domenica 31 dicembre 2017


Domani strapperò l’ultimo foglio del calendario…

Penso a quello che questi ultimi dodici mesi mi hanno dato...

mi hanno tolto, mi hanno donato...

ci sono stati giorni di gioia e di dolore,

ma comunque ho vissuto…

Un nuovo anno si affaccia, con i fogli ancora integri,

non so se avrò la possibilità di scrivere su tutte le pagine,

quante saranno scure e quante luminose,

quante difficili e pesanti e quante leggere e gioiose…

ma se ci saranno pagine da scrivere,

mi prometto che le scriverò sempre con la penna intinta d’amore…

Anche se avrò momenti di delusione, di dolore,

se mi sentirò inadeguata, sconfitta, sfiduciata,

cercherò in fondo a me stessa la forza che mi manca,

il coraggio che non ho, le capacità difficili da trovare.

Ma in tutto questo mi terrò aggrappata alla fede che mi è compagna,

per trovare in tutto quello che avverrà ogni giorno,

un disegno nascosto, un progetto che Dio ha pensato per me.

Lo ringrazio per chi amo e mi ama,

per chi mi dimostra amicizia e chi mi evita,

per chi mi sostiene e chi mi scoraggia,

per chi non mi sopporta e chi mi accetta come sono,

con tutti i miei tanti difetti, tanti…

Non chiedo, non spero, non esigo nulla per il nuovo anno…

Mi auguro soltanto che mai mi manchi il coraggio

per affrontare ogni cosa, lieta o triste,

che scriverò in queste nuove pagine,

fogli nuovi da riempire con tutti i colori dell’arcobaleno!

A tutti il mio augurio di salute, serenità e pace.

Buon Anno 2018! 
 Lucia

Quando il Paesello decide di indossare la corona bianca... è impossibile non esclamare: "sì... ancò te sì pì belo de sempre"...





(E.S.)

Tradizioni

A Capodanno si inizia un nuovo capitolo della vita, si buttano le cose vecchie e si enunciano i nuovi propositi, è una festa che deve le sue origini alla festa del dio romano Giano, e ci sono diverse usanze e rituali da seguire in questo giorno.
Uno dei riti più conosciuti è quello di mangiare le lenticchie, magari con le mani, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, per favorire ricchezza ed abbondanza e subito dopo, far esplodere qualche botto o fuoco d’artificio per celebrare il nuovo anno cercando di allontanare il maligno. Nell’Italia del sud si usa anche lanciare i cocci, un rito che simboleggia l’eliminazione del male, fisico e morale accumulato durante l’anno passato.
Per portare ricchezza in famiglia si usa mangiare anche l’uva passa, forse per questo motivo è uno degli ingredienti principali del panettone!
Si narra anche che sia di buon auspicio incontrare per strada un vecchio o un gobbo (o un carro di fieno o un cavallo bianco) come prima persona dell’anno, mentre sarà un anno costellato dalla malasorte se si incontra un prete o un bambino…
Il primo giorno dell’anno non si dovrebbe mai lavorare, ma godersi il riposo, questo perché si crede che quello che si fa il primo dell’anno si farà per tutto l’anno.
C’è anche la previsione meteorologica dell’anno da fare durante i primi dodici giorni di gennaio, ogni giorno un mese dell’anno a venire, a seconda se farà bello o brutto si potrà prevedere come sarà il mese corrispondente a quel giorno.
E poi non ci si può scordare del bacio sotto il vischio alla persona amata, che consoliderà l’amore per tutto l’anno a venire.
Infine non scordatevi di indossare la biancheria intima di colore rosso, un colore che gli antichi romani usavano per scacciare la paura, ma che oggi è di buon auspicio per il nuovo anno e mangiate un po’ di melograno per assicurarvi la fedeltà coniugale!


Fiaccolata dell'Amicizia


Sabato 6 gennaio 
è prevista la tradizionale 
fiaccolata dell'Amicizia
A breve il programma 
nelle bacheche di zona

Valdastico nord: è un imbroglio


sabato 30 dicembre 2017

Un pensiero, un augurio, una speranza dalla Pro Loco di Pedescala



Sta per concludersi il 2017 e desideriamo ringraziare tutte le Persone che ci sono state vicine e ci hanno aiutato a tenere vivo il nostro piccolo Paese. 
Abbiamo lavorato duramente e sempre volentieri per dare esempio ai nostri giovani e loro ci hanno ripagato partecipando con grande impegno e creatività e questa è per noi la cosa più importante!
Far crescere l’interesse per il proprio Paese, lavorarci per trasformarlo e sentirsi parte è sempre stata la strada in cui abbiamo sempre creduto.
Per il 2018 però vorremmo lavorare anche per costruire e far crescere lo spirito di appartenenza alla NOSTRA VALLE perchè siamo convinti che chi ci abita, chi ha radici, chi ci è affezionato... la senta SUA e che ci sia tanta energia per FARE, ma questa forza non venga utilizzata e vada continuamente dispersa…
Non pensiamo a feste più grandi per attirare più gente, ma lavorare per avere una visone comune per viverci meglio e saper guardare oltre ai campanili dei nostri Paesi.
Ci piace immaginare una Valle in estate con i ponti da Barcarola a Lastebasse pieni di fiori ed i paesi in inverno per le feste di Natale addobbati con creatività…
Queste piccole cose ben curate potrebbero essere un inizio per chi ci passa e chi ci abita di vedere una VALLE DIVERSA
Non è un problema di risorse, bisogna cominciare a pensare che se si vuole qualcosa ognuno di noi deve lavorarci per cambiarla, anche con piccoli gesti.

Noi ci crediamo 
e speriamo che il 2018 
sia l’anno giusto
per iniziare a lavorarci.
BUON ANNO A TUTTI
Lo STAFF della PRO LOCO DI PEDESCALA


Buon anno 1960

Nella stalla appesa al muro scrostato c’era la locandina di Sant’Antonio da Padova protettore degli animali. Aveva una lunga barba bianca ed un bastone. Ai suoi piedi c’erano maiali, galline, asini, cani e gatti. La locandina veniva sostituita, sempre uguale, dopo alcuni anni ed era quindi ingiallita, sporca e molto sciupata. In alto veniva inserito un ramo di ulivo che era sostituito ogni anno nella domenica delle palme. Non è dato sapere se il santo proteggesse veramente gli animali dalle malattie, ma per i contadini gli animali erano talmente importanti che facevano di tutto per proteggerli. Nella cucina una bella madonna di gesso di colore azzurro faceva bella mostra sopra la credenza con vetrina. A volte aveva appeso un piccolo rosario al collo. Poteva capitare di vedere dove si era rotta cadendo perché si vedeva l’incollatura. I credenti la guardavano con devozione, gli altri non la degnavano di uno sguardo, ma nessuno si permetteva di rimuoverla. Nella camera da letto era appeso sopra il letto il quadro della Madonna con il solito ramoscello d’ulivo. Nella specchiera del comò erano appesi al vetro due o tre santini, uno era sempre di Santa Maria Goretti. Nella cantina era appeso bello e grande nella porta all’interno il famoso Lunêri di Smémbar scritto in dialetto. Ogni contadino lo possedeva. Era da anni il calendario unico dei contadini. C’erano le fasi della luna durante l’anno, l’agenda dei mesi, le previsioni del tempo, i proverbi dei nonni, i mesi adatti per seminare le colture. Insomma era una guida utile ed anche simpatica. Spesso era in cantina perché per travasare il vino occorreva osservare attentamente la luna, non doveva essere crescente o piena. Altri lo appendevano nella cucina o sotto il portico. Quella mattina, era l’ultimo dell’anno, il contadino Zvanon l’aveva avuto in regalo dal negozio che vendeva la granella degli animali in piazza ‘’dal garneli’’ (davanti alla chiesa di Sant’Agostino a Cesena). Lo guardava e lo commentava con la famiglia. Il dialetto con il quale era scritto era faentino ed abbastanza diverso da quello cesenate, ma si capiva bene. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle ed io ero un bambino al quale sono rimasti impressi molti ricordi. Anche Zvanon era un contadino mezzadro. Viveva con la moglie Lora e la mamma vedova. Avevano due figli, una ragazzina di sedici anni ed un bambino di dieci. Zvanon era famoso perché era un ‘’gran zviton’’ (un gran civettone). Si diceva di un uomo che era galante con le donne ma in modo talmente esagerato da essere detestato. Era invece molto geloso della moglie, tipico atteggiamento degli ‘’zviton’’. Di lui si diceva anche ‘’un’ariva ala siva’’ (non arriva alla siepe). La siepe che delimita il confine dell’aia è bassa, circa un metro. Quando si faceva riferimento ad una persona non considerata troppo furba si diceva che non arrivava alla siepe come intelligenza. La Lora era una donna semplice e molto bella ed aveva l’abitudine, all’epoca molto rara, di salutare gli amici con un abbraccio o un bacio sulla guancia. Quel giorno, era l’ultimo dell’anno, nella famiglia c’era un ‘’gran smasament’’ (erano molto indaffarati). La ragazzina che si chiamava Rossella aveva chiesto per la prima volta di andare a ballare al veglione di fine anno che si teneva a Saiano, paese vicino, nella sala del circolo dei repubblicani. Saprete che in campagna erano frequenti in inverno le feste da ballo. Si tenevano di sera nei vari paesi e la musica terminava a mezzanotte. Le ragazze ed i ragazzi confluivano dai paesi vicini. In alcune serate speciali c’era invece ‘’e viglion’’ (il veglione). L’orchestra del liscio era quotata, la musica terminava ben oltre la mezzanotte con una sosta intermedia. Accadeva per esempio l’ultimo giorno dell’anno e l’ultimo giorno di carnevale. Il problema era che la Rossella andava a ballare per la prima volta ed i suoi genitori non avevano mai gestito un tale evento ma, come si dice, molte cose vengono naturali e non c’è bisogno di ingegnarsi troppo ad impararle. Alle tre del pomeriggio era arrivata la vicina di casa Giuliana che era l’amica del cuore di Rossella e di un anno più grande. Le due amiche passarono il tempo a farsi belle. Si truccarono leggermente, si pettinarono a vicenda ed indossarono due vestitini fantasia niente male. La mamma nel frattempo aveva sfornato due grandi ciambelle che spandevano un profumo incredibile per tutta la casa. Verso le sette di sera Zvanon preparò l’asina con il ‘’baruzen’’ (piccolo e snello biroccio) e dalla cantina prelevò due bottiglie di albana di quella buona. Fece salire la moglie e le due ragazze. Erano tutti imbacuccati perché era un gran freddo e la campagna era tutta innevata. Per fortuna le strade erano percorribili. Arrivarono a Saiano dopo 40 minuti. Nella grande sala c’era già molta confusione. La mamma si sistemò sulle sedie vicino alle altre mamme in fondo alla sala con la sporta di paglia dove c’erano le due bottiglie di albana e i due filoni di ciambella. A mezzanotte l’orchestra fece una pausa di mezz’ora. Tutti si precipitarono dalle mamme a mangiare e bere quel ben di dio. In particolare modo ‘’i filarini’’ fecero il pieno. Verso le due di notte arrivò il babbo della Giuliana con l’asino e portò a casa tutti. I due babbi si erano dati il cambio, uno per l’andata e l’altro per il ritorno. Le ragazze si erano divertite un mondo e le mamme avevano fatto il loro mestiere che era quello di ‘’badare’’ le figlie. Dimenticavo, Zvanon dopo il viaggio di andata si era fermato nel circolo dei repubblicani per una partita a carte, poi era rientrato a casa. Era andato in cantina ed aveva prelevato alcuni grappoli di uva bianca appassita appesa. Con le forbici aveva fatto dei ‘’garavel’’ e li aveva messi in due cesti. Uno lo avrebbe preso alla mattina presto il bambino che andava ad augurare ‘’buon anno’’ ai vicini, l’altro serviva per contraccambiare l’uva con chi veniva ad augurare il buon anno. Il primo giorno dell’anno era bene incontrare come prima persona un uomo, avrebbe portato fortuna. Le donne di norma non uscivano di casa. Quelle che andavano alla messa alla mattina presto rientravano in fretta e non si fermavano per fare delle chiacchiere. Comunque chi arrivò ad augurare per primo il ‘’buon anno’’ ? il contadino Zchinela che era il loro migliore amico. Entrò senza bussare ed urlò: buon anno. Lo accolsero con simpatia e Zvanon volle dire una delle sue stupide battute: ‘’a sem propi sicur che tci un oman?’’ (siamo proprio sicuri che sei un uomo?). Pronta fu la risposta:’’se ta ni creid dmandal a la tu moi’’ (se non ci credi chiedilo a tua moglie). Momento di imbarazzo che fu sciolto da una grande risata. E la Lora gli buttò le bracca al collo baciandolo per fargli gli auguri.
Fiorenzo Barzanti

venerdì 29 dicembre 2017

Quando che nelle case se copàva el mas'cio...


Un tempo, questo era il periodo di un po' di abbondanza di cibo nelle case. Era il periodo che veniva ucciso il maiale con una procedura di giorni che molti di noi ricordano. Tutta la famiglia ne era coinvolta. Io ho ricordi ben nitidi del maiale appeso divaricato nella corte, i norcini indaffarati, i prodotti appesi nella cantina a stagionare, l'odore particolare che essi emanavano.
Salami, salsicce, soppresse, cotecchini dovevano stagionare, ma tanto altro si mangiava fresco: si faceva il sanguinaccio (sanguetta), il polmone in umido (la coradéla), c'erano i ciccioli croccanti (sòssoli) della polenta consà,  la pastasciutta con la pasta di salame, indimenticabili panini col salame per la merenda a scuola, ecc. 
Sbiaditi ricordi, ma nemmeno poi tanto...

Non sono più tra noi



Il Capitello dei Cerati con annessa poesia di Germano


giovedì 28 dicembre 2017

Incidente a Lastebasse


Sulla famosa curva incriminata, a due passi prima di Lastebasse, quella curva che da tanti viene chiamata “la curva del sindaco” e da altri “la curva paurosa”, meno di un’ora fa, un Tir ha violentemente urtato, ancora una volta, contro la recinzione dell’orto del sindaco, facendo rotolare grossi massi anche in mezzo alla carreggiata e spingendo la rete metallica  ancor più all’interno della proprietà. Erano circa le 17.40 di oggi 27 dicembre, quindi già notte, quando l’urto violento del pesante mezzo, a causa del fondo viscido, ha prodotto un forte terremoto a tutti i fabbricati della locale contrada, equiparabile allo scoppio di una bomba da guerra. Le gente, uscita terrorizzata dalle case, non sapeva dove guardare. Urla di persone, grida d’angoscia, tutti pensavano a qualche auto nel burrone. Nel frattempo, non c’era tregua per la solita colonna di auto che salgono e scendono, spesso senza badare alle condizioni pericolose della strada e il fatto incoraggiava, dal momento che in casi del genere è facile il formarsi della colonna, ma non dava pace perché quel terremoto deponeva comunque per qualcosa di poco bello. Intanto il Tir, di nazionalità ignota, si è dato pazzamente alla fuga come se nulla fosse accaduto. Qualche danno consistente lo deve pur aver riportato anch’esso, ma non tale da bloccarne il percorso. Il pensiero, come il solito, corre immediatamente alle responsabilità in capo al titolare della strada, il quale, malgrado i reiterati solleciti, nulla fa per rendere meno pericolosa quella curva con interventi migliorativi in senso di larghezza e visualità. Infatti l’incrocio, in quel punto, di un camion anche di mezza taratura con un’auto comune, obbliga che uno dei due si deve fermare. Nel caso di due automezzi pesanti o peggio ancora di Tir, il problema diventa ancora più drammatico. Se poi, nello stesso punto si trovasse una persona, cosa facilissima, la tragedia è scontata. 

Domenico Giacon

Le leggi della natura...


martedì 26 dicembre 2017

Il tramonto del grande vecchio


Lo sapete perché una volta i grandi vecchi delle famiglie contadine passavano a miglior vita in autunno o nel centro dell’inverno? 
Voi direte perché il clima era umido e freddo, i vecchi a volte non erano ben nutriti ed era facile prendere una brutta polmonite che non lasciava scampo. Che era la classica stagione nella quale il grande poeta Ungaretti diceva "si sta come d’autunno sugli alberi le foglie". Che bastava a volte il venticello leggero del dipanatoio, cioè bastava un nonnulla per provocare la fine improvvisa. Che scivolare nel fango e nella neve era facile. Disse Giovanin guardando il muro della chiesa: hanno appeso il manifesto funebre e pensare che sabato sera giocavamo a briscola insieme. Ora vi svelo una verità. Molti vecchi sostenevano infatti che il destino aveva programmato per loro il passaggio nell’aldilà nel periodo dell’anno nel quale c’era poco lavoro in campagna e quindi più tempo per gestire con grande partecipazione la dipartita. Pensate se capitava in piena raccolta delle pesche, bastava saltare un giorno e subito diventavano troppo mature e non si vendevano. Pensate se capitava durante la mietitura o la trebbiatura, chi aveva tempo di sospendere il lavoro? Uno dei più ferventi sostenitori di questa tesi era il vecchio Taboni. Vi ho già parlato di lui e della sua famiglia di contadini mezzadri. Come ricorderete, oltre al vecchio che aveva ormai 97 anni e la moglie della stessa età, c’erano i due figli entrambi sposati, le due nuore ed alcuni nipoti. Vi ho detto che il vecchio era famoso perché sapeva fare le previsioni del tempo in modo perfetto e non sbagliava mai. Vi ho raccontato pure del viaggio a Milano per la prima volta delle due nuore, la Sandra e la Idina. Fino all’età di 90 anni era stato sveglissimo ed era solito comandare ancora i figli e programmare i lavori in campagna. Poi il fisico cedette e di fatto fu costretto a letto nella stanza al primo piano della grande casa contadina. Lo accudivano la moglie e le due nuore. La moglie di nome Maria e soprannominata Mariuccia era una donnina piccola e magra. Aveva una grande energia. Aveva la stessa età del marito, ma, non ci crederete, faceva ancora la piadina tutti giorni, tirava la sfoglia per fare le pappardelle. Sapeva fare un umidino di pollo che… si mangiava solo con il profumo. Cucinare era la sua passione ed utilizzava materie prime povere per fare piatti succulenti. Per esempio sapeva fare un ottimo sugo con i rifiuti dei carciofi. In ottobre, novembre, le piante di carciofo venivano diradate e delle tre o quattro piante di ogni carciofo veniva lasciata la più bella. Le altre venivano recise, la parte dura con le foglie veniva data in pasto alle mucche, la parte tenera e bianca veniva cucinata in vari modi, in padella con aglio e pomodori, in umido ed appunto sminuzzata per fare un ottimo sugo con la pancetta per le tagliatelle. Non era interessata invece alle attività diffuse fra le sue amiche, cucire e lavorare all’uncinetto. Ovviamente non era più capace di andare a lavorare nei campi ed accudire gli animali. A suo marito pensava lei per molte cose perché sapeva che aveva delle abitudini alle quali mai avrebbe rinunciato. Alla mattina gli portava la colazione che era formata da due tuorli d’uovo freschi da pollaio sbattuti con l’aggiunta di zucchero ed abbondante liquore marsala. Alla sera la cena del Taboni era fatta da un bicchiere abbondante di vino sangiovese nel quale ammollava un pezzo di pane raffermo o piadina del giorno prima. A mezzogiorno era prevista la solita minestrina. Erano piccoli scampoli di sfoglia cotti nel brodo di pollo o nel brodo di verdura. Spesso il vecchio diceva scherzando: se voglio mangiare bene va a finire che mi tocca andare all’ospedale. Quando la Mariuccia faceva la piadina, i primi quadretti bollenti e tolti dalla ‘’tegia’’ erano per i bambini che le stavano vicino come gli uccellini nel nido che aspettano l’arrivo della mamma a bocca aperta. I bambini avevano il compito di portarne uno al bisnonno che se lo gustava. Ogni tanto la Mariuccia che era solita portare un grembiale piegato in due come una bisaccia come si usava per le donne a quel tempo, nascondeva una pesca matura oppure un grappolo d’uva piuttosto che un caco e lo portava al marito di nascosto. Si comportava come se qualcuno potesse rimproverarla. Non era vero, ma a lei piaceva, come a molti anziani, fare le piccole cose lecite di nascosto. Per esempio di domenica chiamava i bambini piccoli dietro il pagliaio, cominciava a razzolare nella tasca e dava loro alcuni spiccioli per comprarela carruba. Ma come si diceva all’epoca, non è tutto oro quello che riluce. Infatti la Mariuccia pur avendo una grande vitalità non ci stava più completamente con la testa. Si muoveva continuamente e parlava senza sosta. Riconosceva il marito e tutti i componenti della famiglia, ma aveva smarrito o molto attutito i sentimenti del dolore, del piacere e della compassione. Per esempio quando in paese si ammalava gravemente una persona molto conosciuta lei non realizzava il fatto e si comportava come se nulla fosse accaduto. Quando si sposò la nipote e fecero una grande festa, la Mariuccia voleva fare la piadina come gli altri giorni e chiedeva perché la nipote era vestita di bianco. Inoltre ricordava benissimo i fatti accaduti molti anni fa, ma dimenticava facilmente i fatti recenti. Ogni tanto nel cuore della notte si alzava, si vestiva di tutto punto e diceva al marito: alzati che andiamo a raccogliere le olive. Il Taboni gestiva la situazione con grande calma ed anziché rimproverarla rispondeva: ora mi vesto e poi andiamo, magari dormiamo altri cinque minuti. La vecchietta si rispogliava e si metteva di nuovo a letto. Tutti in famiglia erano coscienti del fatto, ma la cosa veniva gestita egregiamente perché la controllavano e la lasciavo fare. In fondo non dava fastidio a nessuno e lavorava come una matta in cucina. Il Dottore della mutua il famoso Celletti l’aveva visitata ed aveva concluso che non c’era nulla da fare, era semplicemente la vecchiaia che in alcune persone produce questi effetti. Siamo all’inizio degli anni 60 e ci troviamo nei bei paesi sulle colline romagnole di Cesena abitate da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle ed io ero un bambino al quale sono rimaste impressi molti ricordi. Quell’inverno fu particolarmente freddo. Eravamo ai primi di dicembre e tutta la campagna era ricoperta di neve da ormai 20 giorni che, causa le basse temperature, non ne voleva sapere di sciogliersi. Nella grande casa contadina la camera da letto dei due vecchi era proprio la prima vicino e comunicante con la cucina. In questo modo il calore del camino acceso anche di notte intiepidiva l’aria. Le altre stanze da letto erano più distanti ed allora alla sera c’era bisogno di riscaldare le lenzuola fredde ed umide. Si usava il famoso "prete con la suora". I carboni ardenti messi nello scaldino venivano ricoperti di cenere così il calore si manteneva più a lungo e non c’era il pericolo che partisse una favilla che rischiava di incendiare tutto. Ovviamente come in tutte le case contadine non c’era un corridoio, ma per andare in ogni stanza si attraversavano le precedenti. Di norma il capofamiglia e la moglie stavano nell’ultima stanza. Il vecchio Taboni iniziò a non stare bene. Non aveva febbre ed il Dottor Celletti non aveva rilevato altre malattie manifeste, ma il vecchio deperiva continuamente. Non aveva più appetito e parlava flebilmente preferendo il silenzio, lui che era un gran chiacchierone. Quando alla mattina non voleva fare colazione la Mariuccia si sedeva sul letto e non se ne andava fino a che lui non aveva mangiato almeno una parte dei tuorli sbattuti con zucchero e marsala. La domenica mattina quando le donne uscivano dalla messa delle sette, chiedevano alla Mariuccia come stava suo marito. Lei rispondeva senza tradire apparentemente alcuna emozione: si spegne piano piano come una candela. Un giorno il vecchio chiamò le due nuore, la Sandra e la Idina, le fece sedere sul letto e disse loro lentamente, ma in modo chiaro: io sono arrivato ormai alla fine. Sento che fra qualche giorno partirò. Non mi dispiace perché sono vissuto a lungo e me ne vado senza avere dolore fisico, solo un poco di fiacca. Vi chiedo un piacere. I miei due figli sono invorniti, se non ci foste voi due non sarebbero capaci neppure di infilarsi i pantaloni. Quando non ci sarò più date un’occhiata alla Mariuccia, fate in modo che non si faccia male. E’ brava e quando si impunta non sgridatela, ma datele ragione e piano piano ritorna normale. Fate in modo di comprarvi un podere se potete perché essere contadini mezzadri è un po’ come andare per garzoni. Io non voglio il prete al mio funerale perché sono un repubblicano ed il paradiso l’ho avuto nell’aldiquà, cosa me ne farei di un altro nell’aldilà? Alla Mariuccia piace andare alla messa, quando non potrà più camminare aiutatela voi ad andarci. Alle due donne iniziarono a scendere copiose lacrime mentre il vecchio era stranamente molto sereno. Terminò dicendo: ora andate a fare la broda per i maiali, non sentite come strillano? Passarono alcuni giorni ed una notte la Mariuccia si alzò per andare a prendere la borsa dell’acqua calda perché il marito era freddo. Nel rumore accorsero gli altri, ma il vecchio Taboni era già partito, era rimasto solo il suo corpo inerme e con il viso ancora sorridente che lui si era dimenticato di portarsi dietro. Disse la Mariuccia: vedete come sorride, è morto sereno’’.
Fiorenzo Barzanti web

Contributi per ristrutturare-raddoppiano i fondi casa

Apri
Raddoppiano i fondi per gli interventi di abbellimento dei centri storici dei paesi del Trentino e potranno essere assegnati non solo per sistemare le facciate, ma anche, quando si tratta di prima casa, per le ristrutturazioni interne. Lo prevede un emendamento alla manovra di bilancio 2018, approvata oggi dal Consiglio provinciale, frutto di una proposta avanzata dalle minoranze che è stata accolta dalla maggioranza.
Con l’emendamento vengono assegnati ulteriori 20 milioni per gli interventi nei centri storici che si aggiungono ai circa 26 già previsti, portando dunque ad un raddoppio dell’investimento della Provincia e ad un allargamento delle tipologia di ristrutturazioni che potranno, appunto, interessare anche gli interni delle case. Si prevede, inoltre, che nell’assegnazione dei contributi verrà data priorità alle domande delle giovani coppie e degli anziani.
Per questi, in particolare, i contributi riguarderanno eventuali lavori legati alla rimozione di barriere architettoniche. Naturalmente, nella concessione dei contributi sarà tenuto in considerazione l’indicatore Icef.
Nel corso del 2018, dopo una verifica delle risorse a disposizione, la Provincia valuterà se tale intervento potrà essere esteso, attraverso un nuovo bando, anche alle case che si trovano fuori dai centri storici.
l'Adige.it
segnalato da Giuseppe Mattielli

Non sono più tra noi



No al casello di Cogollo


lunedì 25 dicembre 2017

A tutti Voi e ai Vostri Cari, Buon Natale e serene Festività!








Alleluia

Natale



Anche quest’anno arrivi…
Ma mi chiedo ancora… dove ti abbiamo messo, dove ti abbiamo nascosto?
Ti abbiamo mimetizzato fra le carte lucenti dei regali, fra le fronde degli abeti luminosi; ti abbiamo rinchiuso negli addobbi, nelle palline, in luci di ogni tipo, che si rincorrono nella notte...
Ti nascondiamo fra le stoffe dei vestiti nuovi, negli auguri senza senso, a volte imposti e non sentiti, nel rumore delle pubblicità che riempiono la testa...
Crediamo di averti eclissato, di averTi offuscato, perché sei un Dio a volte scomodo, un Dio che ci chiede impegno costante…
 Invece sei Tu che ti sei messo da parte e ci lasci liberi di cercare, liberi di trovarti, o di nasconderti dietro a tutto questo…
E’ quasi come se TU, giocassi a nascondino con ogni uomo perché vuoi che ci mettiamo alla ricerca negli angoli più nascosti, nei luoghi più scuri, nelle situazioni più disperate nascoste tra le pieghe della vita.
Tu sei nei cuori semplici e puri, sei nei gesti d’amore, nelle parole di conforto, nelle mani tese, nelle spalle che accolgono, negli abbracci che riscaldano, nei sorrisi che danno gioia al cuore.
Sta solo a noi impegnarci per trovarti, non solo stanotte, ma ogni giorno della nostra vita, in ogni nostro gesto e allora sì,        allora  ci sarà la vera gioia!
Quella che viene da un incontro speciale, l’incontro con Te!
Auguro a tutti un buon Natale.
Lucia

S. Natale 2017             

domenica 24 dicembre 2017

El Presepiéto




Un'altra poesia che sa di... antico. 
Una storia...

Vissìn al fogolàre, sula vetrina,
lavora el Nòno, col puteléto;
col mus-cio, i sassi e sora la farina
con poco... xè bele fato el Presepiéto.

Maria e Giuseppe el ghe li mete el Nòno,
el putélo i pastori e l’angioléto,
ma i oci ghe se sara, ghe vien sòno:
“Xè mejo, picinìn, che némo in leto.”

Eco! I pastori se move, le piegoréte le va.
Dal cielo te senti che piove, varda Giuseppe cossa el fa.
L’arna vole scapar via, l’acqua la core dal bon.
Dal cielo vien zo na falìva, sona le ciòche... din, din, don.

E intanto dorme el Putélo
sula paja vissìn ala Madòna,
ride Giuseppe incantà
e i pastori de fora che sona!
I angeli bate le ale,
le ochete le sguassa nel fosso,
sule stradéte de giara
vien vanti un caréto... col musso.

Vissin al fogolare in brasso al Nòno,
ingrotolìo ghe dorme el puteléto.
L’è là vissin al fogo, pien de sòno,
el sogna d’éssar rento al Presepiéto.

El vede le cavréte che le magna,
Gesù Bambin chel gà pena verto i oci,
ghe par de ésser lu quel sula paja
e invesse l’è col Nòno... sui zenòci!

La storia de Natale xè de quele
che semplice se conta ai puteléti.
No serve far discorsi o papardéle,
xè mejo che fasémo i presepiéti.

E invesse de adòbi e de lucéte
metìve là col vostro puteléto,
coi angeli, i pastori e le cavréte
con poco... xè belo che fato el presepiéto.


Adattato da Alessandro Anderloni
fb - Lucio Spagnolo



XE NADALE TUTO L'ANNO

Ogni dì se se vole xé Nadàle...
co te riva un abbraccio improvviso,
se te sé regalare un sorriso,
se te juti qualchedùn che sta male.

Xé Nadàle sia d'inverno che d'istà,
se te ciapi o te dé na caréssa,
se te sé mandar via la tristessa,
de un amico che xé stomegà.

E de serto Nadàle sarà
se la to spala farà da cussìn,
par chi che pianxe un dolore sensa fin,
lù no gà né scadensa, né età.

Ogni volta che nasse un toséto,
co la neve, col sole o se piove,
se un pensiero ancor te commòve,
alòra sì xé un Nadàle perféto.

Se a qualcùn te ghé fé compagnia,
regalàndoghe qualche momento,
che ghe fassa passare un tormento,
se te piase ancora légere poesie,
alora sì xé sempre Nadàle... 
web

....e non si capisce che senza l'amore (il presepio) è una cianfrusaglia che non ha valore.

Er Presepio - Trilussa
Ve ringrazio de core, brava gente,
pè ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore nun capite gnente…
Pé st’amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore


La letterina di Natale

Chi è stata bambina negli anni '60-'70, sicuramente ricorderà le letterine che si mettevano sotto il piatto!
Erano così belle quelle letterine piene di polvere brillantinata...
Ricordo che la maestra ci faceva scrivere in brutta copia, le correggeva e poi le riscrivevamo in bella calligrafia.
Di solito iniziavano sempre con: Cari Mamma e Papà, prometto di essere più buona e di non farvi più arrabbiare e finivano sempre con un vi voglio bene.
Il giorno di Natale a pranzo si nascondeva sotto il piatto del papà, poi lui alzava il piatto e fingendosi sorpreso, diceva: ma che cos'è questa?
Quanta emozione nel leggere quella letterina!!!
Poi si pranzava e si passava il pomeriggio giocando a tombola.
Nell'aria si diffondeva il profumo delle bucce di mandarini messi sul piano della stufa a legna... quanto calore e non solo per il fuoco.
Poi arrivava la sera e si mangiavano gli avanzi del pranzo, i grandi giocavano a carte e noi bambini, anche a Natale, guardavamo Carosello.
Ricordi piacevoli ed indelebili...

Pattinaggio su ghiaccio: non ci sono parole per definirli.

(2) - Cariolantamìnti, Sponciamìnti e...


sabato 23 dicembre 2017

La croce illuminata sullo Spitz

Vieni a vedere anche tu la croce di Monte Spitz illuminata! 🏔️💥

Non perderti questa occasione, solo domani, domenica 24 dicembre, dalle ore 17.30. 🕠


Vecchie case



 Il paese è ancora là,
 a guardia della Valle;
 il torrente che scorre,
il torrente dalle acque chiare
 e dal letto di ghiaia,
 è la voce familiare
 del Paese, da sempre.
 Ma ora il Paese è vuoto,
vive di qualche vecchio
 e di ricordi:
i giovani sono andati
 tutti nel grande mondo,
 sparpagliati e lontani,
alla ricerca di un domani
 differente da vivere.
 E le vecchie case
 dalle imposte chiuse
 sembrano dormire
un lungo sonno,
custodi silenziose
di un tempo passato
ormai dimenticato ...

E sognano.

 Sognan, le vecchie case,
l'irrompere del sole
dalle finestre aperte,
 davanzali fioriti
 e giochi di bambini
nei cortili e risate,
 tra il garrire di rondini
che sfrecciano nel cielo,
e tante luci accese
nelle dolci serate.
Poi, nell'inverno gelido,
sognano un focolare
 scoppiettante, e faville
 che si alzano fulgenti
 con voci di preghiera
 in un tepore lieve,
e all'alba un manto candido,
 un Natale di neve...

Son tutti questi sogni,
storie lontane e belle,
che il torrente racconta,
nella notte, alle stelle.
 Alvise Agostini


Un po' di atmosfera natalizia...

Beata innocenza... troppo bello per non condividerlo, siete d'accordo?

Pensieri in libertà di Andrea Nicolussi Golo

Ho sempre rivendicato la mia apparteneza incoerente, pasticciata, meticcia, sono arrivato a dirmi 100% cimbro,  100% italiano e 100% tedesco e anche molto francese persino un po' svizzero per quanto di questa ultima fetta me ne vergogni un po', non amo gli svizzeri del bosco. 
Non credevo davvero che si sarebbe tornati a parlare di carte e confini e dazi da pagare, mi cadono le braccia e non mi viene niente da dire. Allora ho pensato che forse qualcosa lo avrebbe detto mio nonno paterno; austriaco di nascita e di gioventù, fatto italiano in forza delle armi, emigrante in Vorarlberg, cittadino del Reich germanico nel 1939 nel fiore della sua maturità di uomo in forza dell'inganno. Ramingo per il Reich dopo il 1942 senza un luogo a cui approdare,  apolide nel 1943. Gli chiedo cosa ne pensi, mentre, nel 1954 appena ritornato italiano, aspetta paziente l'apertura dei seggi elettorali per votare finalmente, dopo tanti anni, per la prima volta l'amato partito socialista del suo Nenni. Nonno? "Azza gian z'schaiza" ecco l'ha detto... mi scuso per lui "che vadano a ca....re".
Mio nonno materno per fortuna è più mite e educato, nato anche lui austriaco combattente con valore nella guerra grande che sembrava non finire mai, diventato italiano in forza della sconfitta, non lo rimase a lungo, francese in forza della fame, rimane storica la frase detta alla nipote mentre al Tour incitava gli italiani "Forza Binda, forza Guerra siamo tutti italiani" sollevandola per un orecchio le sibilò tra i denti: "Porta rispetto verso il Paese che ci sfama". Tornato italiano a causa dell'aggressione italiana alla Francia senza altro che i vestiti addosso e le bocche da sfamare, prima di morire a 53 anni, si toglie lo sfizio di fare a pezzettini piccoli la tessera del fascio che la moglie attraverso il maestro gli aveva fatto avere e che lui mai avrebbe chiesto, a costo di morire di fame. Mandò la figlia a restituire la tessera fatta a pezzettini, scusandosi di non poterlo fare di persona per il suo stato di salute ormai precario.
Nonno? "azza gian alle z'schaiza". Credo che adesso si esageri se anche il buon nonno Pirminio Pompeo si esprime così, non c'è più religione.
Mia nonna materna di certo non dirà parole brutte, lei mi ha allevato è nata austriaca nel 1899 avrebbe compiuto sedici anni tre giorni dopo che il forte italiano del monte Verena incominciò a sparare sul suo piccolo paese, ma lei e la sua famiglia di schiatta italiana e irredentista erano già sulla strada del profugato, nessuno seppe mai dire perché le famiglie italiane lasciarono il paese due giorni prima del bombardamento. E mai si seppe come abbia fatto a sposare un austriaco e per giunta anarchico.  Nonna? "Lasciami perdere non so nulla a quel tempo ero in Francia..." Nonna? "gea z'schaiza" vai a ca...re. Questa me la sono voluta, lo sapevo che qualunque cosa le chiedessi mi avrebbe risposto che lei era in Francia, laggiù vicino al Santuario di Nostra Signora della Salette lei e sua figlia (mia madre)  hanno lasciato l'anima. Francesi erano e francese è stata l'ultima lingua di mia madre.
Mia nonna paterna è morta presto, tante cose le furono risparmiate.
E mio padre, troppo mi costerebbe dire di mio padre, nato italiano divenuto cittadino del Reich tedesco in forza della "scelta" di suo padre che voleva risparmiargli la guerra. A 18 anni e qualche ora veste la divisa della Werhmacht. Il resto è Storia...



E allora signori, così sicuri dei vostri diritti, delle vostre mefitiche identità di cui vi riempite la bocca, di cosa state parlando? 

A nome di chi state parlando? I miei spiriti mi invitano a mandarvi serenamente a ca..re, ma non lo farò, siamo gente di confine, siamo pietre che rotolano, non si sa da quale parte del displuvio, l'Adige o l'Inn, il Danubio o il Po, l'Adriatico o il mar Nero... lasciateci la libertà di rotolare.

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...