...e lo “STAMPO DELLE MORTANDELE”
Era questa la stagione, in cui, dopo aver ricevuto il privilegio di lunghi mesi di servizio gratuito, allevato a farinaccio e crusca, a patate lesse, a scoro (siero del latte) e con ogni altro avanzo commestibile della casa, il maiale doveva essere sacrificato e insaccato per il bene della famiglia… Un sacrificio che, nei nostri paesi, rendeva questo periodo quasi “sacro!”
Il maiale era iniquamente considerato un animale “sporco”, per le sue abitudini, non certo fini, di rotolarsi nel fango e nel suo stesso sterco, ma era invece la “musina” (il salvadanaio) per ogni nostra famiglia perché costituiva il companatico per alcuni mesi. Infatti, in questa stagione fredda e priva di ogni altro frutto della terra, quando persino le galline rallentavano o smettevano di fare l’uovo, rimaneva solo lui perchè, con due fette di salame e quattro fette di polenta o con un buon piatto di patate lesse, garantiva sostentamento alla nostra gente.
Il momento del “far su el mas-cio” era un rito, una cerimonia, quasi una solennità. All’ultima fatica, alla triste sorte del maiale, partecipava tutta la famiglia. I lavori iniziavano al mattino, quando ancora era notte, con l’accensione del fuoco sotto alla “broa” un grosso pentolone che conteneva centinaia di litri d’acqua che doveva scaldarsi e quasi a bollire per poi “broare” el mas-cio. Il nonno o gli anziani di casa si ponevano con una seggiolina vicino al grande calderone per tenere sempre alimentato il fuoco in modo che l’acqua non smettesse di bollire. Si preparava poi la “multra” che agli occhi di noi bambini sembrava una rudimentale cassa da morto e quello era: un grande cassettone di legno dentro il quale veniva posto il maiale appena ucciso per essere ripulito, con l’acqua bollente, e raschiato con grandi coltelli fino a togliere ogni pelo e a farlo diventare lucente e roseo come un enorme confetto!
Non mi piace raccontare il momento dell’uccisione per pietà del povero maiale… solo ricordiamo tutti le grida strazianti di questo compagno di casa che per mesi era stato con noi, e per i prossimi mesi lo sarebbe ancor stato, sebbene in forma totalmente diversa!
Il maiale veniva poi squartato e appeso a testa in giù per la necessaria frollatura e dopo alcuni giorni… ecco la festa.
Cucine piene di carne di ogni tipo, uomini con le maniche “fatte su” (arrotolate) che scarnavano ossa, ritagliavano filetti, estraevano lardo e braciole. E poi la grande macina d’acciaio, dal lungo manico ricurvo che, girato a mano dalle forti braccia dei ragazzi di casa, si mangiava chili e chili di carne fresca per sputare profumata pasta per i salami, per i cotechini, per le sopresse e le salsicce. E i bambini? Loro guardavano, ogni cosa, ascoltavano ogni parola, ogni pettegolezzo, ogni storia… ma non avevano un ruolo preciso nel rito sacrale del “far sul el mas-cio!”. Allora bisognava trovare un’occupazione anche per loro e così, chi presiedeva l’operazione di insaccamento dichiarava solennemente che era giunta l’ora di andare a prendere lo stampo per le “mortandele” (chiamate con nomi diversi nei nostri paesi: mortandele o mortadele, ma anche barbust, barbusti o bortole; ma sempre di salsicce si trattava!)
Allora, fiero e finalmente appagato perché poteva entrare a far parte dei lavori dei grandi, il bambino di casa veniva inviato da un vicino a richiedere questo prezioso stampo: “Ga dito i omini che fa su el mas-cio che te me daghi el stampo per le bortandele!” Questa era la frase da dire, la richiesta ufficiale, la parola d’ordine per avere lo stampo! E così anch’io, fui mandato a piedi, un giorno fino dallo zio Bortolo, in contrada Valle, a richiedere questo straordinario stampo.
Arrivato pronunciai la fatidica frase e lui mi diede il sacco con lo stampo. Poi mi diede un sacchettino di carta dicendomi che avrei potuto aprirlo solo quando fossi tornato a casa.
Io arrivai a casa, un po’ sudato, ma onorato perché anche il mio sacrificio poteva servire per il bene della famiglia, e restai di stucco quando, aperto il sacco tra le risate affettuose di tutti, vidi che conteneva solo tre pietre, e che lo stampo era un’invenzione per burlarsi di me. In realtà, infatti, non c’era nessun stampo da recuperare, ma tutto ciò era una beffa bonaria, riservata ai bimbi più piccoli. Non fui felice in quel momento; poi il mio papà mi spiegò che si fa così, che è una tradizione e che anch’io avrei potuto un giorno raccontare di essere stato mandato a prendere… lo stampo per le bortandele! Ecco, ora l’ho fatto! Dentro al piccolo sacchettino di carta lo zio Bortolo aveva messo alcune caramelle per rendere, forse, un po' meno amara la beffa! Ricordi di mezzo secolo fa, quando per far su el mas-cio serviva, oltre alla sapienza contadina di mille anni, anche… el stampo per le bortandele!
Lucio Spagnolo
Multra= mexa
RispondiEliminaPer una memorabile scena dal vivo di come si faceva su el masciu basterebbe guardare
RispondiEliminasu Google un passaggio del film L'Albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi (il maiale - You Tube)
Anonimo