Un Paese in lockdown - C’è (dolce) vita là fuori, ma serve un nuovo modello italiano
Flavia Perina-linkiesta
La pandemia ha privato l’Italia del suo genius loci, e cioè di quel
“nostro” modo di goderci la vita. Ma se proveremo a fare gli adulti e ad
ascoltare le donne, potremo ricostruire economia e tessuto sociale proprio
sull’inclinazione alla bellezza. Sul magazine de Linkiesta con il New York
Times
L’Italia pre-pandemia era un Paese disorganizzato, impoverito, ma ancora
felice di essere Italia perché conservava un’opportunità di “dolce vita” per
tutti grazie al clima, alla bellezza gratuita del mare e delle montagne, alla
cultura della piazza che da sempre, qui, mette il divertimento e la socialità
interclassista alla portata di chiunque. Senza quel tipo di “dolce vita” –
stroncata dal Covid – l’Italia vede deperire il suo genius loci, lo spirito dei luoghi che informa le
biografie individuali e collettive. E si capisce perché nella temperie del
lockdown gli italiani abbiano litigato soprattutto parlando di discoteche,
ristoranti, cene, cenoni, impianti sciistici, raduni familiari e assai meno di
scuola o lavoro. La qualità del tempo libero, qui, non è un accessorio. La
qualità del tempo libero, qui, è la vera risposta alla domanda che molti
italiani si fanno da anni: «Perché resto in Italia? Perché non me ne vado
altrove?».
Il 2020 ha richiesto al Paese uno strappo culturale superiore a ogni altra
nazione europea e il 2021 alzerà ulteriormente la posta. Una parte non piccola
dei cittadini ha visto la sua way of life seriamente
minacciata o addirittura azzerata. Niente più weekend al mare, niente più
giornate sulla neve. Niente più eventi, mostre, prime teatrali, presentazioni
di libri, shopping, luoghi dove esercitare l’arte dello stare al mondo. Niente
più raduni famigliari e uscite di gruppo, che in Italia non sono solo il
nocciolo rituale di una tradizione, ma l’obbiettivo delle giornate e delle
settimane: si lavora, anche duro, sapendo che alla fine ci si siederà a tavola,
con gli amici, con i parenti, poco importa se per la cena esagerata o per la
merenda vegana.
La propensione nazionale per questo tipo di socialità è stata enormemente
rafforzata dagli anni della crisi. I bassi stipendi e la precarietà del lavoro
– il salario medio degli under 30 è di 830 euro al mese, ai limiti della soglia
di povertà – hanno reso proibitivi progetti di lungo periodo come comprare o
affittare una casa, costruire una famiglia, accendere un mutuo per aprire
un’attività, ma, fuori da queste prospettive, rappresentano un considerevole argent de poche. Se vivi ancora coi genitori, se non
devi pagare le bollette o le spese per un figlio, 830 euro sono un buon budget
per il divertimento. Insomma, la “dolce vita” italiana non è solo figlia di una
propensione edonistica, ma anche di un modello economico in declino, una sorta
di premio di consolazione per le scarse opportunità offerte dal sistema Paese.
Senza il benefit “sole cuore amore”,
nel 2021 delle domande indecifrabili (Basterà il vaccino? Finiranno le
restrizioni? Sopravviveremo ai licenziamenti di primavera?) l’Italia è
destinata fatalmente a rivelarsi ai suoi cittadini come una nazione dove è poco
conveniente vivere, lavorare, fare progetti. Un Paese triste. E infatti i
due effetti del virus già statisticamente determinati sono entrambi legati
alla depressione individuale e sociale: un nuovo crollo della natalità e
un’accelerazione dell’emigrazione all’estero. L’Istat prevede un record
negativo degli indici demografici: dai 420mila nuovi bambini registrati nel
2019 (la quota più bassa in 150 anni) si scenderà addirittura a 393mila, forse
anche meno. Gli scenari sull’emigrazione sono più confusi. Tra il 2019 e il
2020 è aumentata dell’8,1 per cento e l’opinione generale è che alla ripresa
della mobilità tra nazioni una quota ben superiore farà le valige e se ne andrà
in cerca di miglior fortuna.
Entrambi i fenomeni
vedono come “parte decidente” le donne, che in Italia sono state penalizzate
dall’epidemia molto di più rispetto agli uomini, visto che è toccato a loro
sopportare il maggior peso della chiusura delle scuole e dell’impraticabilità
della sanità “ordinaria”, trasformandosi in badanti o baby sitter a tempo
pieno. Il Recovery Plan offre loro scarse prospettive: anche se andasse in
porto nei tempi brevi, è tutto puntato sulle infrastrutture e quindi su lavori
quasi esclusivamente maschili. Perché restare? Perché azzardare un figlio in
queste condizioni?
E tuttavia il 2021
porta con sé anche un’altra potenzialità, un possibile choc post-traumatico di
segno diverso, in politica e nella società. Siamo stati il Paese più incline a
cavalcare le futili rivendicazioni populiste, quando sedevamo al tavolo
dell’aperitivo inveendo contro gli immigrati e la perfida Europa, immaginando
impossibili autarchie che ci avrebbero reso tutti più ricchi e più felici. Il
Covid potrebbe accelerare l’uscita da questa infinita adolescenza obbligando
gli italiani a diventare adulti, a rivedere le priorità e gli stili di vita
nonché le diffuse maldicenze sull’Unione matrigna. E non è impossibile che la
ricerca di “dolce vita” prima affidata all’aggregazione metropolitana si
ricollochi progressivamente altrove. Ad esempio, nelle opportunità che apre lo
smart working a una nazione di borghi spesso bellissimi e ben collegati, dove
sarebbe possibile insediare non tanto un utopico ritorno ai vecchi tempi, ma un
modo nuovo di vivere la modernità, di attrarre investimenti e capitale umano.
Certo, serve un modello. Un’idea di Paese che associ al tran tran dei
garantiti (i pensionati, i lavoratori pubblici a reddito certo) nuove
prospettive per gli altri e soprattutto per le donne, che potrebbero
qualificarsi come vero motore della resilienza. Un progetto che traduca in
realtà l’ispirazione green dei
finanziamenti europei – un’ispirazione che sembrerebbe fatta apposta per noi –
e non sciupi le enormi opportunità economiche del Next Generation Eu in
ambizioni modeste o addirittura fraudolente. Il genius
loci italiano, cioè l’inclinazione alla socialità e alla
bellezza, potrebbe addirittura uscirne irrobustito, e la domanda “Che ci faccio
qui?” potrebbe trovare nuove risposte, più soddisfacenti della vita da eterni
vitelloni felliniani che sembrava il nostro destino.
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