Il sole si faceva sentire a giugno.
La luce esplodeva in giornate
accecanti. Il verde dei prati di maggio, le rose fiorite sui muri, le
lucciole, lasciavano il posto a prati di fieno rasati, dove alla sera
era tutto un frinire di grilli, e a distese di granturco e di grano
dorato pieno di rossi papaveri.
Cominciava la vera estate, che
coincideva per i contadini con la raccolta del grano, e per noi ragazzi
con la chiusura delle scuole, che avrebbero riaperto ad ottobre,
lasciandoci quattro mesi di spensieratezza inimmaginabile.
Coincideva anche, l'inizio di giugno, per noi bambini, con un
avvenimento che durava esattamente quanto la nostra estate: l'arrivo del
gelataio.
Si chiamava Armando il nostro, ed era secco secco, allampana to, asciutto, naso aquilino sotto al berretto, in un viso marrone di abbronzatura.
Era nero come un tizzone nelle parti del corpo che uscivano dalla
divisa bianca che indossava e certo era snello perchè... poromo, la sua
delizia ce la portava davanti casa col suo carrettino a pedali.
Si
partiva con quel particolare mezzo d'epoca carico della sua mercanzia,
da un paese vicino, si faceva tutte le stradine interne per arrivare
dietro al nostro paese, poi in un percorso riconfermato anno dopo anno,
da lì girava sempre per strade piccole e sconosciute, verso la vinova,
la nostra più grande di strada, e ritornava indietro dritto al suo
paese.
Da noi arrivava dunque in un rientro, e più tardi che dalle
altre parti pensavo, visto che si fermava in ogni aia che incontrava,
ad ogni casa, ad ogni piccolo borgo o casamento.
L'orario
dell'arrivo erano le quattro del pomeriggio e lo sentivi eccome, perchè
Armando il gelataio, si annunciava con un suono particolare, una
trombetta, a forma di cono quasi come quelli che biscottati, portava lui.
“Pppeeepppeeee. ... ppeeppeeeee..”. . non era ancora alla svoltata e già suonava...
Non ce ne sarebbe stato bisogno, perchè noi figlioli, avevamo l'orario
incorporato con l'arrivo del gelataio, e sapevamo perfettamente quando
presentarci.
In quelle giornate dove già iniziava l'afa, dove
dopo il desinare non sentivi più volare una mosca, dove i contadini
riposavano con gli usci chiusi, noi bimbetti invece scalpitavamo in
mezzo ai campi, sotto il sole, sudati, accaldati, ma improvvisamente ,
come ad un segnale adeguato, ancor prima che il segnale del suono ci
arrivasse alle orecchie, come se ci fosse stato un comando divino che
solo noi riconoscevamo, si usciva da tane e nascondigli, e come in quel
film dove i giocatori di baseball appaiono come fantasmi, sbucando dal
granturco, ci si avvicinava verso la vinova...
Si presentava un
esercito di bimbetti scalzi, impolverati, anche noi uscendo dal grano,
dal granturco, da sotto il ponte del rio, dalle canne che ondeggiavano
al vento, dai fienili... tutti rigorosamente con un soldino in mano, e
ci si sistemava sulla sprondina a lato della strada, silenziosi come non
mai, in quella che sembrava un'esperienza quasi mistica.
Ed era
un'esperienza mistica perchè quando lo vedevi un gelato? E qui te lo
portavano fino a casa... poteva essere anche acqua che per noi era il
migliore del mondo... ci davano dieci lire, non di più... un gelato da
venti era già un lusso, e se ti capitava a volte, obbligava i ragazzini
che ti vedevano a dirti sgranando gli occhi.. “DA VENTIII!!!”
La
processione dei bimbetti era la stessa su tutta la via... noi ci si
conosceva tutti e si riconoscevano i gruppetti che si formavano sulla
curva; arrivavano anche dai mezzi interni i ragazzini, dalle case che
non davano sulla vinova insomma, e là là pian piano ad ogni casone si
piantonavano rigidi e zitti. Era questo il punto sembrava davvero un
rito, una celebrazione quasi, al quale noi bimbetti si dovesse ritegno e
rispetto... ci si accomodava anche... ci si leccava il ciuffo ribelle,
sputandoci nella mano e passandolo fra i capelli, ci si spolveravamo le ginocchia, come se presentarsi davanti al gelataio fosse stato
presentarsi davanti al prete per la comunione.
Azzimati, fermi
immobili, col soldo in mano, si aspettava che Armando procedesse sulla
strada e poi sistemati gli ultimi gruppetti, si fermasse da noi.
E
così era, una benedizione quel soldo di gelato che distribuiva a noi
bimbetti, che precisi senza scalpitare né litigarsi, ci si metteva in
fila davanti a lui rispettosi… “ Te come lo voi bimbo?”...
Come
lo volevi?... Quello c'era... tre gusti in tutto... alternati a giorni...
un giorno era cioccolato, crema e limone, il giorno successivo era
crema limone e torrone... a me andava male visto che mi piaceva il
cioccolato e quindi mi toccava un giorno sì e uno no..., ma mi adattavo
tranquillamente pur di
mangiare qualcosa, anche ai gusti meno piacevoli, imparando già a non
essere tanto schifiltosa perchè poteva essere peggio e non toccarmi
nulla.
Mi attaccavo quasi al carretto, ci arrivavo appena con le
mani e allungavo il soldo... lui sapeva che eran piccoli i nostri gelati,
e lo sapevamo anche noi, eppure non si resisteva alla fatidica frase:
“Fammelo grosso ammeè Armando”...
Gli si apriva un sorriso in faccia, come al gatto di Alice nel paese
delle meraviglie, dove vedevi solo i denti bianchi in tutto quel nero, e
altrettanto sornione come il gatto ti diceva... “ Oh sì... vedrai come ti
sistemo...” per chè era
furbo pure e con due palettate, rigirava e rigirava quel cono, e faceva
sembrare che te lo caricasse di chissà quanto e poi, con un gesto
repentino impercettibile,
con un'ultima rigirata di paletta ti rilevava il messo, pur apparendo
rimasta la stessa sostanza... io una volta replicai accorgendomi del
raggiro... “ O Armando dissi.. ma te mi ce lo levi!...”
“Sembra che ti ce lo levi bimba... - rispose lui porgendomi il cono ridendo... - ma un ti ce lo metto mia...”
Eran tutti così i grandi, con noi bimbetti ci si divertivano... rimanevi
un po' lì sentendoti presa in giro, ma senza capire... perchè d'altra
parte che poteva darti per dieci lire...
La rivincita l'avemmo un giorno che inavvertitament e,
forse non aveva messo bene il freno... lui era sceso per porgere il
gelato a un vecchietto e gli scappò il carrettino... prese la discesa
davanti a noi bimbetti... ci superò il carretto, mentre Armando
reggendosi il cappello lo rincorreva e si riversò nella fossa davanti
dietro il fico, riversando dentro capovolta anche la sorbettiera con
tutto il contenuto che formò una montagnola dolce...
Le nonne ci
tirarono via a stento, perchè noi ci si precipitò nella fossa coi
cucchiai... lui porino imprecava e sempre imprecando si riprese quel
giorno il suo carrettino vuoto e se ne tornò al paese pedalando e
perdendo la giornata... noi si allungava il collo verso quel ben di Dio
di cui beneficiarono topi e formiche.
Come col suo arrivo decretava
l'inizio dell'estate, quando non lo vedevi più sapevi che l'estate era
finita, fino all'anno dopo che non tornava... ci son venuta grande con il
suono della sua trombetta, anno dopo anno, aspettandolo, e lui pure
anno dopo anno invecchiò... e si adeguò ai tempi motorizzando il suo
carrettino, finchè ad un certo punto non lo vidi più e anch'io, partii
da questi luoghi trascinata dalla vita, eppure ancora ci penso
d'estate, ancora ogni tanto rido fra me e mi sembra di sentir suonare
la sua trombetta dietro la svoltata alle quattro di un pomeriggio
assolato di giugno, ancora vedo la sua risata candida e le prese in giro
bonarie che ci appioppava.
Non so che fine ha fatto.. non era già
giovane allora, forse non ci sarà più, ma se così fosse non riesco che
ad immaginarlo, anche in quell'altro mondo, se non che pedala fra le
nuvole col suo carrettino, suonando la sua trombetta, e se c'è, quel
mondo, spero sia caldo come le nostri estati e che lui possa anche lì,
vendere al meglio... la sua fredda bontà.
da "I NUOVI RACCONTI DI NONNA GIULIA"
di Dana Carmignani
Come erano buoni questi gelati ! Non c'era tanta scelta : fragole, crema di vaniglia, ma di prima qualità. Un ricordo magnifico dell'infanzia, quando il gelataio alzava il coperchio cromato per la boule di gelato e che emaneva il profumo, la fragranza di questa bontà !
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