mercoledì 8 dicembre 2021

Santa Barbara valpegaroise, l'Immacolata imperiale e il mandolato molo...



[Gianni Spagnolo © 21N4】
Il 4 dicembre ricorreva la festa di Santa Barbara, una devozione molto sentita nella nostra zona, essendo questa Santa patrona di minatori, artiglieri, scalpellini e muratori, attività allora praticate da molti paesani, specie sulle rotte dell’emigrazione. Lo era anche dei marinai, ma questo patronato ci era estraneo. Santa Barbara appartiene infatti a quel gruppo di quattordici santi detti Ausiliatori, alla cui intercessione la tradizione popolare attribuisce una particolare efficacia in determinate necessità. Era invocata contro la morte improvvisa e perciò in tutte le circostanze di lavori pericolosi, com'erano infatti quelli citati, anche se, a quel tempo, lo erano un po' tutti. 
La devozione è attestata per la prima volta in Germania nel XIII secolo, per poi  diffondersi notevolmente nelle nazioni limitrofe. Santa Barbara aveva una nicchia e una statua anche nella chiesa parrocchiale, prima che la scultura venisse spostata verso l'ingresso. È inoltre titolare di una via, l’Arèta, dove però stranamente non ha un capitello, né si ha memoria che ci fosse mai stato. Una sua nicchia votiva è  invece collocata sulla curva maggiore della strada del Monte di Rotzo, risalente al 1901, come indicato dalla data incisa nella roccia.  L’immagine vi fu incastonata proprio in occasione della sistemazione della strada per adattarla al traffico dei primi mezzi motorizzati e migliorare così le comunicazioni con l’Altopiano. 
È tuttavia a Valpegara che Santa Barbara ha la sua sede ufficiale in quella strana costruzione sull'angolo della piazzetta che non è capitello né chiesetta, ma un originale connubio fra i due. Il 4 dicembre in quella frazione era festa grande e vi si teneva una piccola, ma frequentata sagra. Ho qualche vago ricordo d’essermi recato a quella festa in uno dei miei primi lunghi viaggi in auto fuori dai confini del paesello. Non era la devozione a Santa Barbara a muovermi, quanto la consapevolezza di trovare il banchetto del mandolato molo coj bajiji, oltre a quelle semplici attrattive che allora erano immancabili in ogni sagra paesana. 
A Valpegara era sconsigliato andarci a piedi, perché eravamo troppo piccoli per affrontare la Provinciale, pur se, rispetto ad oggi, era quasi priva di traffico; così s'aspettava con ansia l'otto dicembre per recarsi a piedi al Casotto per la festa dell'Immacolata. Spesso c'era già la neve e un frédo béco e avventurarci su per le Sléche era una piccola impresa di indipendenza; specie attraversare al ritorno, col buio, il ponte sulla forra della Torra. La molla che ci spingeva ad intraprendere il viaggio negli ex-Domini Imperiali, manco a dirlo, neanche stavolta era devozionale, quanto il furgoncino accanto alla fontana che vendeva el mandolàto molo coj bajiji.  Si riusciva così a mettere a dolce frutto le cinquanta lire ricevute dalla nonna per  la Madona con le altre cinquanta estorte faticosamente ai parenti, oppure guadagnate con qualche servizio durante l'anno. Si prendeva un pezzo piccolo, rapportato alle nostre risorse, tagliato con la paletta e stciafà sulla carta velina con le sue code lunghe e appiccicose che neanche la copertura col pan dj angeli riusciva a contenere. Al pan dj angeli noi eravamo abituati, dato che aiutavamo le suore a preparare le particole e ne mangiavamo avidamente gli sfridi, ma il contenuto era proprio straordinario, con quella sua dolcissima e molle consistenza che contrastava con la croccantezza dei bajiji. Arrivavamo a casa tuti inpaciolà e infreddoliti, ma felici.
A me il mandorlato non piace granché, ma di quello molo coj bajiji del Casotto conservo un ricordo goloso e struggente. Riesco ancora a commuovermi se penso a quelle  piccole innocenti golosità, che si gustavano qualche volta all'anno, alla strada che bisognava fare per procurarsele e a alla fatica di racimolare quella palanca.




2 commenti:

  1. Grande Gianni,riesci a risvegliare anche i ricordi piu' impolverati della mente.
    Certamente per i bociasse di oggi è difficile gustare qualcosa visto che ogni giorno possono avere anche il superfluo!

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  2. Odette Fontana-Favre9 dicembre 2021 alle ore 09:24

    Grazie Gianni. La casa dietro la "chiesetta" era la casa dei nonni paterni prima che andassero vivere nella casa "alle baracche" sul stradon. Mio padre è stato l'ultimo a nascere in questa casa(1904), poi il fratello Francesco e le sorelle Romana e Norma nascero, giù, nella nuova casa.
    Mi piacerebbe conoscere più particolari sulla storia di questa chiesetta, se qualcuno sa.

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