【Gianni Spagnolo © 21M10】
Fra i vari personaggi del nostro locale mondo di mezzo, l'Orco è forse il più universale e conosciuto, dato che accompagna da sempre l'immaginario di molte culture e vive anche nelle metafore del linguaggio comune.
L’Orcus dei latini era il dio della morte e despota infernale, ma anche un essere forzuto. Il Kronos dei greci era il dio delle origini, mentre lo Scita abitava ai confini del mondo. Gli Etruschi vi associavano l'abisso, il dio della morte che inghiotte il sole. L'orco s’è infine trasferito dagli inferi pagani, dove era sinonimo di terrore, alle fiabe, dove vive una vita più dignitosa, tranquilla e appartata; è diventato addirittura più umano e simpatico in qualche trasposizione cinematografica.
Le sue caratteristiche rimandano comunque al mondo degli inferi dal quale proviene: ha un aspetto grottesco, selvaggio e ripugnante, quasi quello d’una bestia; mangia i bambini, rapisce le fanciulle e le porta nel suo rifugio oscuro. Si serve allo scopo della sua forza bruta e di un fiuto infallibile per la carne umana, per cui riesce ad individuare le prede a distanza senza farsi scoprire. Sostanzialmente incarna il Male, qualcosa da cui fuggire. Anche l’Orco tuttavia, sottostà alla descrizione che ne da chi ne racconta al storia, per cui non è mai lo stesso e le sue caratteristiche accessorie possono variare e di molto.
Certo è che l’Orco ha una voce cavernosa e tonante che passa i monti e le valli ed è parecchio peloso. Talvolta si serve di oggetti magici e di sacchi dove infila bambini e bambine. Tuttavia è molto stupido e non è difficile imbrogliarlo, tanto da riuscire perfino ad eliminarlo. L’Orco è dunque la commistione di molti elementi e la sua figura in una comunità rappresenta la morte, il pericolo, l'orrore e la malvagità. Questo personaggio è dunque una rappresentazione dell'immaginazione collettiva, trasversale alle culture, che si arricchisce delle immagini prese dal folklore popolare di cui personifica le paure.
L’Orco della nostra tradizione ripete grossomodo questi cliché, con in più il fatto che aveva una valle riservata tutta per sé: la Valle dell’Orco, appunto. Un incavo corto e ripido, che originava da una sorgente cristallina sotto la conca di Tinasso e s’inabissava nei prati dell’Astico. Sembrava nascere dal nulla e sparire nel nulla, perciò qualcosa di misterioso sicuramente l’aveva. Costituiva il margine naturale del paese a mezzogiorno e anticamente pare lo dividesse dai vicini di Rotzo, con i quali sorsero accanite contese proprio per lo sfruttamento del conoide detritico degli Àldere. L’attraversavano due guadi che portavano in paese e perciò era un passaggio obbligato, reso per di più pericoloso dal salto di due cascatelle, le uniche del paese con costanza d’acqua.
Ecco che dunque l’Orco assumeva da noi quel suo originario e antichissimo compito di presidiare i passaggi delle valli. Il timore che incuteva impediva alle persone più fragili, particolarmente i bambini, di avventurarsi oltre quel limite, di andare verso l’ignoto. Come per la Vecia, l’Orco assolveva a quella primitiva funzione educativa. Erano in realtà tre i varchi di quella valle, dei quali il primo, quello del sentiero che congiungeva i Fodàti alla strada dei Salti, era effettivamente tenebroso quanto suggestivo, specialmente quando quella sorgente scaturiva libera e vigorosa, non ancora intubata nell’acquedotto. Chissà se c’era ancora l’Orco, quando alla fine del XVII secolo gli Slaviero scesero da Rotzo e s’insediarono proprio lì vicino. Probabilmente sì, e i nuovi venuti dovettero scendere in qualche modo a patti con il signore del luogo. Fatto sta che edificarono la loro contra’ con l’aspetto di un castello medievale appeso alla montagna, particolarmente affine all’iconica rappresentazione del castello dell’Orco delle favole. I la saéa longa, stiani, carimìe!
Nessun commento:
Posta un commento