lunedì 29 ottobre 2018

Sù e dó, rénto e fóra



[ Gianni Spagnolo © 17/10/2018 ]
Lo studio di una lingua è antropologicamente interessante per capire la mentalità, il modo di porsi e il rapporto che una popolazione ha con l’ambiente in cui vive. Proviamo ad esempio ad analizzare alcune modalità espressive che differenziano l’abitante della montagna da quello della pianura, pur restando nel nostro ambito regionale.
Sóra e sóto (sopra e sotto) sono preposizioni o avverbi molto versatili che si prestano a molteplici composizioni, ma che fondamentalmente indicano una posizione rispetto ad un’altra. Analogamente possiamo dire di rénto e fòra (dentro e fuori).
Per un abitante della pianura, abituato ad una spazialità svincolata dai limiti orografici, il significato di sóra e sóto è inequivocabile e verticale: qualcosa è posta sopra o sotto ad un’altra lungo un’asse retto e senza fraintendimenti.
Per chi abita in valli e montagne, oltre a questi significati comuni, dev'essere considerato l’elemento spaziale orizzontale in un ambiente dall'estensione ben delimitata, per cui si può dire che l’asse non sia esclusivamente verticale, ma ammetta un’angolazione anche piuttosto ampia, almeno quanto lo possa essere la mutevole panoramica d’un solco vallivo. Per vedere l'orizzonte noi dobbiamo guardare in alto.
Luserna, per esempio, per noi è sóra San Piero, mentre Pedescala ne è inequivocabilmente sóto; cosa che per i pedemontani non ha alcun senso, dato che direttamente sopra e sotto San Pietro non c’è alcun centro abitato. Se p.e. dico che: “Me zio el stava sóra de me poro nono.” non significa necessariamente che lo zio sedesse sulla bara del nonno o abitasse al piano superiore di dove risiedeva lui; può significare semplicemente che stava nella casa o nella contra’ ubicata più in alto di quella di mio nonno, che potrebbe distare anche parecchio da essa sia lungo l'asse latitudinale che longitudinale, ma nello stesso orizzonte cardinale. Oggi il nostro dialetto ha ormai perso molto della sua originalità  per uniformarsi all’italiano, ma in passato per identificare precisamente una stanza o un qualcosa posto al piano superiore di una casa, non si diceva de sóra, ma bensì suàlto, che era più accurato rispetto al generico de sórache poteva magari intendere anche l'orto di famiglia posto più in alto dietro la casa.  Gli avverbi sù e dó (sù e giù), possono assumere poi anche i significati cardinali estesi di Nord e Sud. Si va sù a Bolzan, mentre si va dó a Bologna; però non si va dó a Genova, pur essendo le due città alla stessa latitudine. Questa differenziazione è presente anche nella lingua italiana, almeno da quando esiste l'obbligo scolastico e qualcuno ha deciso di orientare le carte geografiche con il Sud posto sempre in basso rispetto al Nord. A questa convenzione non era certo estraneo il dominante eurocentrismo a trazione franco-inglese; ma stiamo divagando.

Per la nostra gente de stiàni invece, il significato era strettamente associato all'orografia del suo piccolo mondo, sviluppato in senso inclinato, incentrato sul paese e rapportato ad esso. La valenza geografica si evidenzia perciò maggiormente nell’uso di rénto e fòraOltre al significato universale di dentro e fuori, queste preposizioni da noi assumono anche l’accezione cardinale di Ovest ed Est. Si va rénto ai Scàlsari, mentre si va fòra a Arsiero; non si può nar rénto ad Arsiero oppure nar fòra in Brancafora, nonostante il bisticcio fonetico. Per andare a Valpegara o ai Luconi invece, non si poteva andare né rénto  fòra, ma solo óltra
Rentolà indicava poi genericamente la parte di valle che si sviluppava ad ovest del paese, con Pedemonte e Lastebasse. Più precisamente alle Laste si andava: Rénto dale Sète Potènse. Anche per recarsi in Svizzera o in Francia, situate ad occidente, si andava rénto in. Tanto che la Svizzera in sé, destinazione di molti emigranti dell’Alta Valle, era anche chiamata semplicemente: Larénto.
Non so se questo schema d'orientamento ricorra anche in altri dialetti montani vicini, come il Trentino o il Friulano, probabilmente si. Era tuttavia certamente presente nel Cimbro, da cui forse fu mutuato. Nell’antica lingua troviamo infatti: inn (rénto/dentro/ad occidente); aus (fóra/fuori/ad oriente); au (sù/a settentrione); abe (dó/giù/a mezzogiorno) usati come riferimenti geografici cardinali. L’impiego delle diverse preposizioni “ka, kan, kor” dipendeva poi dalla coniugazione con le località specifiche, come per il veneto (a, dai, ai, ecc.), ma il modo di pensare era lo stesso. Mi sorge il dubbio che anche l'avverbio óltra, più che al latino “ultra”, col quale condivide il suono ma non l'esatto significato, possa essere un adattamento imitativo del cimbro Órch, che significa: là, là in fondo. Si va infatti: óltra ai Áldare; óltra in Campagna; óltra in Valpegara, ecc., indicando appunto una destinazione e non un superamento. Órch, aveva inoltre un orizzonte spaziale circoscritto, in quanto indicava una distanza variabile compresa grosso modo fra i 230 e i 2300 piedi vicentini (80-800 m); giusto l’orizzonte vitale d'un paesano d’allora.



2 commenti:

  1. "Movete nemo rento in casa" "va fora a sugare e no in casa" quante espressioni belle che ricordano tempi sereni e lontani.potremmo ricordarne a decine di queste espressioni.
    Gianni leggo sempre con piacere e interesse i tuoi scritti bravissimo a mantenere detti luoghi, espressioni del dialetto. Stimolano sempre ricordi. bravo

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  2. Cossa laurito a fare? Laoro a laorare....

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