[ Gianni Spagnolo ©
17/10/2018 ]
Lo studio di una lingua è
antropologicamente interessante per capire la mentalità, il modo di porsi e il
rapporto che una popolazione ha con l’ambiente in cui vive. Proviamo ad esempio
ad analizzare alcune modalità espressive che differenziano l’abitante della
montagna da quello della pianura, pur restando nel nostro ambito regionale.
Sóra e sóto (sopra
e sotto) sono preposizioni o avverbi molto versatili che si prestano a
molteplici composizioni, ma che fondamentalmente indicano una posizione
rispetto ad un’altra. Analogamente possiamo dire di rénto e fòra (dentro e fuori).
Per un abitante della
pianura, abituato ad una spazialità svincolata dai limiti orografici,
il significato di sóra e sóto è inequivocabile e verticale: qualcosa è posta sopra o sotto ad un’altra lungo
un’asse retto e senza fraintendimenti.
Per chi abita in valli e montagne, oltre a questi
significati comuni, dev'essere considerato l’elemento spaziale orizzontale
in un ambiente dall'estensione ben delimitata, per cui si può dire che l’asse
non sia esclusivamente verticale, ma ammetta un’angolazione anche piuttosto
ampia, almeno quanto lo possa essere la mutevole panoramica d’un solco vallivo. Per vedere l'orizzonte noi dobbiamo guardare in alto.
Luserna, per esempio, per
noi è sóra San Piero, mentre
Pedescala ne è inequivocabilmente sóto; cosa
che per i pedemontani non ha alcun senso, dato che direttamente sopra e
sotto San Pietro non c’è alcun centro abitato. Se p.e. dico che: “Me zio el stava sóra de
me poro nono.” non significa necessariamente che lo zio sedesse sulla
bara del nonno o abitasse al piano superiore di dove risiedeva lui; può
significare semplicemente che stava nella casa o nella contra’ ubicata più in
alto di quella di mio nonno, che potrebbe distare anche parecchio da essa sia
lungo l'asse latitudinale che longitudinale, ma nello stesso orizzonte
cardinale. Oggi il nostro dialetto ha ormai perso molto della sua
originalità per uniformarsi all’italiano, ma in passato per identificare
precisamente una stanza o un qualcosa posto al piano superiore di una casa, non
si diceva de sóra, ma bensì suàlto, che era più accurato
rispetto al generico de sóra, che poteva magari
intendere anche l'orto di famiglia posto più in alto dietro la casa. Gli avverbi sù e dó (sù e giù), possono assumere poi anche i significati cardinali estesi di
Nord e Sud. Si va sù a Bolzan, mentre si va dó a Bologna; però non si va dó a Genova, pur essendo le due
città alla stessa latitudine. Questa differenziazione è presente anche
nella lingua italiana, almeno da quando esiste l'obbligo scolastico e qualcuno
ha deciso di orientare le carte geografiche con il Sud posto sempre in basso
rispetto al Nord. A questa convenzione non era certo estraneo il dominante eurocentrismo
a trazione franco-inglese; ma stiamo divagando.
Per la nostra gente de stiàni invece,
il significato era strettamente associato all'orografia del suo piccolo mondo,
sviluppato in senso inclinato, incentrato sul paese e rapportato ad esso. La
valenza geografica si evidenzia perciò maggiormente nell’uso di rénto e fòra. Oltre al
significato universale di dentro e fuori, queste preposizioni da noi assumono
anche l’accezione cardinale di Ovest ed Est. Si va rénto ai Scàlsari, mentre si va fòra a Arsiero;
non si può nar rénto ad Arsiero oppure nar fòra in Brancafora, nonostante il
bisticcio fonetico. Per andare a Valpegara o ai
Luconi invece, non si poteva andare né rénto né fòra, ma solo óltra.
Rentolà indicava poi genericamente la parte di valle che si
sviluppava ad ovest del paese, con Pedemonte e Lastebasse. Più precisamente alle Laste si andava: Rénto dale Sète Potènse. Anche per recarsi in
Svizzera o in Francia, situate ad occidente, si andava rénto in. Tanto che la Svizzera in
sé, destinazione di molti emigranti dell’Alta Valle, era anche chiamata semplicemente: Larénto.
Non so se questo schema d'orientamento ricorra anche in altri dialetti montani vicini, come il Trentino o il Friulano, probabilmente si. Era tuttavia certamente presente nel Cimbro, da cui forse fu mutuato. Nell’antica
lingua troviamo infatti: inn (rénto/dentro/ad
occidente); aus (fóra/fuori/ad oriente); au (sù/a settentrione); abe (dó/giù/a mezzogiorno)
usati come riferimenti geografici cardinali. L’impiego delle diverse
preposizioni “ka,
kan, kor” dipendeva poi dalla coniugazione con le
località specifiche, come per il veneto (a, dai, ai, ecc.), ma il modo di pensare era lo stesso. Mi sorge il dubbio che anche l'avverbio óltra, più che al latino “ultra”, col quale condivide il suono ma non l'esatto significato, possa essere un
adattamento imitativo del cimbro Órch, che significa: là,
là in fondo. Si va infatti: óltra
ai Áldare; óltra in Campagna; óltra in Valpegara, ecc., indicando
appunto una destinazione e non un superamento. Órch, aveva inoltre un orizzonte
spaziale circoscritto, in quanto indicava una distanza variabile compresa
grosso modo fra i 230 e i 2300 piedi vicentini (80-800 m); giusto l’orizzonte
vitale d'un paesano d’allora.
"Movete nemo rento in casa" "va fora a sugare e no in casa" quante espressioni belle che ricordano tempi sereni e lontani.potremmo ricordarne a decine di queste espressioni.
RispondiEliminaGianni leggo sempre con piacere e interesse i tuoi scritti bravissimo a mantenere detti luoghi, espressioni del dialetto. Stimolano sempre ricordi. bravo
Cossa laurito a fare? Laoro a laorare....
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