posina, mentre rimase invariato in Val Leogra. Molto dipese dai parroci, sempre assai impegnati a sgrezzare le nostre popolazioni.
(5) Parigin: nel veneto di allora si diceva di persona elegante, affettata, mondana, di un tipo originale, insomma.
(6)) I Rossati del Maso Scalzeri erano proprietari del mulino sull’Astico e di ampi possedimenti sul Bìsele, dove si accedeva dalla valle proprio attraverso il Ponte di Rossato, un valico in legno sulla testata della Val Torra che sul contrafforte portava scolpito nella pietra il loro stemma, un gallo appunto. Erano infatti fornitori di granaglie e farine per tutto l’Alto Astico e le montagne circostanti, che servivano tramite trasporti someggiati che risalivano i sentieri della valle.
(7) Notare la chiara influenza francese in questi nomi che si discostano dalla tradizione.
(8) Sul portico, ora bruciato, della specola dell’Aréta si poteva ancora leggere a caratteri cubitali rossi il monogramma “FSP”: Fortunato Spagnolo Parigin, che di Gio:Batta era figlio, ma era chiamato Nato Lusso.
Fonti:
Fonti:
- Archivio di Stato di Vicenza e Bassano del Grappa;
- Atti del Notaio Antonio Toldo di San Pietro 1748-56;
- Atti dei Notai Slaviero e Tondello di Rotzo;
- Registi delle anime delle parrocchie di S. Gertrude di Rotzo, S. Maria Assunta di Brancafora, S Maria Maddalena di Forni;
- Archivi della Curia Vescovile di Padova;
- Archivio Capitolo di Vicenza c/o Seminario - Catastico Lasagna vol. primo n. 4506*;
- Biblioteca Marciana di Venezia;
- Biblioteca Bertoliana di Vicenza;
- Documenti della famiglia di Giuseppe Spagnolo;
- Ivo Matteo Slaviero: Attraverso la storia – Cronache delle famiglie Slaviero – 1997
- Ivo Matteo Slaviero: Rotzo – Toponomastica storica e aspetti di vita della comunità - 2014.
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