【Gianni Spagnolo © 21M17】
“Giugno ha la falce in pugno”, recita il detto. È questo il mese dalla mietitura, del sudore, della fatica nei campi dorati dalle spighe al vento, l’evento più atteso dell’anno.
Qui da noi, in verità, non è che avessimo terra dalla vocazione cerealicola, né produzioni significative di frumento; era tutto basato su coltivazioni familiari destinate al consumo domestico. Ogni famiglia lavorava il prodotto in proprio con mezzi tradizionali, finché, dai primi anni Sessanta, non s’impose la meccanizzazione delle operazioni di trebbiatura, cancellando i secolari riti. Prima di allora, infatti, per separare il chicco dalla pula, le donne dovevano batterlo sul sóco o su una tóla da lavare e poi recarsi in posti ventosi e lanciare in aria il grano, in modo che la bula (pula), più leggera, si disperdesse.
Ogni anno, verso la fine di giugno, al tempo che maturavano i piri sampierùi, arrivava in paese puntuale la machina del forménto. Veniva su da Thiene, dai campi piani di Rozzampia, dove c’erano produzioni di cereali che giustificavano un simile investimento; era una Laverda rossa, mi pare.
Giugno per noi bambini era magico: rappresentava la fine della scuola, la libertà, i giochi all’aperto fino a tardi, la sagra de San Piero, le giostre e… l’appuntamento con la la machina del forménto…
Veniva posizionata al Campo del Comune ed era tassativo per noi bociasse convergere sul posto per assistere alle operazioni, stando però a debita distanza per non rischiare di essere arrotati da quelle cinghie ballonzolanti che trasmettevano il moto. Allora si faceva a gara per scegliere il posto migliore sui vari muretti, per avere una più ampia panoramica. Trascorrevamo ore a guardarla e a seguire quei ritmi cadenzati di alimentazione e quel castigo di macchina che faceva un fracasso infernale.
I carretti carichi di covoni di grano erano tutti in fila giù per Via delle Alpi e su verso il casélo; talvolta anche giù per la Pontàra, dove tutti aspettavano pazientemente il proprio turno. Nelle strade c’era vitalità e allegria. La trebbiatrice rimaneva in paese all’incirca una settimana, in base al lavoro che doveva fare. Quando poi partiva, rimanevano a terra delle scorie di frumento, che qualche famiglia provvedeva a pulire, così ne approfittava per darle alle bestie di casa. L’odore della pula e della paglia riempivano per giorni tutto ciò che stava lì intorno e la polvere si depositava in ogni angolo. Il frumento veniva portato poi nelle aie e steso ogni giorno al sole per esser essiccato. La paglia veniva riconsegnata al proprietario che l’usava per fare il letto alle bestie.
La fase successiva era recarsi al mulino dei Michele per far macinare il grano, quindi si portava a casa la farina in sacchi di canapa per poi riporla nelle madie di legno. I soentrìni i se doparàva par far la fugassa o i bevarùni par le vache. I soéntre, invesse, i ghe li dava ai mastci.
Ricordo molto bene la macchina del Frumento proprio perché stava davanti a casa mia. Quel profumo più che odore lo sento ancora da quando abito in un piccolo paese del Sud dove di frumento Ce n'è molto, e ogni volta mi ricorda quello di Valdastico. Tempo indimenticabile!
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