Gli italiani dovranno ridurre il tenore di vita, ma i politici non hanno il coraggio di dirlo.
Dal 2022 dovremmo ridurre le spese dello Stato di 10-15 miliardi l’anno. E non potremo più indebitarci come se non ci fosse un domani, perché il futuro è già arrivato a chiedere il conto del debito pubblico allargatosi dal 1980 a oggi.
L’Italia
si trova di fronte a cambiamento epocale.
Il Covid ha reso brutale la
necessità di affrontare scelte che erano già evidenti, ma che adesso
diventano non più rimandabili. Il governo attuale e la cultura che
rappresenta non sembra rendersene minimamente conto che stiamo marciando
(non allegramente per fortuna…, ma velocemente sì) verso il burrone a
cui ci hanno portato 40 anni di promesse non realistiche.
La
realtà brutale, molto diversa da quello che sentiamo ogni giorno, è che i
cittadini italiani nel loro complesso dovranno inevitabilmente ridurre
il loro tenore di vita nei prossimi 20 anni dopo avere vissuto negli
ultimi 40 anni in un terribile inganno da debito.
Bisognerà
decidere, e anche alla svelta, chi e come ridurrà il tenore di vita. La
scelta sarà dolorosissima e socialmente deflagrante perché nessun
partito o leader politico ne ha mai parlato. Ma saremo costretti a fare
queste scelte e anche presto.
Sarebbe bene iniziare a parlarne
invece di fare chiacchiere inutili (dannose?) e spendere denaro pubblico
come se non ci fosse un limite al debito. Questo governo non ha né la
capacità, né la cultura per affrontare queste scelte dolorose e ci sta
conducendo sull’orlo del burrone nascondendo la dura realtà che come
comunità saremo tenuti a conoscere ed affrontare.
1. I dati
Nel 1980 il Prodotto interno lordo italiano era equivalente a 1100 miliardi di euro del 2020. Il debito pubblico, 700 miliardi, era pari a poco più del 60%, quasi entro i limiti previsti dal trattato di Maastricht. La popolazione italiana era di 56 milioni di persone. C’erano circa 18 milioni di ragazzi tra 0 e 20 anni che sarebbero poi entrati nel mondo del lavoro, mentre gli italiani tra 45 e 65, che nei successivi 20 anni sarebbero usciti dal mondo del lavoro, erano circa 13 milioni. Un saldo netto di 7 milioni di nuovi italiani potenzialmente al lavoro pari ad una crescita del bacino di lavoro del 25%: da 27 a 34 milioni.
Nel 1980 il Prodotto interno lordo italiano era equivalente a 1100 miliardi di euro del 2020. Il debito pubblico, 700 miliardi, era pari a poco più del 60%, quasi entro i limiti previsti dal trattato di Maastricht. La popolazione italiana era di 56 milioni di persone. C’erano circa 18 milioni di ragazzi tra 0 e 20 anni che sarebbero poi entrati nel mondo del lavoro, mentre gli italiani tra 45 e 65, che nei successivi 20 anni sarebbero usciti dal mondo del lavoro, erano circa 13 milioni. Un saldo netto di 7 milioni di nuovi italiani potenzialmente al lavoro pari ad una crescita del bacino di lavoro del 25%: da 27 a 34 milioni.
All’epoca, se avessimo diviso il debito pubblico per la
popolazione tra 0 e 45 anni cioè quella al lavoro nei successivi 20
anni, avremmo avuto circa 20mila euro a testa di debito da restituire.
Una cifra più che sopportabile e soprattutto con una crescita NATURALE
della forza lavoro dell’1,2% annuo molto più gestibile in prospettiva.
Invece,
alla fine del 2021 il debito pubblico italiano sarà di circa 2800
miliardi di euro. I giovani da 0 a 20 anni non sono più 18 milioni ma 11
milioni circa e le persone tra 45 e 65 che usciranno dal mondo del
lavoro sono gli stessi 18 milioni che nel 1980 stavano per entrare. Il
saldo netto è negativo: -7 milioni cioè meno 1% annuo.
Il debito
di 2800 miliardi diviso per il numero di cittadini tra 0 e 45 anni di
età che dovrà sostenerlo è pari a 100.000 euro a testa. 5 volte di più
rispetto al 1980, con una partecipazione al lavoro del 60%. Il debito a
carico di ogni lavoratore sarà vicino a 200.000 euro a testa.
Un numero
fantasmagorico.
Cosa è successo in questi anni? Non una guerra, nè
un disastro particolare, a parte il Covid (su cui si discuterà poi tra 3
o 5 anni moltissimo in termini di scelte e relativi costi), ma
semplicemente il fatto che nei 40 anni tra il 1980 e il 2020 ci siamo
indebitati al ritmo di circa 50 miliardi l’anno, cioè banalmente abbiamo
speso 50 miliardi all’anno (circa il 3% del pil ogni anno) in più
rispetto alle risorse generate. Quindi abbiamo vissuto sopra i nostri
mezzi al ritmo di 50 miliardi l’anno… per 40 anni.
E abbiamo
accumulato debiti per oltre 2000 miliardi nel periodo, debiti che solo
in in minima parte sono stati come dati dalla crescita del pil che è
stata nei 40 anni passati (prendo il pil 21 prospettico, per non
infierire…) in termini reali pari a un modestissimo 15% in gran parte
dovuto all’incremento demografico e in minima parte dovuto
all’incremento di produttività.
Adesso, a fine 2021, il debito/pil
sarà pari al 170% e ci sarà impedito di fare altro debito. Non è infatti
economicamente sostenibile, salvo ipotizzare un default molto prossimo,
salire in termini di indebitamento/pil da questi livelli elevatissimi.
Quindi
l’incremento di debito che potremo permetterci sarà zero in termini
reali e forse, ma con molti dubbi, pari all’1% in termini nominali
ipotizzando che ci sia un po’ di inflazione è un po’ di crescita.
Uscire
dall’euro è una follia pura accarezzata da populisti incompetenti e
quindi… inevitabilmente dovremo ridurre il tenore di vita e cioè ridurre
le spese dello stato a un importo molto simile alle entrate dello stato
stesso, o solo marginalmente superiore diciamo 10-15 miliardi l’anno.
Questo
è quello che ci aspetta dal 2022 in poi. Senza appello. Senza nessuna
possibilità che non sia così. Senza se e senza ma.
Quindi, poiché è
presumibile pensare che le entrate dello stato nel 2022 non siano
nemmeno paragonabili a quelle del 2019 vista la crisi Covid, si dovranno
ridurre le spese dello stato di almeno 30-40 miliardi l’anno.
Pensare
di incrementare le entrate presuppone ipotesi non sostenibili e cioè un
significativo aumento delle aliquote che sono già elevatissime, o una
crescita economica del 3-4% all’anno che appare ugualmente infattibile.
Si
noti che solo l’impatto della riduzione della forza lavoro comporta una
decrescita media del pil pari a -1% all’anno. Quindi la
produttività italiana deve crescere per mantenere lo status quo delle
entrate fiscali almeno dell’1% all’anno. Per riferimento negli ultimi
20 anni è cresciuta mediamente dello 0,1% all’anno. Una montagna da
scalare.
Questi sono i numeri e in sintesi ci dicono che non
potremo più indebitarci come se non ci fosse un domani. Adesso il domani
è qui con noi.
La festa delle promesse elettorali pagate dai figli è
completamente e definitivamente finita.
I partiti non sanno o non
vogliono sapere che è così, ma chiunque faccia 2 calcoli elementari lo
può dimostrare.
Per alcuni partiti la filosofia del “tassa e spendi” è
endemica. Questa malattia sarà spazzata via dalla dura realtà. Non si
può più. E se la malattia persiste saranno spazzati via i partiti che ne
sono affetti.
Abbiamo non più una forte spinta demografica come
nel 1980, ma un fortissimo freno demografico. Da +1% prima di cominciare
a decidere cosa fare a -1%. Drammatico. Abbiamo sprecato negli anni
buoni. Non ci siamo preparati all’inverno. E adesso l’inverno
demografico è qui con noi.
La demografia è un problema durissimo
da affrontare perché le scelte di oggi daranno frutti nel 2040… nei
prossimi 20 anni la demografia è già scritta. La nostra è drammatica e
nessun partito ha mai capito nei passati 20 anni quanto drammatica
fosse. Una responsabilità storica enorme. Ma adesso dobbiamo gestire il
problema. Non possiamo fare nulla anche perché l’aspettativa di vita a
65 anni nel 1980 era di 15 anni… e adesso è di 20 (19,95 dopo il covid,
ma risale a 20 tra 6 mesi…).
Quindi oltre ad avere non più 11
milioni di italiani oltre 65 anni, ma 17 milioni, gli anni in totale in
cui devono essere supportati da chi lavora passano da 165 milioni a 340
milioni… quindi l’onere è doppio e grava su un numero di lavoratori
inferiore del 20% rispetto al 1980. Questo prima ancora di affrontare il
tema del costo sanitario che è esplosivo rispetto al 1980. Il costo del
welfare con questa demografia è esplosivo.
– non abbiamo mai
affrontato né culturalmente né politicamente il tema della produttività
che è centrale ed è l’unica soluzione alternativa alla drastica
riduzione del tenore di vita collettivo. Per aumentare la produttività
bisogna investire pesantemente e soprattutto agire sulla produttività
del settore pubblico e delle rendite di posizione “protette” in modo
drastico.
Le aziende che esportano per sopravvivere hanno dovuto e
saputo migliorare la produttività pena la sparizione. Non c’è nulla che
aguzzi l’ingegno più che lo spirito di sopravvivenza come noto. Le
aziende protette sul mercato interno e soprattutto la pubblica
amministrazione sono state invece un freno potentissimo proprio perché…
non esistevano incentivi di nessun tipo a migliorare. Non possiamo più
permettercelo. Aumentare la produttività, per capirci, significa o
produrre di più con le stesse persone o ridurre le persone a parità di
output.
Questo è quello che lo Stato dovrà sapere fare nei
prossimi 20 anni. Non ne vedo la consapevolezza, la cultura, il senso di
urgenza. Ma dovrà arrivare perché siamo costretti. Per fortuna il calo
di occupazione non rende drammatico sotto il profilo del tasso di
disoccupazione questa transizione.
Però in Italia si dovranno
necessariamente trasferire lavoro da settori pesantemente improduttivi
nel confronto internazionale (pubblica amministrazione e settori
protetti) a settori esportatori e necessariamente produttivi.
Questa necessità categorica è lontanissima dalla cultura dominante. Non c’è consapevolezza nè volontà di affrontare il problema. Se fossimo in azienda privata si dovrebbe pesantemente ristrutturare (= tagli e investimenti fortissimi di miglioramento processo) la pubblica amministrazione e dedicare le risorse ai settori ad alta produttività.
Questa necessità categorica è lontanissima dalla cultura dominante. Non c’è consapevolezza nè volontà di affrontare il problema. Se fossimo in azienda privata si dovrebbe pesantemente ristrutturare (= tagli e investimenti fortissimi di miglioramento processo) la pubblica amministrazione e dedicare le risorse ai settori ad alta produttività.
L’enorme
spesa pubblica da Covid va esattamente nella direzione opposta e
onestamente la cultura dominante e le dichiarazioni pubbliche del 90%
dei parlamentari sono assolutamente inconsapevoli, per non dire
strenuamente opposte a questa necessità.
Mancano competenza,
realismo e leadership. Per 40 anni hanno vinto le elezioni politici che
promettevano cose ridicolmente infattibili e costose. Impossibile
pensare che il consenso politico venga attribuito a chi dice che
dobbiamo ridurre il tenore di vita, e quindi i politici in larghissima
parte interessati solo ai sondaggi e al mantenimento della loro poltrona
pubblica… ci portano al burrone come i lemmings.
La nostra
stratificazione sociale è drammaticamente spostata sugli anziani, sugli
assistiti, sui garantiti, mentre i “produttivi non garantiti” (cioè
quelli che sostengono tutto lo Stato con le tasse) sono minoranza sia
elettorale che culturale.
A parte 11 milioni di giovani tra 0-20
anni (non votanti…) ci sono 18 milioni di pensionati assistiti, circa 8
milioni di persone che non lavorano (essenzialmente donne in forti
percentuali al sud), circa 10 milioni di “garantiti” (pubblica
amministrazione e altri settori protetti e senza concorrenza
internazionale) e 13 milioni di produttivi non garantiti. Questi ultimi
rappresentano quindi circa il 25% dei voti. Impensabile che la politica
privilegi questi ultimi.
Esiste poi un tema territoriale, visto
che assistiti e garantiti sono largamente più numerosi al sud, è
inversamente i produttivi non garantiti sono concentrati al nord.
Per
complicare ulteriormente il quadro... l’impatto Covid, che è stato nullo per
assistiti e garantiti ed enorme per produttivi non garantiti e ha
generato una asimmetria fortissima nel tessuto sociale visto che l’onore
di aggiustamento per ora è caduto interamente sui produttivi garantiti
mentre assistiti e garantiti non hanno subito alcun danno né sopportato
onori di aggiustamento di alcun tipo.
Non può essere lontano il
giorno in cui chi ha dovuto sopportare pressoché interamente l’onore di
aggiustamento e in aggiunta dovrà sopportare anche il carico fiscale per
i prossimi 20 anni chiederà, correttamente, ma speriamo senza scendere
in piazza in modo non civile, che l’onore sia condiviso tra tutta la
popolazione a differenza di quanto è stato fino a oggi.
Di certo
il rischio che la protesta sociale esploda è tanto più alto quanto
queste dinamiche non sono capite e anche in qualche modo gestite. Nella
storia quando ci sono stati oneri di aggiustamento non ben ripartiti
purtroppo quasi mai “è andato tutto bene”, anzi se la storia insegna
qualcosa possiamo dire che andrà tutto male. Queste asimmetrie sono
destinate a generare fortissime spinte di disgregazione del tessuto
sociale, di cui pare, solo l’ottimo ministro Lamorgese sembra
preoccuparsi.
Il consenso elettorale e sociale va verso le
categorie assistite e garantite, nell'illusione ottica che nulla possa
mai scalfire assistenza e garanzie. Non è così, ma quando succedesse è
troppo tardi per tornare indietro. Quindi nessuno dice ad assistiti e
garantiti che se i produttivi non garantiti vanno in crisi, prima o poi
la mannaia cadrà pesantissima su prestazioni sociali e garanzie... sarebbe come
dire al condannato che la pena si avvicina. Meglio rimandare. Specie se
il condannato vota per chi sta al potere. C’è sempre l’illusione che
alla fine si risolva il problema e quindi si rimanda... si rimanda... fino a
quando non sarà proprio più possibile rimandare.
Il governo Conte è
la massima espressione storica del rimando. Una vera e propria
eccellenza storica assoluta, nel momento in cui sarebbe assolutamente
necessario l’opposto. Infatti è molto popolare. Nessuna sorpresa.
Infine
la categorizzazione sociale italiana e l’immigrazione degli ultimi 10
anni ha trasformato le classi economicamente più deboli (il proletariato
degli anni 70-80) in una classe ferocemente difensiva nei confronti
degli immigrati che vengono dipinti come coloro che intaccano privilegi e
diritti acquisiti (pesantemente a debito come si è visto, ma questo non
viene mai detto).
Quindi il populismo anti-immigrati è fortissimo
proprio perché la percezione degli strati più deboli e anche ultimamente
del ceto medio è che siano gli immigrati (oltre il 10% della
popolazione) ad avere messo a rischio la prosperità acquisita.
Non
è chiaramente così, la prosperità acquisita è finta e deriva solo dal
debito, ma i cittadini hanno chiaramente la percezione che stia per
finire e cercano il “colpevole”.
I populisti sono stati abili ad offrire
due menzogne e cioè che “abbiamo sconfitto la povertà” (Movimento 5
stelle) oppure che “è tutta colpa degli immigrati e dell’Europa” (Lega).
È
sempre più difficile ammettere che invece è colpa di chi ci ha
amministrato in modo totalmente miope negli ultimi 40 anni identificando
sempre i “nemici” e non i problemi da risolvere, anche perché alla fine
li abbiamo votati noi e perché l’antipolitica offre facile sponda
dialettica in questo senso.
Anche questa malattia non è facilmente
curabile perché le ricette semplici, le promesse elettorali, il “noi
siamo nuovi e diversi” hanno facile presa, anche se il ciclo della
promessa-delusione-accantonamento brutale è rapidissimo.
I 5
Stelle sono a fine ciclo e il loro dissolvimento è palese. Credo stia
iniziando il dissolvimento anche della Lega, ma iniziamo nuovi cicli
(Fratelli d’Italia) e altri ancora seguiranno. Manca del tutto, e bisogna
ammettere per validi motivi, (mancanza di offerta…) la fiducia in una
politica che affronti i problemi della collettività, anche perché, come
visto, il medico non potrà essere pietoso e bisognerà prendere medicine
molto amare.
2. Cosa fare.
Non abbiamo
alternative. Dobbiamo cercare di mantenere unita la nostra comunità
aumentando la produttività e aumentando la partecipazione al lavoro.
Bisogna che lavorino molte più donne, molte più persone al sud e che la
produttività del lavoro salga moltissimo. Non esiste altra soluzione
economica sostenibile o logica.
Chi parla di patrimoniale
dimentica che su 2800 miliardi di debito una patrimoniale anche brutale
per 200 miliardi di euro ridurrebbe in modo pressoché irrilevante il
debito (da 2800 a 2600) è molto probabilmente ridurrebbe investimenti,
consumi e base imponibile per ammontare molto simile nei successivi 5
anni.
Oltre a generare una crollo dei consumi piuttosto duraturo, è
come vendere le canne da pesca per comprare i pesci. Per pochi giorni o
mesi può anche funzionare. Poi quando i pesci sono esauriti la fame
diventa ancora peggiore e canne da pesca e pescatori sono nel frattempo
tutti scappati.
La nostra comunità deve generare lavoro,
produttività, base imponibile e tasse. Tutto ciò è inesorabilmente
attività delle imprese private che assumono e pagano tasse e contributi.
Le imprese private per fare ciò assumono rischi, che vanno remunerati e
incentivati. lo stato non può e non deve sostituirsi. Deve piuttosto
arretrare e incentivare. Anche qui non c’è alternativa possibile.
L’imperativo
del lavoro, della capacità di assumere rischi e della generazione di
base imponibile e tasse, così come l’imperativo del lavoro femminile e
del sud sono priorità assolute per la nostra comunità.
Bisogna
superare la vecchia e antistorica divisione tra lavoro e capitale. Vanno
creati meccanismi di compartecipazione della forza lavoro al plusvalore
generato con produttività. Il nuovo sindacato è quello che aiuta il
lavoro a scegliere gli imprenditori migliori, e i nuovi imprenditori
sono quelli che coinvolgono anche da un punto di vista economico i
lavoratori nella generazione di valore.
Bisogna capire che il sud è
un immenso valore nel turismo e nell’esportazione di bellezza, cultura,
cucina, clima e benessere.
Il turismo al sud è una assoluta priorità
nazionale.
Bisogna capire che la formazione dei giovani deve essere
selettiva. Il titolo di studio è un’opportunità, non un diritto. La
riqualificazione della scuola, i test invalsi, il premio alla
produttività anche nell’istruzione è il nostro migliore investimento. I
nostri pochi, anzi pochissimi giovani devono essere formati e avere
produttività altissima.
Non devono andare all’estero attirati da
salari più alti e dobbiamo premiare sia economicamente che socialmente
chi è più bravo ad educarli, abilità facilmente misurabile e
incentivabile… se si vuole davvero farlo.
Bisogna risolvere
definitivamente la piaga dell’evasione fiscale attraverso strumenti di
verifica moderni o anche solo con la chiara dichiarazione che controlli a
campione saranno possibili e reali avendo percezione di dove si
annidano le maggiori sacche di evasione.
Bisogna capire che i
salari sono intrinsecamente legati alla produttività. Pretendere di
slegare le due variabili è condannarsi alla disoccupazione e al default.
Non c’è scampo e va detto chiaramente. Tutti devono potere lavorare e
il salario dipende dalla produttività.
Infine bisogna capire che
il tenore di vita di tutti o quasi tutti sarà minore. Se non troviamo la
spinta ideale come collettività a creare opportunità di permanenza in
Italia dei nostri giovani anche con molti sacrifici siamo condannati al
futuro potenzialmente drammatico del default. Se non troviamo una spinta
ideale come italiani, come cittadini, come elettori a questo programma
ventennale di rinascita ci condanniamo a un futuro terzomondista in cui
saremo solo marginali in Europa e nel mondo.
Io sono bergamasco.
Ho visto le bare in luoghi che per me hanno significato. Ma da
bergamasco, la canzone “rinascerò rinascerai“ ha valore, mi commuovo nel
sentirla come mi sono commosso nel vedere il video con sui abbiamo
promosso l’Italia per le Olimpiadi Invernali del 2026. Siamo un paese
unico e noi “facciamo accadere l’impossibile”.
La dignità del
lavoro, lo spirito di sacrificio che ha costruito l’ospedale degli
alpini in 15 giorni, la composta dignità nel lutto, la volontà di
ripartire a testa bassa e ricostruire tutto da capo se necessario,
l’assenza di polemiche tra noi bergamaschi anche dopo 6000 morti in
provincia, il guardarsi tutti in faccia e capire che si può e si deve
rinascere in silenzio con il lavoro di ogni giorno come hanno fatto
tanti anni fa i nostri padri e i nostri nonni sono parte di me.
Questi
valori di attaccamento e dignità del lavoro, collaborazione tra tutte
le classi sociali, semplicità e volontà di migliorarsi devono secondo me
essere alla base della rinascita di un paese che si è cullato in
pericolose illusioni, offerte e promesse da molti che non hanno mai
davvero lavorato e costruito qualcosa di concreto.
Affrontiamo la
realtà per quanto sgradevole. Possiamo farcela se lavoriamo e smettiamo
di promettere la luna facendo solo debiti per i nostri figli.
«Rinascerò, rinascerai. Siamo nati per combattere la sorte, ma ogni
volta abbiamo sempre vinto noi». Dimostriamo al mondo cosa sanno fare
gli italiani. Con i fatti concreti, nello stile dei bergamaschi con
poche parole e nessuna promessa, solo lavorando tutti i giorni, un
mattone alla volta.
Articolo abbastanza realistico..
RispondiEliminaalcune precisazioni: negli anni 80, si andava in pensione con 35 anni di lavoro nel privato e 20 nel pubblico (se sbaglio ditemelo..) e questo portava a credere al privilegiato privato che andava in pensione a 50 anni (15 che iniziava +35) di essere fregato rispetto allo statale (che era invece una situazione ignobile..).
Per cui l'inconsapevolezza della realtà ha radici lontane...
Per non parlare degli imprenditori.. che nel veneto si son fatti strada pagando poco gli operai o sfruttandoli e, se possibile ( e lo era...) evadendo a nastro... e mandando fuori mercato ( o nazione o in altri settori..) imprenditori che meritavano questa dicitura.
Insomma da una parte operai stupidi che non sapevano quanto erano fortunati (parlo in termini pensionistici, non nel mondo del lavoro..) e imprenditori furbi.
Nell'alta finanza non va meglio: qui si fanno affari d'oro: si privatizzano i profitti e vanno nel pubblico (debito) le perdite. Poi non è sempre così, ma tanti casi..
Andiamo sul locale: la A31 si crede che verrebbe fatta aggratis, e tanti lo dicono, i più credendoci, mentre è solo ciò che pagano tutti andando sulla A4 BS-PD, poi non si fa (per fortuna) ma intanto loro si tengono gli enormi profitti tutelati da accordi che fino a poco tempo fa erano segretati e favorevoli al privato.
per non parlare della superstrada Pedemontana: costo 2 miliardi, ricavi 13).
Insomma qui i politici non possono dire la verità (consentitemi la generalizzazione)... l'ultimo era Monti e si sa come è finita...
qui vanno di moda i Salvini, Meloni e 5s.. (persino FI è meno peggio il che è tutto dire..)
Cosa succederà non lo so, ma se non ci fosse l'euro, l'Argentina sarebbe la naturale deriva, dove i ricchi hanno i soldi in dollari e tutti gli altri vedono i loro risparmi andare in fumo e poi se la prendono con gli altri ecc eccc
e la società seguente sarebbe sicuramente peggio.
Perdonatemi i tanti luoghi comuni che ci sono nello scritto...
Ci sono anche tante brave persone e oneste in Italia, ma spesso sono poco preparate culturalmente e economicamente, e vanno dietro alle sirene del venditore di turno.
Nemmeno lavorare con la testa nel sacco, in cerca di solo quattrini,eh?
RispondiEliminaNon gli sfiora il cervello, a questo acuto osservatore, che forse è questo
tipo di società che deve cambiare?
Solo sfruttamento delle risorse, per crescere in ricchezza?
Misuriamo il PIL in modo inverso...