mercoledì 1 luglio 2020

Accabadora

Durante il confinamento da Covid-19, una mia amica mi ha prestato da leggere il libro: ACCABADORA di Michela Murgia, scrittrice sarda che con questo libro ha vinto anche il premio Campiello.
Non vi nascondo che un po' di turbamento l'ho provato...😕


Chi era s'accabadora?

Fino a qualche decennio fa in Sardegna si praticava l'eutanasia.
Era compito di ''sa femmina accabadora'' procurare la morte a persone in agonia.

S'accabadora era una donna che, chiamata dai familiari del malato terminale, provvedeva ad ucciderlo ponendo fine alle sue sofferenze. Un atto pietoso nei confronti del moribondo, ma anche un atto necessario alla sopravvivenza dei parenti, soprattutto per le classi sociali meno abbienti: nei piccoli paesi lontani da un medico molti giorni di cavallo, serviva ad evitare lunghe e atroci sofferenze al malato.
Sa femmina accabadora arrivava nella casa del moribondo sempre di notte e, dopo aver fatto uscire i familiari che l’avevano chiamata, entrava nella stanza della morte: la porta si apriva e il moribondo, dal suo letto d’agonia, la vedeva entrare vestita di nero, con il viso coperto, e capiva che la sua sofferenza stava per finire.
Il malato veniva soppresso con un cuscino, oppure la donna assestava il colpo di ''su mazzolu'' provocandone la morte.

S'accabbadora andava via in punta di piedi, quasi avesse compiuto una missione, ed i familiari del malato le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al loro congiunto offrendole prodotti della terra.
Quasi sempre il colpo era diretto alla fronte.
Il termine ''accabadora'' viene dallo spagnolo ''acabar'' che significa finire. ''Su mazzolu'' era una sorta di bastone appositamente ricavato da un ramo di olivastro, lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permetteva un'impugnatura sicura e precisa.

In Sardegna s'accabbadora ha esercitato fino a pochi decenni fa, soprattutto nella parte centro-settentrionale dell’isola. Gli ultimi episodi noti di ''accabadura'' avvennero a Luras nel 1929 e a Orgosolo nel 1952. Oltre i casi documentati, moltissimi sono quelli affidati alla trasmissione orale e alle memorie di famiglia. Molti ricordano un nonno o bisnonno che comunque ha avuto a che fare con la signora vestita di nero.

La sua esistenza è sempre stata ritenuta un fatto naturale, come esisteva la levatrice che aiutava a nascere, esisteva s'accabadora che aiutava a morire. Si dice addirittura che spesso era la stessa persona e che il suo compito si distinguesse dal colore dell'abito (nero se portava la morte, bianco o chiaro se doveva far nascere una vita).
Questa figura, espressione di un fenomeno socio-culturale e storico, è la pratica dell’eutanasia e nei piccoli paesi rurali della Sardegna è  legata al rapporto che i sardi avevano con la morte, considerata come la conclusione del naturale ciclo della vita.

7 commenti:

  1. Un turbamento condiviso per questo modo barbare di fare.

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  2. Bè no ho parole.. però tutto sommato era un atto di carità. Verso coloro che non aveva nessuna speranza

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  3. Non conoscevo questa figura inquietante! Sono curiosa e mi procurerò il libro!🤔🤔🤔😬

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  4. Ho letto il libro, ricco di tradizioni e riti della cultura sarda. Tratta il tema dell'eutanasia in modo sorprendentemente delicato. Mi era piaciuto.

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  5. Concordo con Rossella,il libro mi è piaciuto.Lo consiglio,ho scoperto una figura a me sconosciuta.

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  6. Le accabadore, mi diceva un mio amico sardo, erano delle vecchiette che avevano il compito di alleviare le sofferenze del moribondo, bagnandogli le labbra e sussurrando cantilene e preghiere, nonché di consolare i suoi famigliari e parenti.
    Le attrezzature da loro utilizzate erano il rosario ed il fazzoletto inumidito nella camomilla, non certo la mazzuola, o il cuscino, e vestivano di colore scuro, perché quello era il colore preferito, usato anche dalle nostre nonne, fino agli anni ’50 del secolo scorso.
    Le prove dell’esistenza dell’accabadora assassina, hanno la stessa valenza di quelle relative ai "salbanelo", alle "anguane" e ai strani incontri con persone morte che sentivo raccontare da bambino.

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  7. Caro Carriolante, il libro della Murgia é persino edulcorato rispetto al vero. Io ero in Sardegna inizio 70 quando non c'erano strade e la scuola elementare era uno stazzo unico con unica classe dai 6 agli 11 (se ci andavano). L accabadora che allora stava nelle campagne verso Luras, semplicemente tirava una mazzuolata in testa a chi aveva agonie lunghe ma anche malattie non risolvibili come pure a vecchi troppo onerosi per la famiglia. E i figli nati "guasti" li sopprimevano, a volte li facevan cadere dai dirupi stile rupe Tarpea. Era una "civiltá" estremamente povera e arretrata. Parlando delle campagne. Si puó leggere nel merito, piú che la Murgia "Il muto di Gallura".

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