sabato 30 dicembre 2017

Buon anno 1960

Nella stalla appesa al muro scrostato c’era la locandina di Sant’Antonio da Padova protettore degli animali. Aveva una lunga barba bianca ed un bastone. Ai suoi piedi c’erano maiali, galline, asini, cani e gatti. La locandina veniva sostituita, sempre uguale, dopo alcuni anni ed era quindi ingiallita, sporca e molto sciupata. In alto veniva inserito un ramo di ulivo che era sostituito ogni anno nella domenica delle palme. Non è dato sapere se il santo proteggesse veramente gli animali dalle malattie, ma per i contadini gli animali erano talmente importanti che facevano di tutto per proteggerli. Nella cucina una bella madonna di gesso di colore azzurro faceva bella mostra sopra la credenza con vetrina. A volte aveva appeso un piccolo rosario al collo. Poteva capitare di vedere dove si era rotta cadendo perché si vedeva l’incollatura. I credenti la guardavano con devozione, gli altri non la degnavano di uno sguardo, ma nessuno si permetteva di rimuoverla. Nella camera da letto era appeso sopra il letto il quadro della Madonna con il solito ramoscello d’ulivo. Nella specchiera del comò erano appesi al vetro due o tre santini, uno era sempre di Santa Maria Goretti. Nella cantina era appeso bello e grande nella porta all’interno il famoso Lunêri di Smémbar scritto in dialetto. Ogni contadino lo possedeva. Era da anni il calendario unico dei contadini. C’erano le fasi della luna durante l’anno, l’agenda dei mesi, le previsioni del tempo, i proverbi dei nonni, i mesi adatti per seminare le colture. Insomma era una guida utile ed anche simpatica. Spesso era in cantina perché per travasare il vino occorreva osservare attentamente la luna, non doveva essere crescente o piena. Altri lo appendevano nella cucina o sotto il portico. Quella mattina, era l’ultimo dell’anno, il contadino Zvanon l’aveva avuto in regalo dal negozio che vendeva la granella degli animali in piazza ‘’dal garneli’’ (davanti alla chiesa di Sant’Agostino a Cesena). Lo guardava e lo commentava con la famiglia. Il dialetto con il quale era scritto era faentino ed abbastanza diverso da quello cesenate, ma si capiva bene. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle ed io ero un bambino al quale sono rimasti impressi molti ricordi. Anche Zvanon era un contadino mezzadro. Viveva con la moglie Lora e la mamma vedova. Avevano due figli, una ragazzina di sedici anni ed un bambino di dieci. Zvanon era famoso perché era un ‘’gran zviton’’ (un gran civettone). Si diceva di un uomo che era galante con le donne ma in modo talmente esagerato da essere detestato. Era invece molto geloso della moglie, tipico atteggiamento degli ‘’zviton’’. Di lui si diceva anche ‘’un’ariva ala siva’’ (non arriva alla siepe). La siepe che delimita il confine dell’aia è bassa, circa un metro. Quando si faceva riferimento ad una persona non considerata troppo furba si diceva che non arrivava alla siepe come intelligenza. La Lora era una donna semplice e molto bella ed aveva l’abitudine, all’epoca molto rara, di salutare gli amici con un abbraccio o un bacio sulla guancia. Quel giorno, era l’ultimo dell’anno, nella famiglia c’era un ‘’gran smasament’’ (erano molto indaffarati). La ragazzina che si chiamava Rossella aveva chiesto per la prima volta di andare a ballare al veglione di fine anno che si teneva a Saiano, paese vicino, nella sala del circolo dei repubblicani. Saprete che in campagna erano frequenti in inverno le feste da ballo. Si tenevano di sera nei vari paesi e la musica terminava a mezzanotte. Le ragazze ed i ragazzi confluivano dai paesi vicini. In alcune serate speciali c’era invece ‘’e viglion’’ (il veglione). L’orchestra del liscio era quotata, la musica terminava ben oltre la mezzanotte con una sosta intermedia. Accadeva per esempio l’ultimo giorno dell’anno e l’ultimo giorno di carnevale. Il problema era che la Rossella andava a ballare per la prima volta ed i suoi genitori non avevano mai gestito un tale evento ma, come si dice, molte cose vengono naturali e non c’è bisogno di ingegnarsi troppo ad impararle. Alle tre del pomeriggio era arrivata la vicina di casa Giuliana che era l’amica del cuore di Rossella e di un anno più grande. Le due amiche passarono il tempo a farsi belle. Si truccarono leggermente, si pettinarono a vicenda ed indossarono due vestitini fantasia niente male. La mamma nel frattempo aveva sfornato due grandi ciambelle che spandevano un profumo incredibile per tutta la casa. Verso le sette di sera Zvanon preparò l’asina con il ‘’baruzen’’ (piccolo e snello biroccio) e dalla cantina prelevò due bottiglie di albana di quella buona. Fece salire la moglie e le due ragazze. Erano tutti imbacuccati perché era un gran freddo e la campagna era tutta innevata. Per fortuna le strade erano percorribili. Arrivarono a Saiano dopo 40 minuti. Nella grande sala c’era già molta confusione. La mamma si sistemò sulle sedie vicino alle altre mamme in fondo alla sala con la sporta di paglia dove c’erano le due bottiglie di albana e i due filoni di ciambella. A mezzanotte l’orchestra fece una pausa di mezz’ora. Tutti si precipitarono dalle mamme a mangiare e bere quel ben di dio. In particolare modo ‘’i filarini’’ fecero il pieno. Verso le due di notte arrivò il babbo della Giuliana con l’asino e portò a casa tutti. I due babbi si erano dati il cambio, uno per l’andata e l’altro per il ritorno. Le ragazze si erano divertite un mondo e le mamme avevano fatto il loro mestiere che era quello di ‘’badare’’ le figlie. Dimenticavo, Zvanon dopo il viaggio di andata si era fermato nel circolo dei repubblicani per una partita a carte, poi era rientrato a casa. Era andato in cantina ed aveva prelevato alcuni grappoli di uva bianca appassita appesa. Con le forbici aveva fatto dei ‘’garavel’’ e li aveva messi in due cesti. Uno lo avrebbe preso alla mattina presto il bambino che andava ad augurare ‘’buon anno’’ ai vicini, l’altro serviva per contraccambiare l’uva con chi veniva ad augurare il buon anno. Il primo giorno dell’anno era bene incontrare come prima persona un uomo, avrebbe portato fortuna. Le donne di norma non uscivano di casa. Quelle che andavano alla messa alla mattina presto rientravano in fretta e non si fermavano per fare delle chiacchiere. Comunque chi arrivò ad augurare per primo il ‘’buon anno’’ ? il contadino Zchinela che era il loro migliore amico. Entrò senza bussare ed urlò: buon anno. Lo accolsero con simpatia e Zvanon volle dire una delle sue stupide battute: ‘’a sem propi sicur che tci un oman?’’ (siamo proprio sicuri che sei un uomo?). Pronta fu la risposta:’’se ta ni creid dmandal a la tu moi’’ (se non ci credi chiedilo a tua moglie). Momento di imbarazzo che fu sciolto da una grande risata. E la Lora gli buttò le bracca al collo baciandolo per fargli gli auguri.
Fiorenzo Barzanti

1 commento:

  1. Non era Sant'Antonio da Padova quello raffigurato nella locandina ma bensì Sant'Antonio Abate che si festeggia il 17 gennaio e che da noi viene comunemente chiamato Sant'Antonio del masc-eto

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