【Gianni Spagnolo © 21M4】
Sono ormai spariti quasi tutti, coperti da cemento e asfalto o lasciati in balia della vegetazione. Sono stati per secoli le vie percorse dai nostri vecchi, il collegamento fra i masi, le contra’ e i paesi; le strade della fatica e dell’incontro. Sono i salìsi, l’unica forma di pavimentazione stradale in uso da noi fino al XIX secolo inoltrato. Hanno sfidato i secoli e le intemperie, manutenuti regolarmente e con cura, per essere alla fine ricoperti di quel moderno scempio che è il cemento. Erano belli i salìsi, belli perché toglievano alla natura solo il necessario, lasciandola occupare gli spazi fra i sassi, tanto che in primavera si ricoprivano di timida erbetta, quel tanto che bastava a non farli apparire estranei al paesaggio. Da noi non funzionavano le strade sterrate; nel nostro mondo obliquo le intemperie e il dilavamento meteorico le avrebbero distrutte nel volger di poco. Il salìso invece era funzionale al territorio, resisteva al dilavamento, dava forte appiglio alle bestie da soma e da tiro, durava a lungo. Anzi, migliorava con l’uso, lucidando i sassi e favorendo lo strascico. Pavimentate a salìso erano pure le are, che erano un tutt’uno con le strade di collegamento, ma anche le stalle e gli andî. Lo spazio pubblico era sostanzialmente tutto a salìso; facile da pulire, drenante e stabile. Tanto i sassi non riuscivano neanche a macàre i piè, che erano protetti dalla rigidezza delle sgàlmare. Sui salìsi a becolàva le galine, mentre si svolgeva la vita di contra'.
Si, perché non è che i nostri vecchi non conoscessero la ruota, ma la usavano poco, giusto l’indispensabile. Le ruote erano costose e delicate, ci voleva un sacco di tempo per fare una ruota, ci voleva il legno giusto e il ferro per il cerchione. Ci voleva l’assale, pure di ferro; almeno i perni. Tutta roba che allora era rara e cara. Poi la ruota era capace di farla solo il ruaro, non era cosa da arrangiarsi in casa con quel che c’era. Meglio la ìdola, semplice, leggera, facile da fare e da gestire e … facile da portare in salita. Du branchi de orno, cuatro sate de fagaro e du traversi de albarela: fata la ìdola! Cuatro pache par smontarla e portarla in su e altre quatro pache par montarla e menarla in do; tuto chìve!
Ìdole di tutte le dimensioni, per i carichi leggeri e per quelli pesanti, per essere governate dagli uomini, ma anca dale fémene e dai boce. N’ocorea mia la gneve ol giasso par ingasiar via l’idola, bastava strassinarla sul salìso. Ecco allora che i ciottoli di fiume, costantemente levigati dall’uso, consentivano l’ampio impiego degli slittoni in ogni occasione, così come lo strascico a mano di fascine, stanghette e altre cose che si prestavano allo scopo. C’era il mondo della ruota, della pianura, che rugolava e c’era il nostro mondo, quello della montagna, che slissegava. D'altronde nemmeno gli Incas usavano la ruota, ma se la cavavano egregiamente lo stesso.
Ho sempre amato i salìsi, non so perché, così, d'istinto. Forse perché plasmavano il territorio senza violentarlo, integrandosi con grazia. Forse perché ho fatto in tempo a percorrere l’ultimo bel saliso del paese, quello delle Fontanelle, prima che fosse divelto dai lavori della fognatura e poi ricoperto d’asfalto. Guardare quello dei Lucca poi, mi mette una tristezza infinita. Era bello quello dei Lucca; raccontano che stiàni fosse fiancheggiato da una schiera di grandi nogare, mentre ora chiude lo stomaco. Era proprio necessario quello scempio? Non si poteva far le cose con un briciolo di più grazia? Stesso dicasi per il saliso dei Fodàti, forse il più bello di tutti. Era proprio necessario cementarlo? Ormai lo praticano solo gli spiriti dei morti e loro erano abituati al salìso. Per tacere di quello dei Costa, dei Magli, .. e di tanti altri. Se i nostri vecchi, che pur non badavano tanto all’estetica quanto alla funzionalità, riuscivano a fare tracciati armoniosamente integrati con l’ambiente, perché noi, che quelle vie non le usiamo neanche più, ci sentiamo in dovere di coprirli di brutture? Osanniamo la Singela come monumento del nostro retaggio e non ci accorgiamo che per una buona metà è un autentico scempio di cemento perfino con l'armatura esposta. Non ci voleva un genio a capire che l’acqua avrebbe scavato per sotto e che finirà per scalzare anche il cemento. Certo, non c’è più Valente, che se ne prendeva cura armato di piccone, liberando i bocarùi e mantenendole un accettabile decoro. Do sbailà de cimento e via, cavà el pensiero! Nel frattempo la parte alta va a remengo e forse è meglio così. Lasciamo che disfi la natura ciò che l'uomo non sa curare.
Un tempo, mi pare che nei comuni esistesse l’Ornato Pubblico, ossia uno strumento urbanistico a tutela del decoro del paese e delle sue pertinenze: c’è ancora? Immagino che sia quello che ti impedisce di dipingere la facciata della casa a pois, di mettere i lamieroni al posto dei coppi oppure un cesso esterno se ti va di vivere all’antica. Se tanto mi dà tanto immagino dovrebbe anche dire la sua sulle tante porcherie che sfigurano il paese.
Penso che dopo aver fatto di tutto per coprire, forse si potrebbe cominciare a scoprire. Perché tanti tratti di salìso ci sono ancora, sono solo sepolti.
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